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La pesca di specie foraggio — cioè quella destinata alla produzione di farina e olio di pesce — è sempre più dipendente da stock ittici in difficoltà biologica o privi di una gestione efficace. Lo evidenzia il nuovo report 2024 di Sustainable Fisheries Partnership (SFP), che analizza 22 stock su scala globale: oltre la metà rientra in categorie di rischio, a causa di sovrasfruttamento, assenza di piani di gestione o carenza di dati scientifici.

La fotografia scattata da SFP è preoccupante. Solo due stock migliorano la propria valutazione rispetto all’anno precedente: il sugarello cileno e il sandeel del Dogger Bank. Tutti gli altri sono fermi o in peggioramento, con un bilancio che conferma una pressione strutturale sulle specie pelagiche di piccola taglia — pilastri invisibili, ma fondamentali, della catena alimentare marina.

È il caso dell’anchoveta peruviana, da decenni una delle principali fonti per la produzione globale di fishmeal. Nonostante una gestione considerata formalmente “ragionevole”, il suo stato biologico resta fragile, e la biomassa dipende da variabili ambientali non sempre prevedibili.

In Europa la situazione non è più rassicurante. Il blue whiting, tra gli stock più sfruttati per finalità mangimistiche, viene ancora gestito senza un accordo internazionale vincolante: le TAC (quote di cattura) vengono fissate unilateralmente e, secondo SFP, la mortalità da pesca è stata del 61% superiore al livello sostenibile negli ultimi dieci anni.

Nel Nord Europa lo spratto del Mar Baltico ha subito un crollo della biomassa da 236.000 a 84.000 tonnellate in un solo anno. La sua valutazione è ora nella categoria peggiore (C), con implicazioni pesanti per chi opera lungo la catena di trasformazione.

Il report 2024 include per la prima volta anche quattro attività di pesca indiane, legate alla cattura di sardine e sgombri in Maharashtra e Goa. Tuttavia, l’assenza di osservatori a bordo, piani di gestione, controlli ambientali e raccolta dati sistematica rende difficile qualunque valutazione affidabile.

Nel complesso, la pesca di specie foraggio sta mostrando crepe profonde. Questo comparto — spesso nascosto agli occhi del consumatore finale — sostiene buona parte della produzione mangimistica per l’acquacoltura, la zootecnia e perfino l’industria degli integratori e del pet food. La sua vulnerabilità biologica e gestionale rischia di avere impatti trasversali, ben oltre il primo anello della filiera.

Per le imprese della trasformazione, della logistica e della distribuzione, così come per i produttori e gli stakeholder più attenti alla sostenibilità, il report SFP è una bussola utile. Scegliere fornitori tracciabili, sostenere progetti di miglioramento e pretendere trasparenza non è più solo una questione etica: è una necessità economica e strategica.

Il report SFP 2024 conferma un quadro instabile: la pesca di specie foraggio si regge su stock fragili e gestione incompleta. La filiera mangimistica — e con essa anche l’acquacoltura — ha bisogno di maggiore trasparenza, cooperazione tra Stati e impegni concreti per la ricostituzione degli stock.

 

L’articolo Mangimi in bilico: la pesca per specie foraggio affonda sugli stock proviene da Pesceinrete.

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