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Acquacoltura e salute: la nuova frontiera del cibo che ci salva

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Acquacoltura e salute: la nuova frontiera del cibo che ci salva – Nel cuore del dibattito globale su nutrizione, sostenibilità e sicurezza alimentare, l’acquacoltura si sta ritagliando un ruolo da protagonista. Ma nonostante il suo potenziale rivoluzionario, il legame tra pesce allevato e salute umana rimane sorprendentemente sottovalutato. Un paradosso, se si considera che gli alimenti acquatici – pesce, molluschi, crostacei e microalghe – offrono alcuni dei più alti valori nutrizionali presenti in natura.

A lanciare l’allarme è la ricercatrice danese Nanna Roos, che invita a una riflessione urgente: come possiamo parlare di transizione ecologica e sicurezza alimentare senza analizzare a fondo l’impatto dell’acquacoltura sul benessere umano? Le sue osservazioni, pubblicate su Frontiers in Aquaculture, aprono un fronte di discussione che l’industria ittica non può più permettersi di ignorare.

Oggi oltre tre milioni di bambini sotto i cinque anni muoiono ogni anno a causa della malnutrizione. Allo stesso tempo, più di 2,5 miliardi di persone sono in sovrappeso o obese, esposte a malattie croniche come il diabete e i problemi cardiovascolari. È in questo contesto che il pesce allevato si presenta come uno degli alimenti più promettenti per riequilibrare le diete globali. La sua composizione lipidica, ricca di acidi grassi omega-3 a catena lunga come DHA ed EPA, è scientificamente riconosciuta per i suoi effetti positivi sulla salute. Eppure, manca ancora una visione sistemica in grado di valorizzare appieno questi benefici.

Non tutti i pesci, però, sono uguali. Il loro valore nutrizionale dipende da moltissimi fattori: la specie, l’ambiente di allevamento, la salinità dell’acqua, ma soprattutto la composizione del mangime. Sostituire specie selvatiche con pesci allevati può alterare l’apporto nutrizionale delle diete tradizionali, e la sostituzione degli oli marini con oli vegetali nei mangimi – pur utile a ridurre la pressione sugli oceani – modifica il contenuto di nutrienti benefici. Ecco perché servono studi mirati, capaci di misurare scientificamente l’impatto del pesce allevato sulla crescita dei bambini, sullo sviluppo cognitivo e sulla prevenzione delle patologie croniche.

Nel frattempo, l’acquacoltura si confronta anche con la sfida della sicurezza alimentare. Conservazione, trasformazione e distribuzione dei prodotti ittici sono spesso sottovalutate, ma una cattiva gestione può compromettere la qualità nutrizionale e sanitaria del prodotto. Da qui l’urgenza di investire in tecnologie sicure, sostenibili e capaci di valorizzare tutto il potenziale dell’alimento blu per eccellenza.

In un mondo che guarda sempre più al futuro del cibo, il settore dell’acquacoltura è chiamato a evolvere, ma con un passo in più: quello della consapevolezza. Una consapevolezza che parte dalla scienza e arriva fino alla tavola, passando per le scelte strategiche dell’industria e della politica. Perché nutrire il pianeta significa anche sapere come e con cosa lo stiamo facendo. E oggi, più che mai, il pesce può fare la differenza.

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Acquacoltura protagonista del futuro: nel 2050 la svolta globale

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Acquacoltura protagonista del futuro: nel 2050 la svolta globale – L’acquacoltura sta per compiere un salto epocale, capace di riscrivere le regole della produzione ittica mondiale entro il 2050. È un cambio di paradigma ormai inevitabile. Con una crescita più rapida rispetto alla pesca selvatica, gli allevamenti di pesce e alghe si avviano a diventare la principale fonte di approvvigionamento globale. Secondo le ultime stime, entro la metà del secolo la produzione da acquacoltura raggiungerà quota 124 milioni di tonnellate all’anno, surclassando le 89 milioni di tonnellate previste per la pesca tradizionale, anche nello scenario di gestione più ottimale.

Questo cambiamento epocale non è frutto del caso, ma di un insieme di dinamiche economiche e produttive che stanno rivoluzionando l’intera filiera. Efficienza produttiva, economie di scala, innovazioni nei mangimi e una pianificazione strategica dello spazio marino sono i veri motori di questa accelerazione. Le specie ad alto valore commerciale, oggi già protagoniste dei mercati internazionali, manterranno il loro primato. È proprio grazie al miglioramento delle pratiche di allevamento e alla continua ricerca di ingredienti sostenibili per l’alimentazione che si riuscirà a consolidare e far prosperare questi segmenti.

Il mercato dei mangimi, in particolare, dovrà sostenere volumi mai visti prima. Si parla di almeno 40 milioni di tonnellate all’anno di feed dedicato all’acquacoltura marina, più del triplo rispetto ai livelli del 2018. È qui che la sfida si gioca sul terreno dell’innovazione, con nuovi ingredienti e filiere circolari che mirano a ridurre la pressione sulle risorse naturali e garantire la sostenibilità del settore.

Il report di DNV, alla base di queste previsioni, evidenzia inoltre un punto strategico che potrebbe accelerare ulteriormente la crescita: l’integrazione tra acquacoltura e altre attività industriali marine, come l’eolico offshore. Un futuro in cui le piattaforme multifunzionali ospiteranno impianti di allevamento eolico e acquacoltura non è più fantascienza, ma una concreta opportunità di co-sviluppo all’interno dell’economia blu.

Tuttavia, il cammino verso il 2050 non sarà privo di ostacoli. Il cambiamento climatico e la salute degli animali acquatici rappresentano due fattori critici da tenere sotto controllo. L’aumento delle temperature, l’acidificazione degli oceani e la diffusione di malattie potrebbero compromettere le produzioni monocolturali, rendendo indispensabile una gestione biologica attenta e resiliente. Anche la trasparenza e la tracciabilità delle produzioni acquisteranno un ruolo chiave, per garantire che la corsa alla crescita non sacrifichi sostenibilità e responsabilità sociale.

Ciò che emerge con forza è una certezza: il futuro della nostra alimentazione sarà sempre più legato all’acquacoltura. Un settore in rapida trasformazione, pronto a rispondere alle esigenze di una popolazione mondiale in crescita e sempre più attenta alla provenienza e alla qualità del cibo. Pesce, crostacei, molluschi e alghe non saranno soltanto risorse alimentari, ma i protagonisti di una nuova era produttiva che sta già prendendo forma sotto i nostri occhi.

Acquacoltura protagonista del futuro: nel 2050 la svolta globale

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La rinascita delle pescherie passa dalla relazione con i clienti

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La rinascita delle pescherie passa dalla relazione con i clienti – C’è un’aria nuova tra i banchi del pesce, e non è solo il profumo del mare. A guidare la rinascita delle pescherie indipendenti è il ritorno di un protagonista dimenticato: il pescivendolo. Quello che non si limita a vendere un prodotto, ma che guarda il cliente negli occhi, lo ascolta, lo accompagna. Che sa consigliare un’alternativa stagionale, raccontare una ricetta semplice, suggerire un abbinamento. E soprattutto, sa creare fiducia.

Sue MacKenzie, presidente della National Federation of Fishmongers e titolare del The Fish Shop nel Surrey, Inghilterra sud-occidentale, è oggi una delle figure simbolo di questo cambiamento. Il suo negozio è diventato un punto di riferimento per la comunità non solo per la qualità del pesce, ma per il modo in cui lo propone, lo racconta, lo condivide. Perché la differenza, oggi, la fa l’esperienza.

Sue ha trasformato la sua pescheria in un luogo di incontro. La vetrina non è solo una distesa ordinata di filetti e crostacei, ma una scenografia studiata con cura e creatività per incuriosire, invogliare, far venire voglia di cucinare. Le conversazioni con i clienti iniziano spesso con “cos’hai di buono oggi?” e finiscono con un sorriso e un “ci provo!”. È lì, in quel passaggio, che avviene la magia: il cliente non è più un acquirente distratto, ma una persona coinvolta, informata, ispirata.

Il lavoro di Sue non si ferma alla porta del negozio. Sui social condivide idee, ricette, consigli. Parla di promozioni, stagionalità, eventi. Organizza degustazioni serali, crea menù per le festività, ascolta le esigenze delle diverse comunità culturali. Non solo conosce i gusti dei suoi clienti, ma li anticipa. E questo genera fedeltà, passaparola, relazione.

In un’epoca dove tutto è diventato impersonale e veloce, il pescivendolo torna ad essere figura centrale: un professionista competente, un selezionatore fidato, un narratore del mare. Il pesce non è più un acquisto da fare di corsa il venerdì. Diventa parte della quotidianità, anche grazie alla semplicità con cui può essere preparato, quando qualcuno ti spiega come farlo.

Il coinvolgimento del consumatore è il vero punto di svolta. È lì che si vince o si perde la partita. Chi entra in una pescheria per la prima volta ha bisogno di sentirsi accolto, non giudicato. Ha bisogno di capire la differenza tra orata di allevamento e pescata, tra un prodotto locale e uno proveniente da chissà dove. Ha bisogno di qualcuno che gli dica con semplicità “prova questo, è fresco e facile da cucinare”.

E quel qualcuno oggi esiste, ed è in crescita. In Regno Unito, il ritorno della pescheria indipendente è realtà. I numeri parlano chiaro, ma più dei numeri parlano le persone: clienti che ritrovano il piacere di comprare pesce in modo consapevole, di cucinarlo, di condividerlo.

Il segreto è tutto lì: dare al consumatore un ruolo attivo nella filiera, renderlo partecipe, ascoltarlo. È una rivoluzione silenziosa, che nasce dalla qualità, ma si afferma nella relazione. E che in Italia potrebbe trovare terreno fertile, se solo si smettesse di dare per scontata la ricchezza della nostra offerta ittica.

C’è bisogno di pescivendoli che non si limitino a “mettere il pesce in mostra”, ma che sappiano comunicare il valore del prodotto, la sua provenienza, il suo impatto. C’è bisogno di trasformare il banco del pesce in uno spazio vivo, dinamico, familiare. Dove si costruisce fiducia, si tramandano ricette, si rinnova ogni giorno il legame con il mare.

Il futuro della filiera passa da qui: non solo da grandi strategie industriali, ma da piccoli gesti quotidiani, autentici, che parlano alle persone. Il pescivendolo non è un mestiere del passato. È un mestiere del presente, se sa guardare negli occhi il futuro.

La rinascita delle pescherie passa dalla relazione con i clienti

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Norvegia, basta compromessi: solo chi rispetta l’ambiente potrà produrre pesce

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Norvegia, basta compromessi: solo chi rispetta l’ambiente potrà produrre pesce – L’acquacoltura norvegese sta per cambiare volto, e non si tratta di un semplice aggiustamento normativo, ma di una vera e propria rivoluzione. Con la presentazione del nuovo libro bianco, la ministra della Pesca e degli Oceani Marianne Sivertsen Næss ha aperto un capitolo inedito per l’industria ittica più potente d’Europa. Obiettivo dichiarato: rendere più sostenibile, trasparente e responsabile il secondo settore di esportazione del Paese. Ma dietro le intenzioni si nascondono strumenti che potrebbero fare scuola anche fuori dai confini norvegesi.

Il cuore della riforma batte su tre assi portanti: il legame tra impatto ambientale e possibilità produttiva, l’introduzione di una tassa sulla mortalità dei pesci allevati e la nascita di un mercato di quote negoziabili per le emissioni di pidocchi di mare. Un cambio di paradigma che premia chi investe in benessere animale, biosicurezza e innovazione tecnologica.

Il punto più discusso è certamente quello che collega la quantità massima di biomassa allevabile alla presenza dei pidocchi di mare: più se ne registrano, meno si potrà produrre. È un meccanismo che trasforma una sfida sanitaria in un incentivo economico. Non sarà più conveniente sottovalutare l’impatto ambientale, anzi: chi lo riduce, guadagna.

Non è finita. Le aziende dovranno fare i conti anche con una nuova tassa, legata al tasso di mortalità degli animali. Una misura drastica, che parte in forma ridotta ma promette di crescere, per spingere il settore verso l’obiettivo fissato dal governo: meno del 5% di mortalità. Se l’asticella viene superata, scattano le sanzioni. Un sistema che promette di cambiare radicalmente le logiche dell’allevamento intensivo.

Cambia anche il sistema delle autorizzazioni: niente più tetti fissi alla produzione, ma libertà vincolata al rispetto delle nuove regole. I nuovi permessi saranno messi all’asta, e potranno essere utilizzati solo nelle aree geografiche autorizzate. Più efficienza, più competitività, più responsabilità.

È un segnale forte quello che arriva da Oslo, in un momento in cui l’acquacoltura europea è chiamata a rispondere alle pressioni del mercato globale, alla richiesta crescente di proteine blu e agli standard ambientali sempre più rigorosi. La Norvegia alza l’asticella e scommette su un modello dove ambiente e profitto non si escludono, ma si alimentano a vicenda.

Il messaggio è chiaro: il futuro dell’acquacoltura non sarà solo una questione di tonnellate prodotte, ma di come quelle tonnellate vengono ottenute. E chi saprà stare al passo, anche fuori dalla Norvegia, potrebbe raccogliere i frutti di una transizione che sembra ormai inevitabile.

Norvegia, basta compromessi: solo chi rispetta l’ambiente potrà produrre pesce

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Donazzan (FdI): in Europa per difendere pesca e porti italiani

Donazzan (FdI): in Europa per difendere pesca e porti italiani

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Donazzan

Donazzan porta in Europa la voce della pesca e dei porti italiani

Elena Donazzan, europarlamentare di Fratelli d’Italia e vicepresidente della Commissione Industria al Parlamento europeo, eletta nella circoscrizione Nordest con oltre 63mila preferenze dopo solo Giorgia Meloni, ha presentato due interrogazioni alla Commissione europea per accendere i riflettori su due settori strategici per l’Italia e in particolare per il Nordest: la pesca e la portualità dell’Alto Adriatico.

“Porto in Europa la voce di chi lavora ogni giorno nel mare e grazie al mare – ha dichiarato Donazzan –. Serve un’Europa che ascolti e agisca, non che imponga regole cieche. La pesca e i nostri porti non possono essere abbandonati”.

Nel primo intervento, l’europarlamentare ha chiesto con forza una revisione delle politiche comunitarie sulla pesca, denunciando un progressivo e preoccupante declino della flotta peschereccia italiana: -21% dal 2004, con un taglio del 33% dei giorni di pesca tra il 2008 e il 2023. A pesare ulteriormente sul comparto sono le proposte della Commissione UE che prevedono nuove restrizioni alla pesca a strascico nel Mediterraneo occidentale (-38%) e limiti severi sulle catture di specie come gambero rosso, gambero viola e merluzzo.

“Il settore è al collasso – ha affermato Donazzan –. È necessario rivedere subito il regolamento FEAMPA e il Piano d’Azione del 2023. E serve anche un piano serio per contrastare la diffusione delle specie aliene invasive, che stanno compromettendo gli ecosistemi marini e le economie locali’’.

Porti dell’Alto Adriatico sotto pressione: servono risposte concrete

Con la seconda interrogazione, Donazzan ha acceso i riflettori sulla crisi in atto nel Mar Rosso e sulle sue gravi ricadute per i porti italiani dell’Alto Adriatico – Ravenna, Trieste e Venezia – oltre a quelli di Capodistria (Slovenia) e Fiume (Croazia). La situazione geopolitica ha stravolto le rotte commerciali, facendo lievitare i costi dei noli, aumentando le emissioni e minacciando la competitività dell’intero sistema portuale dell’Adriatico settentrionale.

“Servono interventi immediati – ha sottolineato –. La Commissione europea deve mettere in campo risorse straordinarie e strategie efficaci per tutelare questi porti, che rappresentano un punto nevralgico per settori strategici come automotive, energia e logistica”.

Con queste due interrogazioni, Elena Donazzan richiama l’attenzione dell’Europa sulla necessità di politiche più equilibrate e aderenti alla realtà dei territori. Una battaglia che, ha assicurato, continuerà a portare avanti a fianco di chi ogni giorno lavora sul mare e per il mare.

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