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La sorprendente ascesa dell’industria cilena delle cozze è oggi uno dei casi più emblematici al mondo di sviluppo strategico del settore acquacolturale. A metterlo nero su bianco è un nuovo studio condotto dal Centro interdisciplinare per la ricerca sull’acquacoltura (INCAR), che ricostruisce come il Paese sia passato da esportare 2.000 tonnellate di mitili nei primi anni ’90 a 400.000 tonnellate nel 2020, diventando il più grande esportatore al mondo e il secondo produttore dopo la Cina.

Il successo dell’industria cilena delle cozze non è frutto del caso. Secondo i ricercatori, è l’esito di un processo lungo, pianificato e multilivello, avviato grazie a una convergenza virtuosa di fattori: risorse naturali favorevoli, politiche pubbliche lungimiranti, investimenti esteri, infrastrutture logistiche, forza lavoro qualificata e una crescente domanda globale per prodotti più elaborati e certificati.

Lo studio, firmato da Marjorie Baquedano, Carlos Chávez, Jorge Dresdner e Håkan Eggert, analizza gli impatti economici, ambientali e sociali di questa crescita attraverso una metodologia rigorosa, integrando interviste sul campo nella regione di Los Lagos, revisione della letteratura e indicatori di performance.

La spinta iniziale è arrivata dalle condizioni geografiche e ambientali della regione di Los Lagos, dove si concentra quasi l’intera produzione nazionale. Ma senza una governance attiva, il potenziale naturale non si sarebbe mai tradotto in una filiera industriale competitiva. Decisiva, ad esempio, è stata la scelta di trasferire centri pilota di allevamento a operatori non statali, favorendo il know-how diffuso. Allo stesso modo, gli accordi di libero scambio e la riduzione delle tariffe doganali hanno ampliato i mercati di sbocco, mentre gli investimenti in ricerca e promozione hanno elevato la qualità del prodotto e la sua riconoscibilità.

L’industria cilena delle cozze ha saputo intercettare il cambiamento della domanda internazionale, puntando su un’offerta più lavorata, refrigerata e adatta ai mercati europei. Anche i costi di trasporto marittimo hanno giocato un ruolo, grazie alla maggiore efficienza logistica e al miglioramento delle catene del freddo.

Ma il messaggio più forte che arriva dallo studio è di tipo politico: lo sviluppo industriale dell’acquacoltura richiede una strategia di lungo periodo, fondata su collaborazione pubblico-privato, politiche di sostegno, formazione e apertura commerciale. Senza questi ingredienti, le risorse naturali restano sottoutilizzate.

Le sfide per il futuro non mancano. Secondo lo studio INCAR, la sostenibilità dell’industria cilena delle cozze dipenderà dalla capacità di mantenere relazioni commerciali stabili con mercati chiave come l’UE e l’Asia emergente, ma anche dall’inclusione dei piccoli produttori attraverso incentivi mirati per l’adozione di certificazioni ambientali e sociali.

In sintesi, la traiettoria del Cile offre spunti preziosi per i paesi che vogliono rafforzare la propria mitilicoltura, compresa l’Italia, dove il potenziale dell’acquacoltura resta in parte inespresso. Se ben accompagnata da politiche industriali coerenti, l’acquacoltura può diventare un motore di sviluppo costiero, innovazione e export.

Guardare al Cile significa comprendere che lo sviluppo dell’acquacoltura non è un automatismo, ma una scelta politica e industriale da costruire nel tempo.

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L’articolo Dal nulla al primato mondiale: la rivoluzione cilena delle cozze proviene da Pesceinrete.

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