Unci AgroAlimentare: innovazione tecnologica e digitale per acquacoltura sostenibile e resiliente

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Unci AgroAlimentare: innovazione tecnologica e digitale per acquacoltura sostenibile e resiliente– L’utilizzo di tecnologie avanzate e intelligenti per il monitoraggio e la gestione degli impianti di acquacoltura: è questo il focus di uno studio innovativo elaborato dal Corisa – Consorzio di Ricerca Sistemi ad Agenti e dall’Università di Salerno, nell’ambito di un progetto dell’Unci AgroAlimentare, rientrante nel Programma nazionale triennale della pesca, annualità 2024.

Obiettivo della ricerca è l’analisi e la proposta di modelli e sistemi tecnologici per lo sviluppo di un’acquacoltura più sostenibile e in grado di gestire le criticità, anche e soprattutto di fronte ad un incremento della domanda e a una maggiore complessità delle strutture di allevamento.

“Abbiamo sempre sostenuto – ha affermato Gennaro Scognamiglio, presidente nazionale dell’Unci AgroAlimentare, a conclusione del progetto – la necessità di intraprendere ricerche nel settore primario e in particolare nella filiera ittica, per definire nuovi percorsi, che puntino alla riduzione dell’impatto ambientale delle attività, agevolando il lavoro degli operatori e incrementando la redditività delle imprese, attraverso l’adozione di nuove tecniche e dispositivi tecnologici e digitali, salvaguardando sempre la qualità dei prodotii immessi sul mercato”.

Con il progetto, attraverso l’implementazione di tecnologie IoT (Internet of things, una rete di strumenti e apparecchi incorporati con sensori, software e connettività), è stato analizzato come sia possibile migliorare la sostenibilità, efficienza operativa e gestione dei rischi negli impianti di acquacoltura.

È stata inoltre condotta un’attenta analisi dello stato dell’arte delle applicazioni tecnologiche IoT per il comparto, che ha permesso di identificare i parametri critici da monitorare per una futura implementazione dell’architettura proposta. Tali parametri, come qualità dell’acqua, temperatura, ossigenazione e comportamento degli organismi, dovranno essere personalizzati in base alle specie allevate e alle specifiche caratteristiche dell’impianto. L’architettura proposta consente decisioni più rapide e basate su dati in tempo reale, migliorando il benessere degli animali allevati, attenuando le ricadute ambientali e incrementando la produttività.

Gli impatti sociali e economici dell’implementazione di questa tecnologia sono significativi, con benefici che spaziano dal miglioramento delle competenze dei dipendenti alla maggiore competitività delle aziende nel mercato globale dell’acquacoltura. A questo scopo, è stato proposto un approccio basato sul modello di Endsley per la realizzazione di un dispositivo IoT per la “consapevolezza della situazione” (situation-aware). Il dispositivo costituisce la base per l’implementazione di un’architettura innovativa basata su un edge-cloud continuum, progettata per migliorare il monitoraggio e il controllo in tempo reale degli impianti di acquacoltura. Per dimostrare l’efficacia di tale approccio, è stato presentato un caso di studio sull’allevamento di branzini (Dicentrarchus labrax) in un sistema RAS (Recirculating Aquaculture System), illustrando una possibile distribuzione dell’architettura proposta.

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Unci AgroAlimentare: innovazione tecnologica e digitale per acquacoltura sostenibile e resiliente

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L’utilizzo di tecnologie avanzate e intelligenti per il monitoraggio e la gestione degli impianti di acquacoltura: è questo il focus di uno studio innovativo elaborato dal Corisa – Consorzio di Ricerca Sistemi ad Agenti e dall’Università di Salerno, nell’ambito di un progetto dell’Unci AgroAlimentare, rientrante nel Programma nazionale triennale della pesca, annualità 2024.

Obiettivo della ricerca è l’analisi e la proposta di modelli e sistemi tecnologici per lo sviluppo di un’acquacoltura più sostenibile e in grado di gestire le criticità, anche e soprattutto di fronte ad un incremento della domanda e a una maggiore complessità delle strutture di allevamento.

“Abbiamo sempre sostenuto – ha affermato Gennaro Scognamiglio, presidente nazionale dell’Unci AgroAlimentare, a conclusione del progetto – la necessità di intraprendere ricerche nel settore primario e in particolare nella filiera ittica, per definire nuovi percorsi, che puntino alla riduzione dell’impatto ambientale delle attività, agevolando il lavoro degli operatori e incrementando la redditività delle imprese, attraverso l’adozione di nuove tecniche e dispositivi tecnologici e digitali, salvaguardando sempre la qualità dei prodotii immessi sul mercato”.

Con il progetto, attraverso l’implementazione di tecnologie IoT (Internet of things, una rete di strumenti e apparecchi incorporati con sensori, software e connettività), è stato analizzato come sia possibile migliorare la sostenibilità, efficienza operativa e gestione dei rischi negli impianti di acquacoltura.

E’ stata inoltre condotta un’attentaanalisi dello stato dell’arte delle applicazioni tecnologiche IoT per il comparto, che ha permesso di identificare i parametri critici da monitorare per una futura implementazione dell’architettura proposta. Tali parametri, come qualità dell’acqua, temperatura, ossigenazione e comportamento degli organismi, dovranno essere personalizzati in base alle specie allevate e alle specifiche caratteristiche dell’impianto. L’architettura proposta consente decisioni più rapide e basate su dati in tempo reale, migliorando il benessere degli animali allevati, attenuando le ricadute ambientali e incrementando la produttività.

Gli impatti sociali e economici dell’implementazione di questa tecnologia sono significativi, con benefici che spaziano dal miglioramento delle competenze dei dipendenti alla maggiore competitività delle aziende nel mercato globale dell’acquacoltura.

A questo scopo, è stato proposto un approccio basato sul modello di Endsley per la realizzazione di un dispositivo IoT per la “consapevolezza della situazione”(situation-aware). Il dispositivo costituisce la base per l’implementazione di un’architettura innovativa basata su un edge-cloud continuum, progettata per migliorare il monitoraggio e il controllo in tempo reale degli impianti di acquacoltura.

Per dimostrare l’efficacia di tale approccio, è stato presentato un caso di studio sull’allevamento di branzini (Dicentrarchus labrax) in un sistema RAS (Recirculating Aquaculture System), illustrando una possibile distribuzione dell’architettura proposta.

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L’aumento della domanda globale di vongole spinge l’export vietnamita

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L’aumento della domanda globale di vongole spinge l’export vietnamita – Il mercato globale delle vongole sta vivendo una crescita significativa, trainata da una domanda in aumento che alimenta l’espansione delle esportazioni del Vietnam. Nel solo mese di agosto 2024, il Paese ha esportato vongole per un valore vicino ai 10 milioni di dollari, registrando un aumento del 29% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Complessivamente, nei primi otto mesi del 2024, il fatturato ha superato i 65 milioni di dollari, con una crescita del 19%. Questi numeri sottolineano il ruolo centrale delle vongole nel panorama delle esportazioni vietnamite, contribuendo per oltre il 52% al totale delle esportazioni di prodotti ittici.

Il Vietnam possiede oltre 41.500 ettari dedicati all’allevamento di molluschi, con una produzione annua che sfiora le 265.000 tonnellate. Di queste, le vongole rappresentano una parte predominante, con circa 179.000 tonnellate prodotte annualmente. Questo settore non solo contribuisce all’economia nazionale, ma fornisce impiego a circa 200.000 persone. Tuttavia, il cambiamento climatico e l’intrusione di acqua salata stanno esercitando una pressione significativa sulla produzione, in particolare sulle vongole, mettendo a rischio la stabilità a lungo termine del settore.

L’Unione Europea si conferma il principale mercato di sbocco per le vongole vietnamite, con l’Italia e la Spagna tra i maggiori importatori. La Spagna rappresenta il 26% del mercato, mentre l’Italia segue con il 21%. Sebbene le esportazioni verso la Spagna siano in continua crescita, quelle verso l’Italia mostrano una certa instabilità, con una tendenza al calo nel mese di agosto. Questo potrebbe indicare una temporanea riduzione della domanda o problemi logistici legati alla distribuzione.

Parallelamente, la Cina si sta affermando come il terzo più grande mercato di importazione per le vongole vietnamite. Le esportazioni verso il gigante asiatico hanno registrato un incremento impressionante, crescendo del 215% nei primi otto mesi del 2024 rispetto allo stesso periodo del 2023. Questo forte aumento evidenzia l’importanza della diversificazione dei mercati per mantenere l’espansione delle esportazioni vietnamite.

Le imprese vietnamite del settore ittico sono ottimiste riguardo al futuro, prevedendo una crescita continua delle esportazioni di vongole nei prossimi mesi, sostenuta dalla crescente domanda globale di prodotti ittici di qualità. Il Vietnam si sta quindi posizionando come un leader nell’industria delle vongole, nonostante le sfide poste dalle condizioni climatiche e dal mercato.

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Barriere artificiali in eolico offshore: habitat promettente per le specie marine

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Barriere artificiali in eolico offshore: habitat promettente per le specie marine – Il crescente dibattito sull’energia eolica offshore, tra perplessità e certezze, coinvolge sempre più stakeholder. Un recente studio dell’Università di Wageningen ha fornito nuove prospettive su questo tema. La ricerca ha introdotto barriere artificiali attorno al parco eolico offshore Borssele 1&2 nel Mare del Nord, con implicazioni promettenti per la vita marina.

Le barriere artificiali installate vicino ai parchi eolici offshore potrebbero contribuire in modo significativo alla creazione di habitat idonei per le specie marine. In particolare, l’introduzione di barriere artificiali nel parco Borssele 1&2 ha attirato un numero rilevante di merluzzi dell’Atlantico. Pubblicata su Royal Society Open Science, la ricerca ha evidenziato il potenziale di queste strutture nell’aumentare la biodiversità marina.

Nel 2020 sono state installate quattro barriere artificiali presso il parco eolico Borssele 1&2, composte da 45 tubi di cemento di diverse dimensioni. Dall’installazione, oltre 70 merluzzi dell’Atlantico sono stati catturati, dotati di trasmettitori acustici e successivamente rilasciati in mare. Sedici ricevitori sono stati posizionati attorno alle barriere artificiali per monitorare i pesci marcati e tracciare i loro spostamenti nel tempo.

I risultati dello studio rivelano che la maggior parte dei pesci è rimasta vicina alle barriere, sia all’interno che attorno ai tubi di cemento, suggerendo che queste strutture svolgono un ruolo cruciale come aree di alimentazione e rifugio. Le barriere artificiali si sono dimostrate più attraenti per i merluzzi rispetto alle pietre utilizzate per il controllo dell’erosione attorno ai monopali del parco eolico.

Le aperture più ampie offerte dalle barriere artificiali forniscono un rifugio sicuro per i merluzzi, promuovendo l’abitazione a lungo termine. Le barriere sono state installate sia su strati rocciosi che su fondali sabbiosi, attirando i merluzzi in egual misura, indipendentemente dal tipo di fondazione.

Sebbene i parchi eolici possano avere un impatto negativo sulla vita marina durante la loro costruzione e il loro funzionamento — a causa del rumore sottomarino, dei campi elettromagnetici generati dai cavi elettrici e del degrado dell’habitat — esistono anche potenziali risultati positivi. Secondo Benoît Bergès, ricercatore capo presso il Wageningen Marine Research, le barriere artificiali possono contribuire a creare habitat idonei per alcune specie del Mare del Nord. Ulteriori indagini sulla disponibilità di cibo e sul consumo energetico dei pesci attorno a queste barriere potrebbero determinare se tali strutture portino effettivamente a un aumento della produzione ittica, a vantaggio delle popolazioni di pesci.

Questo studio mette in luce la possibilità di armonizzare le infrastrutture per l’energia rinnovabile con gli sforzi di conservazione marina. Con il continuo sviluppo dell’energia eolica offshore a livello globale, iniziative come questa potrebbero offrire un modello per bilanciare la preservazione ecologica con la produzione sostenibile di energia.

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Pesca oceanica: l’epopea italiana

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Pesca oceanica: l’epopea italiana – La marineria italiana ha vantato una solida tradizione nella pesca oltre gli stretti, comunemente chiamata pesca oceanica o atlantica. La prima marineria a esplorare le zone di pesca atlantiche fu quella di San Benedetto del Tronto. Agli inizi degli anni ’50, con motopescherecci d’altura (anche navi-fattoria da tremila tonnellate di stazza lorda), la flotta si spingeva a nord fino al Canada e a sud fino alle isole Falkland.

Il compartimento marittimo di San Benedetto del Tronto fece da apripista a molte altre flotte italiane, tra cui quella di Mazara del Vallo. Insieme,  rappresentavano la maggioranza delle imbarcazioni attive lungo le coste dell’Africa Occidentale, in paesi come Mauritania, Senegal, Guinea Bissau, Sierra Leone, Ghana, Nigeria, Angola e Namibia.

Gli anni ’80

Negli anni ’80, l’Italia contava circa 50 pescherecci oceanici che garantivano un considerevole approvvigionamento di risorse ittiche per il Paese, creando posti di lavoro ben retribuiti per centinaia di marinai, italiani e africani. In quegli anni non si parlava ancora di sostenibilità ambientale, in realtà non si avvertiva il fenomeno, per meglio dire non vi era educazione al rispetto dell’ambiente. La gestione delle risorse marine era affidata alla sensibilità dei comandanti dei pescherecci e delle compagnie armatrici, senza una regolamentazione specifica.

In poche settimane, una singola nave poteva arrivare a produrre tra le 300 e le 400 tonnellate di prodotto misto, tra cefalopodi demersali e crostacei. Tuttavia, non tutti rispettavano il mare allo stesso modo. La Comunità Europea, allora agli albori, non regolava ancora adeguatamente gli accordi bilaterali con i Paesi africani. Alcuni armatori, più spregiudicati, riuscivano a stipulare privatamente accordi vantaggiosi con gli Stati africani, consentendo la pesca anche in zone dove essa avrebbe dovuto essere interdetta, come entro le 12 miglia dalla costa.

L’Unione Europea e la globalizzazione

Se oggi le risorse ittiche scarseggiano in queste aree, l’ipersfruttamento degli anni passati ha avuto un peso significativo. Con l’introduzione di limitazioni severe da parte dell’Unione Europea e la globalizzazione, che ha aperto il mercato a prodotti ittici provenienti da tutto il mondo, insieme ai crescenti costi di produzione (specialmente quelli energetici), oltre il 90% delle aziende italiane del settore ha cessato l’attività.

Oggi rimane ben poco dell’epoca d’oro della pesca oceanica italiana. Pochissime imbarcazioni italiane continuano a lavorare in quelle aree. Alcuni operatori preferiscono utilizzare pescherecci battenti bandiere extracomunitarie, ma, nonostante siano consapevoli del danno arrecato all’ecosistema, riescono ancora a far arrivare prodotti ittici in Europa, aggirando divieti e riducendo i costi, spesso a scapito dell’onestà.

Pesca oceanica: l’epopea italiana

 

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