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È uno dei punti ciechi più insidiosi del sistema pesca europeo: la trasparenza sulla titolarità effettiva nel settore della pesca resta un nodo irrisolto che alimenta, senza ostacoli, pratiche illegali e operazioni opache. Lo denuncia Oceana Europe, l’organizzazione internazionale per la tutela degli oceani, che in un recente approfondimento firmato da Arin Owoturo chiede riforme urgenti per rendere visibili e perseguibili i veri beneficiari delle flotte pescherecce.

La “titolarità effettiva” identifica chi, in ultima istanza, possiede, controlla e trae profitto da un peschereccio o da un’intera compagnia di pesca, anche se non compare nei registri ufficiali. Spesso si tratta di persone fisiche o aziende che, per convenienza o per evitare sanzioni, operano tramite società fittizie registrate in Paesi terzi, noti per normative permissive e controlli scarsi: le cosiddette bandiere di comodo.

Secondo Oceana, molti operatori europei aggirano così le regole comunitarie, continuando a beneficiare del pescato ottenuto fuori dai radar normativi dell’Unione. Il risultato è una flotta d’altura europea molto più estesa di quanto appaia nei dati ufficiali. Se si includono le imbarcazioni con bandiere estere ma controllate da soggetti UE, le dimensioni della flotta sarebbero più che raddoppiate.

Il problema non è solo quantitativo. È sistemico. Il diritto dell’Unione vieta espressamente a cittadini e aziende europee di finanziare o trarre vantaggio da attività di pesca illegale, ovunque avvengano. Tuttavia, attualmente non esiste alcun obbligo di dichiarare interessi economici in pescherecci registrati fuori dall’UE. Questo vuoto normativo rende praticamente impossibile risalire al vero proprietario di una nave coinvolta in attività non conformi.

Il meccanismo è già stato osservato in casi concreti. Una nave sorpresa a pescare illegalmente nell’Oceano Indiano, ad esempio, può risultare intestata a una società registrata in una piccola isola. Il legale rappresentante è un intermediario locale privo di potere decisionale. I profitti, però, tornano a un soggetto europeo che resta giuridicamente intoccabile, perché non compare in alcun registro pubblico consultabile dalle autorità.

In questo scenario, invocare la trasparenza sulla titolarità effettiva nel settore della pesca non è un esercizio accademico, ma una priorità per la tenuta del sistema. Oceana chiede agli Stati membri di introdurre l’obbligo per cittadini e imprese di dichiarare ogni interesse – legale, finanziario o operativo – in imbarcazioni battenti bandiere extra-UE. E chiede alla Commissione europea di creare una banca dati unica e accessibile, in grado di raccogliere e rendere pubbliche queste informazioni.

L’opacità, infatti, non tutela solo gli illeciti. Inquina la concorrenza, danneggia le imprese che operano correttamente e indebolisce le strategie di sostenibilità marina. Chi trae profitto dalla pesca illegale può permettersi prezzi più bassi, ignorare le stagioni di fermo biologico e aggirare i limiti imposti per la tutela degli stock ittici.

La trasparenza sulla titolarità effettiva nel settore della pesca è l’unico strumento efficace per impedire che i veri responsabili continuino a nascondersi. Come osserva Oceana, finché i beneficiari reali resteranno al sicuro dietro una rete di società offshore e prestanome, ogni sforzo contro la pesca illegale sarà vanificato.

Il mancato obbligo di dichiarare gli interessi economici nelle flotte estere permette ai beneficiari europei di trarre profitto da attività non sempre lecite. Oceana propone una riforma strutturale per imporre trasparenza e rendere visibili i veri attori della filiera. Senza questa misura, la lotta alla pesca illegale rischia di restare solo sulla carta.

Serve un impegno comune per riportare trasparenza e legalità in mare. Restiamo informati, parliamone, facciamoci sentire.

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L’articolo Oceana avverte: “Senza trasparenza, la pesca illegale non si ferma” proviene da Pesceinrete.

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