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È arrivato l’accordo tra Ursula von der Leyen e Donald Trump, e con esso una nuova stagione di dazi sull’export europeo verso gli Stati Uniti. La misura prevede un’imposta doganale uniforme del 15% sulla maggior parte dei beni esportati, lasciando fuori solo alcuni comparti strategici come l’aerospazio e la microelettronica. Ma per l’agroalimentare italiano, di cui l’ittico è parte integrante, la notizia rischia di trasformarsi in un freno alla competitività.

L’intesa evita l’ipotesi ben più penalizzante di un dazio al 30%, paventata fino a pochi giorni fa, ma non è indolore. L’export ittico italiano verso gli Stati Uniti, seppur non il segmento dominante, rappresenta un canale ad alto valore aggiunto per le imprese che operano nella trasformazione, nel premium e nei prodotti certificati. Le preparazioni a base di tonno, acciughe e sgombro, i crostacei di pregio e i filetti affumicati destinati alla ristorazione e al retail gourmet potrebbero vedere i propri margini contratti o la domanda rallentata.

Secondo gli operatori del comparto, il rischio è duplice: da un lato l’aumento dei costi rende i prodotti italiani meno appetibili sullo scaffale statunitense rispetto ai concorrenti extraeuropei; dall’altro, la combinazione con il deprezzamento del dollaro aggrava ulteriormente il quadro per le imprese esportatrici. Il settore ittico si ritrova così nella posizione scomoda di dover assorbire un impatto commerciale non causato da squilibri interni, ma da tensioni geopolitiche e dinamiche macroeconomiche esterne.

Le associazioni italiane del settore agroalimentare hanno già lanciato l’allarme, chiedendo a Bruxelles e al Governo italiano misure specifiche per i comparti più esposti. Anche l’industria della pesca e della trasformazione ittica guarda con attenzione agli sviluppi: in gioco non c’è solo la tenuta dell’export, ma anche il mantenimento di una posizione di eccellenza nel mercato USA, dove l’origine italiana è spesso sinonimo di qualità.

Sebbene non siano ancora stati pubblicati i dettagli merceologici completi dell’accordo, è ragionevole ipotizzare che gran parte delle voci doganali dell’ittico trasformato rientrino nella tariffazione maggiorata. Un elemento che rende necessaria una riflessione strategica per chi opera nel commercio con gli Stati Uniti: rivedere il posizionamento, pianificare promozioni mirate o valutare, laddove possibile, l’accesso ad agevolazioni bilaterali alternative.

In definitiva, l’accordo evita un’escalation dannosa, ma impone un cambio di passo. Per il comparto ittico italiano, che ha saputo negli anni costruire una reputazione solida nei mercati internazionali, sarà fondamentale monitorare l’evoluzione normativa e intervenire con strumenti di mitigazione. La politica commerciale europea è chiamata ora a non lasciare sole le filiere strategiche che contribuiscono al valore del made in Italy nel mondo.

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L’articolo I dazi USA al 15% mettono in allerta l’export ittico italiano proviene da Pesceinrete.

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