Mese: Giugno 2025 Pagina 2 di 3

L’Unione Europea interviene sulla pesca non sostenibile praticata dai paesi terzi

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Le pratiche di pesca non sostenibile messe in atto da alcuni paesi terzi continuano a compromettere l’equilibrio degli stock ittici condivisi con l’Unione Europea. Un nuovo accordo politico raggiunto tra Parlamento e Consiglio rafforza la capacità dell’UE di reagire, introducendo strumenti giuridici più precisi e misure commerciali più incisive.

Un nuovo quadro giuridico

L’accordo modifica il regolamento (UE) 2017/2403, che disciplina le autorizzazioni di pesca nelle acque esterne all’UE. Il testo riveduto stabilisce in modo più chiaro quando e come l’Unione può identificare un paese terzo che consenta la pesca non sostenibile su stock di interesse comune.

Tra le misure attivabili figurano restrizioni sulle importazioni di pesce proveniente da tali stock o contenente materia prima derivante da attività non conformi. La portata geografica è ampia e riguarda qualsiasi bacino marino in cui coesistano interessi condivisi.

Tracciabilità e responsabilità

Il nuovo impianto normativo prevede un sistema progressivo di intervento, incentrato sul dialogo preventivo con il paese terzo coinvolto. Prima di applicare sanzioni, la Commissione dovrà avviare una consultazione formale, con l’obiettivo di correggere eventuali deviazioni attraverso cooperazione bilaterale.

In assenza di risposte adeguate, potranno essere adottate misure restrittive. Questo approccio graduale consente di mantenere un equilibrio tra fermezza regolatoria e apertura al confronto diplomatico.

Un passo strutturale verso la sostenibilità

L’intervento dell’UE risponde alla necessità di garantire una gestione efficace e scientificamente fondata degli stock condivisi. L’eccessivo sfruttamento da parte di attori esterni mina gli sforzi multilaterali e genera squilibri ambientali difficilmente reversibili.

Con questo accordo, l’Unione consolida la propria posizione nella governance internazionale delle risorse marine e rafforza gli strumenti per contrastare le distorsioni del mercato ittico legate all’origine del prodotto e alle condizioni di prelievo.

Il regolamento aggiornato rappresenta un passo rilevante nella lotta contro la pesca non sostenibile, riaffermando il principio secondo cui la protezione delle risorse marine passa da regole chiare, responsabilità condivise e trasparenza delle pratiche. Un segnale netto, che mira a tutelare l’ambiente marino e a preservare il futuro degli stock condivisi.

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Emergenza granchio blu, confronto in Prefettura a Ferrara con il commissario nazionale Caterino

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Il granchio blu continua a penalizzare pesantemente imprese e cooperative di pesca delle sacche di Goro e Comacchio, nel ferrarese, ma quelle stesse imprese, nonostante mesi difficilissimi, stanno trasformando una minaccia potenzialmente letale in un’opportunità economica. Sono, infatti, oltre 1.100 i quintali di granchio blu che il Copego (il Consorzio Pescatori di Goro) ha esportato in tutto il mondo: 3 container inviati in Corea del Sud, e un altro in partenza verso gli Stati Uniti e circa 2-300 quintali destinati al mercato nazionale, che sta imparando a scoprire questo nuovo prodotto. Pescato e congelato proprio sulla costa ferrarese.

Contestualmente, però, resta la necessità, ribadita dalle associazioni di categoria e dalla Regione Emilia-Romagna, di continuare a sostenere concretamente un settore – quello che raccoglie le vongole -, unico in Europa, che è stato messo in grande difficoltà dal proliferare del crostaceo. A partire dalla richiesta, avanzata al Governo, di sbloccare i fondi aggiuntivi nazionali promessi nei mesi scorsi.

Il punto della situazione è stato fatto in Prefettura a Ferrara alla presenza del commissario nazionale per l’emergenza granchio blu, Enrico Caterino. Presenti l’assessore regionale all’Agricoltura e Pesca, Alessio Mammi, il prefetto, Massimo Marchesiello, la sindaca di Goro, Maria Marika Bugnoli, i rappresentanti degli enti territoriali e nazionali coinvolti, delle associazioni di pesca e della Capitaneria di Porto.

“La Regione Emilia-Romagna segue questa emergenza passo passo, e anche oggi siamo al fianco di imprese e lavoratori– sottolinea Mammi-. Nel 2023 e 2024 abbiamo messo 2 milioni di euro di risorse nostre, uno all’anno, e un altro milione nel 2025, con un bando già pubblicato e in scadenza a metà luglio a beneficio delle attività di recupero e smaltimento del granchio blu. Ma- prosegue l’assessore- ora serve un impegno concreto del Governo: le risorse regionali vanno integrate al più presto con i fondi aggiuntivi annunciati dal Ministero nei mesi scorsi”. Inoltre, aggiunge ancora Mammi, “è necessario proseguire un monitoraggio accurato del proliferare del granchio blu, proseguendo con azioni di ricerca e di studio da parte degli istituti di ricerca e delle università”.

I dati resi noti dai rappresentanti delle imprese nell’incontro in Prefettura, infatti, dimostrano che il granchio continua a moltiplicarsi, anche in quantità maggiore rispetto agli anni scorsi. Per questa ragione, dal tavolo è emersa la volontà, condivisa con le associazioni e le cooperative, che nei bandi nazionali siano previste attività per la semina delle vongole e fondi per il contrasto ai granchi, a partire da recinti.

La notizia incoraggiante è la nascita di una nuova filiera commerciale, che ha raccolto l’interesse anche di aziende estere, specializzate nella raccolta dei crostacei anche di piccole dimensioni per il consumo alimentare. “La forza di volontà e la passione dei pescatori di Goro e Comacchio è encomiabile– spiega ancora Mammi-: non si sono arresi di fronte a un’emergenza di proporzioni enormi e, anzi, hanno cercato nuove opportunità attraverso contatti con aziende di altri paesi, e stanno lavorando per dare vita a un nuovo asset commerciale, per quanto possibile, cercando di salvare un patrimonio sociale e culturale unico in Europe garantire lavoro sul territorio. La Regione- conclude Mammi- sarà sempre al loro fianco”.

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Teoresi e Ogyre: alleanza strategica per la salute dei mari

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Teoresi aderisce alla Ocean Challenge di Ogyre, un’iniziativa che mira a contrastare l’inquinamento marino attraverso la raccolta di rifiuti plastici dai mari. L’azienda torinese, specializzata in ingegneria avanzata, si è posta l’obiettivo di raccogliere 1.000 kg di rifiuti marini entro la fine del 2025, equivalente a circa 100.000 bottiglie di plastica da mezzo litro.

La Ocean Challenge 2025: un’azione globale

Lanciata da Ogyre in occasione del Mese degli Oceani, la Ocean Challenge 2025 si propone di raccogliere 28.000 kg di rifiuti marini in 30 giorni, coinvolgendo oltre 30 partner a livello internazionale. La piattaforma utilizza la tecnologia blockchain per tracciare in tempo reale ogni raccolta, garantendo trasparenza e integrabilità nei report di sostenibilità secondo i framework CSRD e GRI.

Teoresi Go! Un programma di sostenibilità integrata

La partecipazione di Teoresi alla Ocean Challenge si inserisce nel più ampio programma Teoresi Go!, che promuove iniziative concrete per la sostenibilità ambientale e sociale. Tra queste, la riduzione dell’uso della plastica monouso nelle sedi aziendali, il sostegno a ONG impegnate nella tutela delle risorse idriche e la piantumazione di 1.621 alberi in otto Paesi attraverso la partnership con Treedom.

Collaborazione con le comunità locali

Attraverso la partnership con Ogyre, Teoresi supporta le operazioni internazionali di “Fishing for Litter”, coinvolgendo pescatori locali retribuiti per la raccolta di rifiuti marini. In Italia, il progetto è attivo nel Golfo Ligure a Santa Margherita Ligure, dove i pescatori operano durante le attività di pesca.

Un modello replicabile per il settore ittico

L’iniziativa di Teoresi rappresenta un esempio virtuoso di come le aziende possano integrare la sostenibilità nelle proprie strategie operative. Per il settore ittico, questo modello offre spunti concreti per sviluppare pratiche responsabili che coniughino efficienza economica e tutela ambientale.

L’adesione di Teoresi alla Ocean Challenge di Ogyre evidenzia l’importanza di collaborazioni tra aziende e comunità locali per affrontare le sfide ambientali. Un impegno che va oltre la semplice partecipazione, diventando parte integrante della cultura aziendale e offrendo un esempio replicabile per altri attori del settore.

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Il Patto per gli Oceani tra ambizione e responsabilità: la svolta necessaria per l’UE

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Il Patto UE per gli Oceani si presenta come il banco di prova definitivo per la credibilità della politica marittima europea. A dichiararlo, con fermezza e cognizione di causa, sono Maria Damanaki e Virginijus Sinkevičius, ex commissari europei per l’Ambiente, gli Oceani e la Pesca, in un editoriale pubblicato da EUobserver. La loro posizione è chiara: non si può più rimandare l’eliminazione della pesca a strascico nelle aree marine protette.

L’intervento, denso di riferimenti normativi e esperienza istituzionale, parte da una constatazione drammatica: oltre il 90% delle acque marine dell’UE è soggetto a pressioni antropiche eccessive, con una combinazione di pesca industriale, trasporto, sviluppo costiero e sfruttamento offshore che mina la salute degli ecosistemi e la resilienza delle comunità costiere. In questo contesto, il nuovo Patto per gli Oceani può rappresentare una cesura netta con il passato, ma solo se accompagnato da un deciso cambio di passo nell’attuazione delle politiche ambientali e ittiche.

Oltre le fondamenta: il problema non è la visione, ma l’attuazione

Secondo i due ex commissari, gli strumenti per una gestione sostenibile esistono già. La Politica Comune della Pesca (PCP) e il Piano d’Azione per l’Ambiente Marino hanno rappresentato passi “coraggiosi per l’epoca”, ma non sufficienti. La debolezza, sottolineano, non sta nei testi legislativi quanto nella loro attuazione: troppo spesso gli Stati membri sono riusciti ad aggirare gli obblighi o a ritardarne l’applicazione, senza conseguenze.

Proprio per questo, Damanaki e Sinkevičius chiedono che la Commissione non si limiti più al ruolo di architetto delle politiche, ma ne diventi anche l’esecutore. È una richiesta di responsabilità concreta: nella maggior parte delle AMP europee la pesca a strascico continua a essere praticata nonostante le finalità di tutela, rendendo inefficaci gli sforzi di conservazione e minando la fiducia della cittadinanza e della comunità scientifica.

La pesca a strascico non è compatibile con le AMP

Il punto centrale dell’editoriale riguarda la necessità di introdurre norme vincolanti che vietino esplicitamente la pesca a strascico nelle aree marine protette. Un divieto con scadenze chiare e sanzioni effettive in caso di inadempienza rappresenterebbe un segnale di coerenza tra obiettivi ambientali e pratiche di gestione.

Per i firmatari, tollerare pratiche altamente distruttive in zone teoricamente protette equivale a minare le stesse basi dell’Ocean Pact. Si rischierebbe di produrre un patto inefficace, incapace di tutelare tanto la biodiversità quanto la sopravvivenza del comparto artigianale a basso impatto, oggi marginalizzato rispetto alla pesca industriale.

Un’occasione geopolitica e sociale per l’Europa

Il contesto geopolitico offre oggi all’Unione Europea una finestra strategica. La pubblicazione del Patto per gli Oceani è prevista in prossimità della Conferenza delle Nazioni Unite sugli Oceani, dal 9 al 13 giugno a Nizza, e può consolidare la leadership dell’UE nell’agenda oceanica globale. La concorrenza internazionale è esitante; ciò conferisce a Bruxelles una responsabilità e un’opportunità uniche.

Ma la posta in gioco è anche sociale. Le comunità costiere, i pescatori artigianali, i territori più fragili dipendono da un mare sano per prosperare. Non si tratta solo di tutelare l’ambiente, ma di garantire continuità economica e coesione sociale nelle regioni che vivono di mare.

Damanaki e Sinkevičius parlano esplicitamente di “sfida economica e di sicurezza”, sottolineando che un oceano impoverito può compromettere l’intera architettura dell’economia blu europea. E il messaggio è inequivocabile: “L’ambizione sulla carta deve essere accompagnata da responsabilità nella pratica”.

Una chiamata all’azione per istituzioni e settore

Il richiamo lanciato dagli ex commissari è rivolto anche al mondo produttivo e alla società civile. La pesca europea ha bisogno di un quadro normativo stabile, ambizioso e applicato. Le imprese della trasformazione, le organizzazioni di categoria e i buyer devono potersi muovere in un contesto trasparente e sostenibile, dove il rispetto delle regole rappresenti un vantaggio competitivo e non una penalizzazione.

Il settore ittico è chiamato a essere parte attiva del cambiamento, sia come interlocutore tecnico che come testimone di buone pratiche. Il Patto per gli Oceani può rappresentare il punto di svolta per un nuovo equilibrio tra tutela ambientale e sviluppo economico. Ma per esserlo davvero, deve diventare operativo, vincolante, verificabile.

La riflessione di Damanaki e Sinkevičius è più di un appello politico: è un atto di responsabilità nei confronti del futuro marino europeo. Serve un salto di qualità nella governance oceanica e, soprattutto, un atto di coraggio da parte della Commissione e degli Stati membri.

Solo attraverso misure concrete, come il divieto della pesca a strascico nelle AMP, sarà possibile garantire un futuro sostenibile per gli ecosistemi marini e per le filiere economiche che da essi dipendono.

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Fauna protetta e aree protette: nuovi contributi per agricoltura e itticoltura

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Contributi per l’acquisto di sistemi di prevenzione (come recinzioni e dissuasori per gli animali) e per i danni causati dalla fauna protetta, o arrecati nelle aree protette, anche per il comparto dell’itticoltura. Ampliamento delle possibilità di esenzione dall’obbligo della messa in opera di misure di prevenzione adeguate e della gamma dei costi riconoscibili in caso di danni al comparto zootecnico. E, infine, ampliamento della gamma dei costi indiretti indennizzabili per danni da canidi.

È quanto previsto nella notifica inviata dalla Regione alla Commissione europea che ne ha dato parere positivo, riconoscendo che queste tipologie di contributi sono aiuti di Stato che non ledono la concorrenza e sono compatibili con le regole del mercato europeo stesso, così come è stata approvata la possibilità di riconoscere costi indiretti nel caso di danni al patrimonio zootecnico.

“Siamo– sottolinea l’assessore all’Agricoltura della Regione Emilia-Romagna, Alessio Mammifra le poche regioni italiane ad aver presentato e ottenuto attraverso la notifica alla Commissione Europea, la possibilità di concedere al di fuori del regime del de-minis contributi finalizzati all’acquisto di sistemi di prevenzione e per far fronte ai danni da fauna protetta, o nelle aree protette, alle attività agricole e di itticoltura. Un risultato molto importante- prosegue Mammi- che ci permette di garantire un aiuto concreto alle aziende che quotidianamente combattano per difendere le proprie produzioni, salvaguardando un patrimonio economico, culturale e sociale, fatto anche di tradizione e di decine di posti di lavoro”.

I provvedimenti sono stati illustrati e approvati oggi pomeriggio nella Commissione Politiche economiche dell’assemblea legislativa e saranno a breve approvati in giunta.

I danni indennizzabili

In base ai nuovi criteri, sono indennizzabili i danni causati su tutto il territorio regionale dalle specie protette e i danni arrecati dalla fauna alle attività agricole e di itticoltura svolte con continuità all’interno delle zone protette.

Per danni si intendono le perdite di animali oggetto di produzione zootecnica (e relativi costi indiretti) o di allevamento ittico, i danni a piante o prodotti agricoli oggetto di commercializzazione e i danni materiali ad attrezzature e impianti funzionali all’esercizio dell’attività agricola o di itticoltura.

Il valore più alto dei contributi per i danni può raggiungere la soglia massima del 100% dell’accertato. Sono ammesse a contributo le produzioni dove siano stati adottati idonei sistemi di prevenzione. Costituiscono eccezione a questo vincolo i casi di danni arrecati in zone di nuova colonizzazione da parte di una specie selvatica e di primo attacco a un sito di itticoltura da uccelli predatori protetti, nonché i casi in cui non risultino attuabili i sistemi di difesa attualmente disponibili e/o in cui gli stessi contrastino con obiettivi di conservazione delle specie faunistiche.

I beneficiari: chi può richiedere i contributi

Possono richiedere contributi per la prevenzione e i danni da animali selvatici le micro, piccole e medie imprese attive in Emilia-Romagna nella produzione agricola primaria e nell’itticoltura, che abbiano una serie di requisiti. Tra questi, il possesso di partita IVA, l’iscrizione all’anagrafe regionale delle Aziende Agricole, la registrazione presso l’Azienda Usl competente per territorio.

Misure di prevenzione

Per gli allevamenti zootecnici si può presentare richiesta di contributo per la recinzione metallica fissa, la mista fissa, l’elettrificata semipermanente, la mobile elettrificata, i dissuasori faunistici, i cani da guardia. Per le produzioni vegetali e gli allevamenti ittici, si può presentare richiesta di contributo per le recinzioni perimetrali meccaniche, le protezioni meccaniche antiuccelli, le protezioni meccaniche individuali, le recinzioni elettriche, i dissuasori faunistici, in funzione degli specifici bandi emessi dalla Regione.

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