Mese: Giugno 2025 Pagina 1 di 2

Il Patto per gli Oceani tra ambizione e responsabilità: la svolta necessaria per l’UE

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Il Patto UE per gli Oceani si presenta come il banco di prova definitivo per la credibilità della politica marittima europea. A dichiararlo, con fermezza e cognizione di causa, sono Maria Damanaki e Virginijus Sinkevičius, ex commissari europei per l’Ambiente, gli Oceani e la Pesca, in un editoriale pubblicato da EUobserver. La loro posizione è chiara: non si può più rimandare l’eliminazione della pesca a strascico nelle aree marine protette.

L’intervento, denso di riferimenti normativi e esperienza istituzionale, parte da una constatazione drammatica: oltre il 90% delle acque marine dell’UE è soggetto a pressioni antropiche eccessive, con una combinazione di pesca industriale, trasporto, sviluppo costiero e sfruttamento offshore che mina la salute degli ecosistemi e la resilienza delle comunità costiere. In questo contesto, il nuovo Patto per gli Oceani può rappresentare una cesura netta con il passato, ma solo se accompagnato da un deciso cambio di passo nell’attuazione delle politiche ambientali e ittiche.

Oltre le fondamenta: il problema non è la visione, ma l’attuazione

Secondo i due ex commissari, gli strumenti per una gestione sostenibile esistono già. La Politica Comune della Pesca (PCP) e il Piano d’Azione per l’Ambiente Marino hanno rappresentato passi “coraggiosi per l’epoca”, ma non sufficienti. La debolezza, sottolineano, non sta nei testi legislativi quanto nella loro attuazione: troppo spesso gli Stati membri sono riusciti ad aggirare gli obblighi o a ritardarne l’applicazione, senza conseguenze.

Proprio per questo, Damanaki e Sinkevičius chiedono che la Commissione non si limiti più al ruolo di architetto delle politiche, ma ne diventi anche l’esecutore. È una richiesta di responsabilità concreta: nella maggior parte delle AMP europee la pesca a strascico continua a essere praticata nonostante le finalità di tutela, rendendo inefficaci gli sforzi di conservazione e minando la fiducia della cittadinanza e della comunità scientifica.

La pesca a strascico non è compatibile con le AMP

Il punto centrale dell’editoriale riguarda la necessità di introdurre norme vincolanti che vietino esplicitamente la pesca a strascico nelle aree marine protette. Un divieto con scadenze chiare e sanzioni effettive in caso di inadempienza rappresenterebbe un segnale di coerenza tra obiettivi ambientali e pratiche di gestione.

Per i firmatari, tollerare pratiche altamente distruttive in zone teoricamente protette equivale a minare le stesse basi dell’Ocean Pact. Si rischierebbe di produrre un patto inefficace, incapace di tutelare tanto la biodiversità quanto la sopravvivenza del comparto artigianale a basso impatto, oggi marginalizzato rispetto alla pesca industriale.

Un’occasione geopolitica e sociale per l’Europa

Il contesto geopolitico offre oggi all’Unione Europea una finestra strategica. La pubblicazione del Patto per gli Oceani è prevista in prossimità della Conferenza delle Nazioni Unite sugli Oceani, dal 9 al 13 giugno a Nizza, e può consolidare la leadership dell’UE nell’agenda oceanica globale. La concorrenza internazionale è esitante; ciò conferisce a Bruxelles una responsabilità e un’opportunità uniche.

Ma la posta in gioco è anche sociale. Le comunità costiere, i pescatori artigianali, i territori più fragili dipendono da un mare sano per prosperare. Non si tratta solo di tutelare l’ambiente, ma di garantire continuità economica e coesione sociale nelle regioni che vivono di mare.

Damanaki e Sinkevičius parlano esplicitamente di “sfida economica e di sicurezza”, sottolineando che un oceano impoverito può compromettere l’intera architettura dell’economia blu europea. E il messaggio è inequivocabile: “L’ambizione sulla carta deve essere accompagnata da responsabilità nella pratica”.

Una chiamata all’azione per istituzioni e settore

Il richiamo lanciato dagli ex commissari è rivolto anche al mondo produttivo e alla società civile. La pesca europea ha bisogno di un quadro normativo stabile, ambizioso e applicato. Le imprese della trasformazione, le organizzazioni di categoria e i buyer devono potersi muovere in un contesto trasparente e sostenibile, dove il rispetto delle regole rappresenti un vantaggio competitivo e non una penalizzazione.

Il settore ittico è chiamato a essere parte attiva del cambiamento, sia come interlocutore tecnico che come testimone di buone pratiche. Il Patto per gli Oceani può rappresentare il punto di svolta per un nuovo equilibrio tra tutela ambientale e sviluppo economico. Ma per esserlo davvero, deve diventare operativo, vincolante, verificabile.

La riflessione di Damanaki e Sinkevičius è più di un appello politico: è un atto di responsabilità nei confronti del futuro marino europeo. Serve un salto di qualità nella governance oceanica e, soprattutto, un atto di coraggio da parte della Commissione e degli Stati membri.

Solo attraverso misure concrete, come il divieto della pesca a strascico nelle AMP, sarà possibile garantire un futuro sostenibile per gli ecosistemi marini e per le filiere economiche che da essi dipendono.

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Fauna protetta e aree protette: nuovi contributi per agricoltura e itticoltura

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Contributi per l’acquisto di sistemi di prevenzione (come recinzioni e dissuasori per gli animali) e per i danni causati dalla fauna protetta, o arrecati nelle aree protette, anche per il comparto dell’itticoltura. Ampliamento delle possibilità di esenzione dall’obbligo della messa in opera di misure di prevenzione adeguate e della gamma dei costi riconoscibili in caso di danni al comparto zootecnico. E, infine, ampliamento della gamma dei costi indiretti indennizzabili per danni da canidi.

È quanto previsto nella notifica inviata dalla Regione alla Commissione europea che ne ha dato parere positivo, riconoscendo che queste tipologie di contributi sono aiuti di Stato che non ledono la concorrenza e sono compatibili con le regole del mercato europeo stesso, così come è stata approvata la possibilità di riconoscere costi indiretti nel caso di danni al patrimonio zootecnico.

“Siamo– sottolinea l’assessore all’Agricoltura della Regione Emilia-Romagna, Alessio Mammifra le poche regioni italiane ad aver presentato e ottenuto attraverso la notifica alla Commissione Europea, la possibilità di concedere al di fuori del regime del de-minis contributi finalizzati all’acquisto di sistemi di prevenzione e per far fronte ai danni da fauna protetta, o nelle aree protette, alle attività agricole e di itticoltura. Un risultato molto importante- prosegue Mammi- che ci permette di garantire un aiuto concreto alle aziende che quotidianamente combattano per difendere le proprie produzioni, salvaguardando un patrimonio economico, culturale e sociale, fatto anche di tradizione e di decine di posti di lavoro”.

I provvedimenti sono stati illustrati e approvati oggi pomeriggio nella Commissione Politiche economiche dell’assemblea legislativa e saranno a breve approvati in giunta.

I danni indennizzabili

In base ai nuovi criteri, sono indennizzabili i danni causati su tutto il territorio regionale dalle specie protette e i danni arrecati dalla fauna alle attività agricole e di itticoltura svolte con continuità all’interno delle zone protette.

Per danni si intendono le perdite di animali oggetto di produzione zootecnica (e relativi costi indiretti) o di allevamento ittico, i danni a piante o prodotti agricoli oggetto di commercializzazione e i danni materiali ad attrezzature e impianti funzionali all’esercizio dell’attività agricola o di itticoltura.

Il valore più alto dei contributi per i danni può raggiungere la soglia massima del 100% dell’accertato. Sono ammesse a contributo le produzioni dove siano stati adottati idonei sistemi di prevenzione. Costituiscono eccezione a questo vincolo i casi di danni arrecati in zone di nuova colonizzazione da parte di una specie selvatica e di primo attacco a un sito di itticoltura da uccelli predatori protetti, nonché i casi in cui non risultino attuabili i sistemi di difesa attualmente disponibili e/o in cui gli stessi contrastino con obiettivi di conservazione delle specie faunistiche.

I beneficiari: chi può richiedere i contributi

Possono richiedere contributi per la prevenzione e i danni da animali selvatici le micro, piccole e medie imprese attive in Emilia-Romagna nella produzione agricola primaria e nell’itticoltura, che abbiano una serie di requisiti. Tra questi, il possesso di partita IVA, l’iscrizione all’anagrafe regionale delle Aziende Agricole, la registrazione presso l’Azienda Usl competente per territorio.

Misure di prevenzione

Per gli allevamenti zootecnici si può presentare richiesta di contributo per la recinzione metallica fissa, la mista fissa, l’elettrificata semipermanente, la mobile elettrificata, i dissuasori faunistici, i cani da guardia. Per le produzioni vegetali e gli allevamenti ittici, si può presentare richiesta di contributo per le recinzioni perimetrali meccaniche, le protezioni meccaniche antiuccelli, le protezioni meccaniche individuali, le recinzioni elettriche, i dissuasori faunistici, in funzione degli specifici bandi emessi dalla Regione.

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Il mercato del primo sbarco in Europa: valori in crescita, volumi in calo

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È disponibile il nuovo numero del report mensile EUMOFA, iniziativa della Commissione Europea, che analizza l’andamento dei prezzi del primo sbarco del pesce in Europa 2025 nei mesi di gennaio e febbraio. I dati indicano un aumento del valore complessivo (+6%) rispetto al 2024, per un totale di 622,9 milioni di euro, a fronte di una flessione dell’8% nei volumi sbarcati (327.972 tonnellate).

La dinamica evidenzia un mercato europeo che premia la qualità e il valore unitario, pur in un contesto di offerta ridotta per diverse categorie merceologiche.

Molluschi e crostacei trainano la crescita del valore

Il comparto dei molluschi ha registrato un incremento del 7% nel valore, con un +25% nei volumi. Decisivi l’aumento delle capesante (+12%) e dei mitili (+74%). Anche i cefalopodi mostrano un trend positivo nel valore (+11%), grazie a polpo (+19%) e calamaro (+14%), nonostante una lieve contrazione dei volumi (-3%).

Prestazione eccellente per i crostacei, con un +12% nel valore e +19% nei volumi. Il gambero rosa di profondità e lo scampo si confermano i driver principali della performance del comparto.

Calano i volumi per pesci piatti, pesce di fondale e salmonidi

Tra le categorie in contrazione, i pesci piatti mostrano un calo dei volumi (-3%) ma un incremento del valore (+4%), sostenuto dalla sogliola comune. Decisamente più marcata la flessione per il pesce di fondale: -38% in quantità e -6% in valore, penalizzato soprattutto dalla riduzione delle catture di merluzzo azzurro.

Situazione particolarmente critica per i salmonidi, che perdono il 95% del valore e l’85% dei volumi rispetto al 2024. Un segnale di forte contrazione, probabilmente legato a ristrutturazioni nella produzione e all’offerta ridotta.

Pelagici in recupero, sorprese dal dolce e dal tonno

Nel primo bimestre 2025, i piccoli pelagici guadagnano l’8% in valore e il 2% in volume. Lo sgombro irlandese registra un +32%, mentre l’acciuga portoghese crolla nei prezzi (-35%). Anche i tonni e affini mostrano una crescita contenuta nel valore (+3%) ma subiscono una riduzione dei volumi (-19%). Tonno rosso e pesce spada si confermano competitivi sui mercati.

Infine, spicca il dato del pesce d’acqua dolce: valore in crescita del 179%, con un’evidente impennata del prezzo dell’anguilla francese (da 62,69 a 199,91 €/kg). I volumi, invece, scendono del 38%, segnalando un’offerta molto selettiva.

L’andamento dei prezzi del primo sbarco del pesce in Europa 2025 mostra una netta tendenza a valorizzare le specie più richieste, anche a fronte di un’offerta più contenuta. Per i buyer e gli operatori della trasformazione, il dato invita a riconsiderare con attenzione tempi, fonti e strategie di approvvigionamento.

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Dal contenimento alla valorizzazione: il granchio blu come leva per una nuova economia marina

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L’emergenza generata dalla proliferazione del granchio blu (Callinectes sapidus) ha prodotto effetti devastanti sulle attività della molluschicoltura e della piccola pesca costiera, generando una risposta istituzionale incentrata sul ristoro dei danni e sull’abbattimento selettivo. Tuttavia, secondo Pasquale Sasso, docente di economia dell’innovazione e direttore dell’Osservatorio Agrifood Tech & Innovation dell’Università Pegaso, l’adozione di un approccio esclusivamente reattivo rischia di produrre un impatto limitato e temporaneo. Serve invece una strategia multilivello, capace di trasformare l’evento critico in una leva progettuale all’interno dell’economia blu.

“L’emergenza granchio blu va affrontata come un caso paradigmatico di pressione ecologica che interseca vulnerabilità produttive e carenze strutturali nella governance ambientale. Le risposte devono andare oltre la compensazione economica, includendo strumenti di valorizzazione della biomassa e di integrazione sistemica nella filiera”, afferma Sasso.

Oltre il contenimento: il potenziale industriale e nutrizionale

In numerosi contesti internazionali, specie aliene invasive sono state reindirizzate verso circuiti economici legittimi, generando nuove filiere di trasformazione, integrazione nella ristorazione e utilizzi alternativi (es. farine proteiche, pet food, bioplastica). Il granchio blu presenta caratteristiche organolettiche, nutritive e adattive tali da giustificare l’esplorazione di percorsi di valorizzazione industriale, a patto che vengano attivati strumenti adeguati di analisi tecnica, standardizzazione, tracciabilità e sviluppo di mercato.
“Il sistema Paese dispone di eccellenze nella trasformazione alimentare e nella ricerca biotecnologica. È doveroso attivare progettualità che consentano di testare, validare e scalare soluzioni innovative, anche in ottica di export controllato,” osserva Sasso.

Dalla blue economy alla blue resilience

L’approccio suggerito dal docente si inserisce in una visione più ampia di economia marina circolare e resiliente, in cui le specie invasive non vengono solo mitigate, ma riassorbite nel sistema economico attraverso processi di rigenerazione, riuso e conversione produttiva.
“L’integrazione di parametri ESG nel settore ittico non può più essere rimandata. I criteri di valutazione devono evolvere, includendo indicatori come la riduzione della pressione sugli stock, l’apporto al fabbisogno proteico locale, la capacità di contribuire a servizi ecosistemici, e persino la generazione di crediti di carbonio,” sottolinea Sasso.
Questa logica presuppone l’introduzione di metriche nuove nella misurazione del valore economico delle risorse marine, che non si limitino a prezzo e volume, ma tengano conto di esternalità ambientali e benefici sistemici.

Governance, investimenti e ruolo della ricerca

La transizione verso una gestione evoluta del granchio blu richiede politiche di lungo termine, piani di finanziamento strutturati e un forte coordinamento tra livelli istituzionali, dalle autorità regionali agli enti nazionali di ricerca. Il ruolo della R&S è centrale: solo una conoscenza dettagliata della biologia, dell’ecologia e della composizione chimico-nutrizionale della specie può consentire di progettare un utilizzo controllato e sicuro del granchio blu, minimizzando i rischi di nuove propagazioni o squilibri a valle.
“Siamo in presenza di un caso classico in cui la co-progettazione tra pubblico, accademia e impresa può generare un modello replicabile. Non intervenire in tal senso significa perdere un’occasione strategica per consolidare una blue economy europea basata sulla gestione adattiva delle risorse,” aggiunge Sasso.

Il granchio blu rappresenta oggi un banco di prova per l’intero sistema di governance delle risorse ittiche italiane. La sfida non è soltanto contenere i danni o sostenere economicamente i comparti colpiti, ma ripensare il modo in cui l’Italia affronta le pressioni ambientali sul comparto marino.
La valorizzazione controllata e sostenibile delle biomasse invasive, l’integrazione di approcci ecosistemici nella gestione delle filiere, e l’investimento in innovazione e trasformazione devono diventare assi portanti della pianificazione settoriale. Come ricorda Sasso, “non possiamo permetterci di trasformare il ristoro in sussidio permanente: serve un’economia del mare capace di generare rigenerazione, non dipendenza.”

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Specie in fuga e nuovi attori: la pesca italiana sotto pressione

Specie in fuga e nuovi attori: la pesca italiana sotto pressione

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L’impatto del cambiamento climatico sulla pesca nel Mediterraneo è ormai un dato di fatto e non più una previsione. A sottolinearlo con rigore scientifico e chiarezza è stato Fabio Fiorentino, ricercatore del CNR – IRBIM, intervenuto a Mazara del Vallo durante l’incontro con le marinerie siciliane, nell’ambito della rassegna ministeriale Tesori dal Blu, alla presenza del Sottosegretario Patrizio La Pietra e del Direttore Generale Francesco Saverio Abate.

Nel suo intervento, Fiorentino ha tracciato un quadro dettagliato delle trasformazioni che stanno investendo il sistema marino mediterraneo e, con esso, l’intera filiera della pesca, sia d’altura sia artigianale. Il primo elemento critico è la mutazione della composizione delle popolazioni ittiche: specie tradizionali stanno diminuendo o spostandosi verso altre aree, mentre specie termofile si stanno insediando stabilmente.

“Il cambiamento climatico – ha spiegato – sta ridisegnando la struttura delle popolazioni ittiche nel Canale di Sicilia e nel Mediterraneo centrale. Alcune specie modificano il proprio areale di distribuzione o si riducono, altre si affermano. Questo ha conseguenze dirette sulla produttività complessiva del sistema marino.”

Secondo il ricercatore, la produttività del mare è in calo, e non solo per effetto della pressione di pesca.
“Il vero nodo è che l’ecosistema è cambiato. Le temperature più elevate e i nuovi assetti ecologici non supportano più i cicli riproduttivi delle specie tradizionali. In questo contesto, continuare ad applicare schemi gestionali pensati per un altro Mediterraneo significa rischiare l’inefficacia. È indispensabile aggiornare le politiche, a partire da una revisione delle quote pesca, per renderle coerenti con le attuali condizioni ambientali.”

A conferma della trasformazione già in atto, Fiorentino ha citato il caso dei mercati palermitani: “Il 95% del pesce venduto come sardina è in realtà alaccia, una specie termofila che si adatta meglio alle acque più calde. La sardina vera, che predilige acque fredde, è quasi scomparsa.”
Un ulteriore elemento di riflessione è rappresentato dal fermo biologico, che secondo Fiorentino va ripensato: “Non si tratta di metterne in discussione l’utilità, ma di adattarlo. Vanno rivalutati tempi, modalità e obiettivi, perché il mare non è più quello di vent’anni fa. Non possiamo pensare a finestre fisse e generalizzate: serve una gestione adattiva, che tenga conto delle reali dinamiche biologiche in corso.”

A questi cambiamenti ecologici si aggiunge una trasformazione geopolitica. Fiorentino ha richiamato l’attenzione sulla crescente presenza dei Paesi del Nord Africa nella pesca d’altura, che non può più essere considerata marginale: “Per decenni l’Italia ha avuto un ruolo dominante nella pesca alturiera mediterranea. Oggi questo ruolo è in discussione. Ci troviamo di fronte a un nuovo assetto geopolitico.”
Questa espansione, favorita anche da accordi internazionali e investimenti, sta ridefinendo gli equilibri nel Mediterraneo, e l’Italia deve agire: “Non si tratta solo di pescare meno – ha sottolineato Fiorentino – ma di valorizzare di più ciò che si pesca, perché dobbiamo prepararci a una fase in cui il mare offrirà meno, e in forme diverse da quelle a cui eravamo abituati.”
Una riflessione che si inserisce in piena sintonia con quanto affermato nel corso dell’incontro dal Direttore Generale Francesco Saverio Abate, che ha più volte sottolineato l’urgenza di una pesca meno quantitativa e più orientata alla qualità e alla valorizzazione del prodotto ittico.

L’intervento di Fiorentino ha lanciato un messaggio chiaro: la pesca italiana è sotto pressione – ambientale, biologica, geopolitica. Per affrontare il cambiamento servono nuovi strumenti: gestione adattiva delle risorse, revisione del fermo biologico, flessibilità nelle quote e valorizzazione del pescato locale. Il Mediterraneo è già cambiato: comprenderlo è il primo passo per affrontarne il futuro.

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