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Nonostante l’attenzione crescente alla sostenibilità, la pianificazione dello spazio marittimo in Europa si sta rapidamente trasformando in un campo minato per il settore della pesca. Il recente Dialogo presieduto dal Commissario europeo per la Pesca e gli Oceani, Costas Kadis, ha offerto uno spazio importante di confronto, ma le parole di Daniel Voces, direttore generale di Europeche, non lasciano margini di ambiguità: “I mari europei sono a un bivio critico”.
Il motivo è presto detto. La corsa all’eolico offshore, la proliferazione delle aree marine protette, l’espansione del turismo e dei trasporti marittimi stanno generando una pressione spaziale senza precedenti. In questo scenario, la pesca – settore chiave per la sovranità alimentare e unica attività dell’economia blu in calo – rischia l’estromissione silenziosa dalle sue aree tradizionali di attività.
Lo scenario britannico è già inquietante. Secondo Europeche, quasi la metà della Zona Economica Esclusiva (ZEE) del Regno Unito potrebbe essere preclusa alla pesca entro il 2050. E le stesse dinamiche si stanno estendendo in tutta Europa. L’invito è chiaro: occorre una revisione profonda della Direttiva sulla Pianificazione dello Spazio Marittimo (PSM), la cui attuazione sarà valutata dalla Commissione entro marzo 2026.
Il cuore della questione è che, a differenza degli agricoltori, i pescatori non possiedono le aree in cui operano. Non hanno titoli di proprietà, ma solo diritti di accesso storicamente riconosciuti, oggi sempre più compressi. Il risultato è uno spostamento forzato dello sforzo di pesca, una concentrazione pericolosa delle attività in zone ristrette, maggiori conflitti tra attrezzi, aumento del consumo di carburante e una pressione crescente sugli stock ittici locali. Le flotte artigianali, già fragili, sono le prime a soccombere.
Europeche non rifiuta gli obiettivi ambientali. Anzi, ne riconosce l’urgenza. Ma chiede equilibrio. Chiede che la pesca sia trattata come un interesse pubblico prioritario, alla pari delle energie rinnovabili. Chiede che i pescatori siano coinvolti in modo tempestivo e sostanziale nei processi decisionali. Chiede valutazioni d’impatto concrete, non protocolli formali. E soprattutto, chiede zone cuscinetto e meccanismi di coesistenza reale tra pesca, eolico e conservazione.
Serve un cambio di paradigma: la pesca non deve “spostarsi altrove”, deve poter convivere. È tempo di promuovere tecnologie energetiche meno invasive, come le maree e le onde, e di incentivare modelli collaborativi che uniscano competenze, innovazione e tutele. Le soluzioni esistono, ma vanno attuate con coraggio e visione.
Il Patto UE per gli Oceani ha promesso di rivedere la Direttiva PSM entro il 2027, con l’obiettivo di rafforzare la resilienza e la competitività dell’economia blu. Ma senza un riequilibrio tra interessi economici, ambientali e sociali, il rischio è quello di sacrificare la pesca in nome di uno “sviluppo blu” che si dimentica delle sue radici.
La pianificazione dello spazio marittimo può e deve diventare un terreno di equilibrio, non di conflitto. La pesca non è un ostacolo alla transizione ecologica, ma un alleato. Riconoscerne il valore significa proteggere non solo un comparto economico, ma anche il diritto dell’Europa a nutrirsi in modo sostenibile e autonomo.
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L’articolo La pesca al bivio: Europa tra eolico offshore e sovranità alimentare proviene da Pesceinrete.
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