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Canale di Sicilia, risorse ittiche al minimo: marinerie in stato di crisi – La voce dei pescatori siciliani è diventata un grido che risuona tra i moli deserti e le reti vuote. A Lampedusa e Sciacca, due simboli della tradizione marinara del Mediterraneo, la pesca non è più garanzia di sostentamento. Nel Canale di Sicilia il pesce sta scomparendo e con esso il futuro di intere comunità che da generazioni vivono del mare.
Non si tratta di una crisi passeggera. I pescatori parlano chiaro: «Il pesce non c’è più». Non è solo un’impressione, ma la drammatica realtà confermata da settimane di uscite a vuoto, dove il carburante consumato vale più del pescato riportato a terra. Le cause sono molteplici e intrecciate in un quadro complesso. Il cambiamento climatico ha accelerato la tropicalizzazione del Mediterraneo, con temperature in costante aumento che alterano gli equilibri biologici e spingono molte specie a migrare verso acque più profonde o più fredde. A questo si aggiunge l’eredità di anni di sovrasfruttamento degli stock ittici e la persistente minaccia della pesca illegale nelle acque internazionali, dove controlli e regole sembrano non arrivare mai.
Totò Martello, presidente del Cogepa di Lampedusa, chiede con forza un fermo biologico lungo e retribuito, almeno sei mesi di pausa per consentire al mare di rigenerarsi. Una richiesta che si fa portavoce non solo delle marinerie pelagiche, ma di tutta la Sicilia e del Sud Italia. A Sciacca, la situazione non è diversa: le cooperative hanno proclamato lo stato di crisi e chiesto la dichiarazione di calamità naturale. Il gambero è sempre più raro, il pesce azzurro scompare, e la preoccupazione cresce ogni giorno che passa.
Questa crisi però non si misura soltanto in termini di mancate catture. È una crisi sociale, culturale ed economica. Le marinerie rischiano di svuotarsi, non solo di pesce, ma di uomini e donne che vivono di questo lavoro. Giovani che vedono svanire la prospettiva di continuare l’attività di famiglia, aziende dell’indotto che chiudono, economie locali che si impoveriscono.
Le soluzioni non possono più essere rinviate. Serve un intervento strutturale che unisca politiche di tutela ambientale a misure di sostegno concreto per i pescatori. Il fermo biologico deve essere parte di una strategia più ampia che comprenda il contrasto deciso alla pesca illegale, la cooperazione internazionale nel Mediterraneo e l’investimento in tecnologie per una pesca più selettiva e sostenibile. Allo stesso tempo, è necessario incentivare percorsi di diversificazione economica come l’ittiturismo o la trasformazione locale del pescato, per ridurre la dipendenza dallo sforzo di pesca diretto.
Il Canale di Sicilia, oggi, racconta una storia che non riguarda solo le marinerie di Lampedusa e Sciacca, ma tutto il Mediterraneo e l’idea stessa di sostenibilità nel settore ittico. Ignorare questo segnale significherebbe accettare che il mare diventi solo una distesa d’acqua senza vita. È il momento di ascoltare chi il mare lo conosce davvero e agire prima che sia troppo tardi.
Canale di Sicilia, risorse ittiche al minimo: marinerie in stato di crisi
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