Come anticipato lo scorso 21 novembre, Giornata Mondiale della Pesca, con il contributo di Legacoop Agroalimentare, Federpesca, Unci Agroalimentare e PescAgri Cia, le associazioni nazionali maggiormente rappresentative del settore pesca, facciamo il punto sullo stato attuale delle cose e lo facciamo a conclusione di un anno che ha segnato un periodo particolarmente turbolento per l’intera industria.

In un contesto dominato da nuove normative, sfide di mercato e crescenti preoccupazioni legate al cambiamento climatico, abbiamo ritenuto cruciale analizzare le dinamiche che hanno caratterizzato questo periodo e comprendere come esse abbiano plasmato il panorama della pesca a livello nazionale.

Con il contributo oggi, di Cristian Maretti presidente di Legacoop Agroalimentare, guardiamo ad una panoramica completa delle sfide e delle opportunità che hanno influenzato il settore nel corso dell’anno che stiamo per chiudere.

Quali sono le sfide più significative che l’industria della pesca ha affrontato durante il 2023?
Indubbiamente quella più significativa tra le sfide affrontante nell’anno è la riduzione delle giornate di pesca. A questo si somma l’erosione delle possibilità di cattura che ha inciso sulla maggior parte delle nostre realtà, quelle che contribuiscono a rifornire il 60% del pesce sui mercati. Di fatto in questi anni si è assistito semplicemente a limitazioni, delle giornate e delle catture. Tutto questo in quella che è la tempesta perfetta che è il Piano di azione Ue per eliminare lo strascico al 2030.
Tra le sfide c’è poi quella del granchio blu, un evento eccezionale drammaticamente esploso nel corso di quest’anno. Ha portato via tempo, ha occupato tantissime energie e ha fatto, e sta facendo, un danno all’economia del settore e a tutto l’ecosistema.

Come si combattono le sfide delle specie aliene e in generale della pesca?
Occorre che il nuovo Feampa dia traiettorie su come vogliamo il futuro del settore. Per esempio contro il granchio blu e per le altre specie aliene occorrono un regolamento sul controllo e strategie efficaci. Sono stati fatti studi, ma non sono stati utilizzati. In agricoltura alcune sfide sono state affrontate. Penso alla cimice asiatica e al cinipide del castagno contro i quali si è andati a cercare i loro antagonisti e i risultati si sono raggiunti.

Quella del granchio blu è una situazione davvero drammatica
Del granchio blu l’antagonista è l’uomo, ma con le regole per la cattura siamo con le mani legate dietro la schiena. Abbiamo passato i primi sei mesi a chiedere deroghe e nei fatti non abbiamo ottenuto risultati. Servono strumenti straordinari di fronte a quella che una vera situazione di emergenza. Non si è riusciti a contrastare il fenomeno e nessun ricercatore ha dato motivazione di questa esplosione: la presenza è centuplicata senza una spiegazione biologica. Assistiamo ad una vera invasione. A Comacchio entrano anche dentro la biblioteca e l’arma è un scopa per allontanarli. Dobbiamo pensare a una “degranchizzazione”.

Come valutate l’impatto delle normative che regolano il settore pesca sull’intero sistema produttivo?
È un settore iper regolamentato e gerarchizzato, con un peso burocratico superiore a qualunque altro e dove le normative hanno un impatto decisamente negativo. Anche perché il percorso di regolamentazione avviato negli anni Ottanta ha soltanto portato alla riduzione del potenziale di pesca del Paese, mentre non c’è stata analoga attenzione su altri elementi che impattano sul mare e sulle produzioni ittiche. E nonostante tutto continuano situazioni di difficoltà in alcuni stock: se il per il tonno rosso si è assistito ad un miglioramento tanto che sarebbe possibile pescarne di più, lo stesso non è successo per altre specie.

Qual è l’aspetto più negativo delle norme?
Il fatto che la strumentazione normativa sia molto sbilanciata sugli effetti ambientali e manchi di misure di valutazione dell’impatto socio-economico. Manca soprattutto di un approccio eco-sistemico: i pescatori non sono gli unici che lavorano nel mare. E invece si pensa a ridurre gli spazi e le ore, dicendo che gli stock sono sottodimensionati per colpa dei pescatori. Poi c’è anche da dire che le normative guardano prevalentemente ai mari del Nord e non al Mediterraneo che ha bisogno di studi più complessi in ragione della sua multispecificità.

In che modo state promuovendo pratiche sostenibili nel settore della pesca?
Lavoriamo direttamente in mare e favoriamo la ricerca come con il nostro bando per le tesi sulla pesca. Lo scorso anno, grazie all’accordo con una Ong greca, abbiamo raccolto 40 tonnellate di reti. Oltre a fare formazione ai pescatori sulle pratiche sostenibili. Poi, siccome la sostenibilità non è soltanto quella ambientale ma anche economica e sociale, facciamo contrattazione sindacale. Visto il nostro ruolo, come Legacoop Agroalimentare, di rappresentanza della parte datoriale ma anche dei soci lavoratori, abbiamo buoni rapporti con i sindacati.

Si diceva, vi muovete anche nel campo della ricerca…
Certo, la ricerca dà spunti e stimoli per adottare dall’interno percorsi di sostenibilità attraverso strumentazioni, tecniche di pesca, attrezzi per aumentare la selettività del pescato. Ma si punta anche all’innovazione della propulsione delle barche per passare dalle fonti fossili come il petrolio a quelle sostenibili come idrogeno o elettrico, questo specialmente nell’acquacoltura. Abbiamo avviato varie sperimentazioni, ma le norme comunitarie ci impediscono di rinnovare le dotazioni. E l’innovazione si adatta a strumenti nuovi e non certo a attrezzature di 40 anni. La ricerca cooperativa poi nella pesca rappresenta un esempio virtuoso.

Quali opportunità vedete per la crescita e lo sviluppo del settore?
La parola chiave è diversificazione. Che non vuol dire cambiare mestiere ma potenziare l’attività delle imprese di pesca e dei pescatori. Offrire qualcosa in più che non sia soltanto il pesce, potenziare e valorizzare in chiave di reddito quanto già esiste. E in questo aspetto l’elemento principale è la parte di trasformazione della materia prima che arriva al porto. I prodotti ad alto contenuto di servizio possono trovare spazio sul mercato. Si deve fare molto di più in un segmento dove l’imprenditoria privata è molto ben posizionata. A frenare i pescatori, che hanno scarse risorse economiche, è il fatto che occorrono investimenti importanti nella catena del freddo per evitare problemi di carattere sanitario. Ma qualche cooperativa prova a farlo in modo da poter avere il controllo della filiera intera, fino alla commercializzazione.

A proposito di multifunzionalità, Legacoop Agroalimentare ha realizzato una guida per illustrare le attività delle proprie cooperative della pesca
Vogliamo creare legami non soltanto all’interno della filiera ittica. Il settore gode di attrattività per esperienze turistiche e gastronomiche a stretto contatto con il mondo dei pescatori. Ecco allora proposte con percorsi di pescaturismo e ittiturismo per far vivere in presa diretta le emozioni del mare ad un turismo che si è evoluto. Per questo, come Associazione abbiamo realizzato un volume in due lingue, italiano e inglese, con le nostre cooperative che hanno attivato percorsi in mare e sulla terraferma. Come in Sardegna dove vengono gestiti ospitalità, eventi, ristorazione. Ma multifunzionalità è anche servizi alla collettività. Seppur con cavilli burocratici da superare, ci sono barche che lavorano con le Università per fare ricerca su specie aliene, per l’analisi delle acque, del pescato. O anche per quello che viene definito fishing for litter. Ma per farlo occorrono competenze e quindi diventa fondamentale la formazione delle persone.

Come affrontate i problemi ambientali e la pressione per ridurre l’impatto ecologico delle attività di pesca?
Per farlo occorre un approccio ecosistemico del problema. Occorrono attrezzature moderne e tecnologiche sia per una maggiore selezione, sia per aumentare la sicurezza stessa dei pescatori. I pescatori ci provano. Ma manca una pianificazione dello spazio marittimo anche e soprattutto nell’interazione con tutto ciò che non è pesca. Anche la Corte dei Conti Ue ha redatto un report sull’eolico offshore nel quale si sollecita a risolvere i problemi di relazione con la pesca prima di fare gli impianti. Non tutto il mare, oggi, è disposizione dei pescatori. Ci sono attività permesse, autorizzate, impianti per centrali eoliche, trivellazioni, rigassificatori, entrate nei porti, poligoni di tiro: tutte attività umane che vanno a delimitare e restringere sempre più l’attività di pesca. E poi ci sono delimitazioni che non sempre vengono giustificate dai pescatori come la pesca nelle tre e nelle 6 miglia. Insomma, valutazioni che andrebbero messe a sistema.

In che modo state collaborando con le istituzioni governative per influenzare le politiche che riguardano il settore?
Sulla carta abbiamo uno spazio di consultazione e collaborazione continua con il Ministero. Ma non sempre il risultato è proficuo. Agiamo anche attraverso gli strumenti europei, come il Copa Cogeca. Il problema è che c’è un tessuto connettivo tra diverse sorgenti normative, che collaborano poco tra loro e siamo noi che dobbiamo verificare quanto viene fatto tra i diversi livelli istituzionali. C’è difficoltà a trovare soluzioni giuste in quanto non ci sono strumenti per connettere i vari lavori, si fa fatica a trovare le connessioni e questo è uno dei mali del Paese. Facciamo una gran fatica a tenere insieme tutti questi pezzi.

Quali iniziative avete messo in campo o metterete in campo per migliorare la qualità e la sicurezza dei prodotti ittici offerti sul mercato?
Indubbiamente lavoriamo per la sensibilizzazione verso le certificazioni, favoriamo politiche di marchio e facciamo molta formazione. Perché qualità significa anche formazione degli operatori a bordo, su come deve essere trattato il prodotto, sul rispetto della catena del fresco.

Come state incoraggiando l’innovazione nel settore, sia dal punto di vista tecnologico che delle pratiche commerciali?
Oltre all’innovazione e alla ricerca sulla pesca, puntiamo all’innovazione sulle pratiche commerciali. Durante il Covid sono stati effettuati test importanti su e-commerce e vendita diretta e grazie al Ministero con il Fondo strutturale, le imprese vengono facilitate a partecipare a fiere internazionali. Per vendere occorrono nuove conoscenze e per questo come Legacoop Agroalimentare facciamo attività di accompagnamento in quanto è più facile grazie alle nostre economie di scala. E perché, dal momento che siamo dentro Legacoop, abbiamo la possibilità di collaborare con strutture di sistema, anche nella GDO e sfruttare economie di scala.

Interventi che si traducono in fatti concreti. Come il Capraia Smart Island
Promuoviamo esperienze intersettoriali e i momenti come quello di Capraia Smart Island-filiera ittica sostenibile servono per la loro messa in rete. Con Chimica Verde abbiamo realizzato l’Atlante delle buone pratiche per favorire il loro scambio. Sempre sulle best practice il think tank biennale di Capraia, il prossimo si terrà dal 22 al 24 maggio 2024, punta a una filiera sostenibile ed è un momento di confronto e di pensiero sulle traiettorie del futuro. Nello scorso evento ci eravamo confrontati sui contratti di filiera che poi hanno avuto sbocco nel Pnrr.

In che modo affrontate la questione della pesca illegale, non dichiarata e non regolamentata (IUU) e come potrebbe essere migliorata la collaborazione tra il settore privato e le autorità governative per contrastarla?
Andiamo in Capitaneria di porto! Le attività illegali sono illegali e noi non vogliamo tollerarle. Tutti lo sanno, son ben conosciute ma troppo tollerate per evitare problemi maggiori: noi condanniamo la pesca illegale, è la moneta cattiva che scaccia quella buona, per questo servono richieste di intervento da parte degli organismi preposti al controllo.

Quali sono le vostre prospettive sulla digitalizzazione nel settore della pesca, e quali benefici o sfide prevedete per i vostri associati?
Sono già attive esperienze come la piattaforma dei pescatori attraverso la quale, quando arrivano in porto, i clienti sanno già quello che hanno pescato. Ovviamente la digitalizzazione ha un costo e occorrono competenze e investimenti. Ci vogliono conoscenze specifiche, tra cui quella della lingua inglese. Poi la digitalizzazione serve anche per eliminare tutta quella carta di cui si devono contornare i pescatori. Ma per farlo c’è da creare le banche dati che si parlino tra sé come oggi non avviene e allora diventa tutto più difficile, anche fare controlli. La digitalizzazione è un processo che deve partire dall’alto. Un percorso continuo di miglioramento e affinamento nel quale occorre che la Pubblica amministrazione dialoghi con tutto il sistema.

Quali azioni avete previsto per “ringiovanire” il settore e renderlo attrattivo per le nuove generazioni?
Non possiamo permetterci di far sparire il settore della pesca. Noi, come Legacoop Agroalimentare, cerchiamo di coinvolgere i giovani e rinnovare tutto il sistema con iniziative come il bando sulle tesi laurea. Le nostre tesi laurea servono anche per il futuro della pesca.Ci sono grandi intelligenze che si mettono a disposizione del settore, studi molto avanzati su capitoli di genomica che possono darci grandi risultati su stock e ambiente. Quello della pesca è un mondo da mettere a sistema e l’immagine del pescatore che cuce la rete sulla banchina è rassicurante e iconica, ma oggi il settore ha competenza tecnologiche avanzate. Per questo a maggio scorso abbiamo creato un evento su blue skills and jobs nel quale abbiamo cercato di mettere insieme tutti coloro che a vario titolo lavorano con le nuove generazioni nella blue economy.

Ci sono interventi da fare per far rimanere i giovani nel mondo della pesca?
I giovani sono poco propensi a stare in mezzo al mare per la fatica, per dover lavorare di notte, bagnati fradici. In alcune marinerie siamo riusciti a far appassionare ancora a questo mestiere e trasformare la passione in un lavoro. Il problema, poi, è che non si può pensare che la misura prevista dal prossimo FEAMPA sia quella demolizione e della rottamazione dei pescherecci. I giovani se vanno a chiedere informazioni ai genitori non saranno certo incentivati a fare un mutuo da 500mila euro per una barca. Per questo è necessario lavorare sulla blue economy con le sue skill, sulla multifunzionalità, sul legame con il turismo, sulla formazione, sulla diversificazione.

Come si riesce a far andare avanti il settore?
È vero che oggi non è facile trovare marinai per fare gli equipaggi. Dobbiamo quindi pensare a politiche migratorie gestite in maniera intelligente sul tutto il bacino del Mediterraneo. Ma occorre costruire competenze con formazione a distanza, educazione civica e della lingua già prima che partano in modo che quando arrivano siano già formati. Se la pesca dovesse scomparire si avrebbero ricadute sul tutto l’indotto.

L’approfondimento segue domani con l’intervista a Francesca Biondo di Federpesca.

Riflessioni sullo stato attuale della pesca

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