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Il greenwashing nell’acquacoltura UE non è solo una preoccupazione accademica: rappresenta un ostacolo concreto alla fiducia dei consumatori. Un recente studio condotto in cinque Paesi europei evidenzia un problema strutturale di percezione. Per l’intero settore dell’acquacoltura il tema è diventato strategico: ricostruire la credibilità è oggi una necessità urgente.

Promesse verdi e realtà operative: un divario pericoloso

Negli ultimi anni, l’acquacoltura è stata spesso presentata come un settore chiave per la transizione verso un sistema alimentare sostenibile. Ma tra le dichiarazioni green e la realtà produttiva persistono incongruenze. In Norvegia, per esempio, problematiche come l’elevata mortalità e la diffusione di parassiti marini mettono in crisi la narrazione di sostenibilità. Anche nei Paesi mediterranei dell’UE, l’impatto su ecosistemi costieri solleva interrogativi.

È in questo contesto che il greenwashing nell’acquacoltura UE viene percepito come un meccanismo comunicativo fuorviante. Le affermazioni ambientali non accompagnate da dati solidi alimentano diffidenza. Per chi opera nella trasformazione, distribuzione o promozione del prodotto ittico, questo significa perdita di valore e reputazione.

Tre profili di consumatori: tutti chiedono trasparenza

La survey realizzata con il contributo dell’Università di Bologna ha coinvolto 2.500 persone in Italia, Francia, Germania, Spagna e Regno Unito. I risultati segmentano i consumatori in tre categorie:

  • Gli scettici: diffidano delle dichiarazioni green. Considerano rischiosa l’informazione che proviene dall’industria, ma sono aperti a cambiare idea se messaggi più autentici dovessero emergere.
  • I fiduciosi: un segmento ristretto, ma con atteggiamento positivo verso tutti i sistemi acquicoli, purché siano certificati e comprensibili.
  • I disinformati: la maggioranza. Conoscono poco il settore e sono incerti di fronte a tecnologie come RAS o IMTA. La mancanza di riferimenti comprensibili li rende vulnerabili alla sfiducia.

Il dato più rilevante? Anche chi si fida del comparto richiede chiarezza e strumenti per verificare le informazioni. In assenza di queste condizioni, il greenwashing nell’acquacoltura UE diventa una barriera all’acquisto consapevole.

Come invertire la rotta: norme e pratiche comunicative

Per contrastare la diffusione di messaggi ingannevoli, la Commissione Europea ha introdotto nuove regole contro il greenwashing. Tra le più rilevanti:

  • Divieto di affermazioni ambientali generiche senza prove documentate.
  • Obbligo di usare etichette ambientali riconosciute da autorità pubbliche o da standard certificati.

Tuttavia, la soluzione non può essere solo normativa. Le imprese devono riformulare il modo in cui comunicano il proprio impatto. Più che cercare frasi d’effetto, è preferibile mostrare il percorso: i progressi fatti, le difficoltà incontrate, le verifiche effettuate da terzi. Questo approccio non solo rafforza la fiducia, ma differenzia positivamente chi opera con serietà da chi si limita a un marketing di facciata.

Il greenwashing nell’acquacoltura UE è oggi un rischio reputazionale sistemico. Se ignorato, danneggerà l’intero settore. Se affrontato con trasparenza e rigore, può diventare un’opportunità per distinguere le imprese davvero impegnate nella sostenibilità. La comunicazione non è un orpello, ma un pilastro della competitività.

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L’articolo Acquacoltura europea: quando la fiducia crolla sotto il peso del greenwashing proviene da Pesceinrete.

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