Italian Aquaculture: Data, Innovation and Sustainability

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There is an Italy that works far from the spotlight, where the sound of water tanks replaces that of crowded squares, and patience counts more than speed. It’s the Italy of aquaculture, a network of enterprises and expertise that in 2024 confirmed its solidity, strengthening trust in a production model capable of generating value without compromising sustainability.

According to official data from the Associazione Piscicoltori Italiani (API), national production reached 51,000 tons of farmed fish, with an economic value of €287.6 million. These are not random figures: behind every ton lies a blend of research, innovation, and production culture.

Italian aquaculture plans, invests, and endures

Trout remains the sector’s backbone with 28,700 tons, followed by gilt-head bream (9,900 tons) and sea bass (5,100 tons). Yet success is not only about volumes. It lies in maintaining the balance between competitiveness and environmental protection, productivity and territorial identity.

Italian aquaculture doesn’t follow global trends—it anticipates them with method, investing in biosecurity, genetic quality, and system innovation. This approach leads to more efficient facilities, resilient species, and products that reach the market with the credibility of well-crafted work.

Caviar as a symbol of excellence

Among the most remarkable results of 2024 is the production of 67 tons of caviar, confirming Italy as Europe’s leading producer and second in the world after China. This is not merely a record—it reflects a precision-driven economy, where time, water quality, and animal welfare shape a top-tier supply chain.

At the same time, Italian hatcheries produced over 680 million fry and fertilized eggs—including breams, basses, and salmonids—ensuring both biological continuity and productive independence.

Diversity as the key to stability

From mullets to sturgeons, carps to char, over 25 species highlight the diversity of a system balanced across inland waters, lagoons, and open seas. Land-based and offshore facilities generated 47,850 tons, while lagoon and brackish farms accounted for 3,150 tons. It’s a productive geography embracing the entire country—from the Alps to the Sicilian coast.

This diversity is not just biological but strategic: it shields the industry from market fluctuations and fuels innovation. Italian aquaculture stands out for this smart flexibility, where technology and tradition evolve together.

API’s vision: sustainability and simplification

At the recent general assembly in Verona, President Matteo Leonardi reaffirmed the sector’s direction: competitiveness, market access, innovation, and environmental sustainability. He also issued a clear request—less bureaucracy and more practical tools for those who create value.

API’s three-year strategy aims to make the sector even more efficient, focusing on biosecurity, digitalization, and administrative simplification. It’s a vision grounded in pragmatism, recognizing that only those who produce daily understand how administrative complexity can slow innovation.

An industrial and cultural excellence

Today, Italian aquaculture is no longer a niche. It’s an industry of knowledge that generates employment, safeguards local territories, and strengthens the country’s food security. Every figure from 2024 tells a story of balance between business and nature, between technique and sensibility.

And for those who still see aquaculture as a compromise, these numbers speak for themselves: Italy’s fish farming is one of the most advanced supply chains in Europe, one that doesn’t seek applause—only results.

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Scognamiglio: “Via libera alla pesca da dicembre, una buona notizia per il settore”

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“Al Tavolo tecnico della pesca i rappresentanti del governo confermano ufficialmente il via libera alle attività in mare da dicembre. Una buona notizia per lavoratori e imprese del settore, dalla quale ripartire per programmare un 2026 che possa puntare al rilancio del comparto”.

Così Gennaro Scognamiglio, presidente nazionale dell’Unci AgroAlimentare.

“I sacrifici dei nostri pescatori – ha proseguito il dirigente dell’associazione del mondo cooperativistico – non sono stati inutili e si spera possano essere premiati con la ripresa del prossimo mese, caratterizzato da maggiori richieste di mercato, dovute alle festività natalizie.
Alla riunione erano presenti, insieme alle parti sociali, tra le quali la nostra organizzazione, il ministro Francesco Lollobrigida, il sottosegretario di Stato, senatore Patrizio La Pietra, il deputato Mirco Carloni, presidente della 13^ Commissione Agricoltura, il responsabile della Direzione generale pesca, Francesco Abate, e il capo Dipartimento della Sovranità alimentare, Marco Lupo.
Un incontro franco e chiarificatore sulle difficoltà che stanno attraversando da tempo gli operatori del comparto ittico e sulla necessità di interventi adeguati per dare risposte ai problemi, impedendo ulteriori penalizzazioni ad un settore che costituisce un fiore all’occhiello dell’agroalimentare e del made in Italy.
Le politiche messe in campo dall’Unione europea infatti hanno aggravato una situazione già fragile, colpendo soprattutto le piccole imprese del nostro Paese. Nello specifico, va ricordato che Bruxelles allo scadere del fermo già applicato fino al 31 ottobre, aveva prorogato il blocco delle attività a novembre e persino a dicembre. Un colpo mortale per migliaia di lavoratori e per le loro famiglie, che avrebbe avuto ricadute negative anche per i consumatori.
Soltanto con la mediazione del Masaf si è riusciti a ridurre i danni e ad aprire uno spiraglio per il futuro. Un risultato per il quale esprimiamo apprezzamento agli esponenti di governo, così come ci preme sottolineare la grande disponibilità e ragionevolezza dei pescatori, nonostante le gravi difficoltà”.

“È tempo adesso – ha concluso Scognamiglio – di continuare il percorso intrapreso, con spirito costruttivo, per definire una strategia condivisa da proporre nelle sedi preposte dell’Unione europea, a cominciare dal Consiglio Agrifish”.

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L’acquacoltura italiana consolida il proprio modello di successo

L’acquacoltura italiana consolida il proprio modello di successo

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C’è un’Italia che lavora lontano dai riflettori, dove il rumore delle vasche sostituisce quello delle piazze e la pazienza vale più della velocità. È l’Italia dell’acquacoltura, una rete di imprese e competenze che nel 2024 ha confermato la propria solidità, consolidando la fiducia in un modello produttivo capace di generare valore senza rinunciare alla sostenibilità.

Secondo i dati ufficiali dell’Associazione Piscicoltori Italiani, la produzione nazionale ha raggiunto 51.000 tonnellate di pesce allevato, per un valore economico di 287,6 milioni di euro. Non si tratta di cifre casuali: dietro ogni tonnellata c’è un lavoro che intreccia ricerca, innovazione e cultura produttiva.

L’acquacoltura italiana non improvvisa: pianifica, investe, resiste

La trota resta la colonna portante con 28.700 tonnellate, seguita da orata e spigola, rispettivamente con 9.900 e 5.100 tonnellate. Ma la vera cifra del successo non è solo nei volumi. È nella capacità di mantenere equilibrio tra competitività e tutela ambientale, tra produttività e identità territoriale.

L’acquacoltura italiana non rincorre i trend globali: li anticipa con metodo, investendo in biosicurezza, qualità genetica e innovazione impiantistica. Così nascono impianti più efficienti, specie più resilienti e prodotti che incontrano il mercato con la credibilità del lavoro ben fatto.

Il caviale come simbolo di eccellenza

Tra i risultati che raccontano meglio l’evoluzione del settore spicca la produzione di caviale: 67 tonnellate nel 2024. Un dato che consolida l’Italia come primo produttore europeo e secondo al mondo, dopo la Cina. Non è solo un primato statistico, ma la testimonianza di un’economia della precisione, dove il tempo, la qualità dell’acqua e la cura degli animali diventano elementi di una filiera di altissimo profilo.

In parallelo, gli incubatoi italiani hanno prodotto oltre 680 milioni di avannotti e uova embrionate tra orate, spigole e salmonidi, garantendo autosufficienza e continuità biologica a un settore che mira all’indipendenza produttiva.

Diversità come chiave di stabilità

Dai cefali agli storioni, dalle carpe ai salmerini, oltre 25 specie testimoniano la diversità di un sistema che vive in equilibrio tra acque interne, lagune e mare aperto. Gli impianti a terra e a mare hanno generato 47.850 tonnellate, mentre quelli vallivi e salmastri 3.150. È una geografia produttiva che abbraccia l’intero Paese, unendo regioni e saperi, dalle Alpi alle coste siciliane.

Questa varietà non è solo biologica ma anche strategica: protegge il comparto dalle oscillazioni del mercato e ne amplia la capacità di innovazione. L’acquacoltura italiana si distingue proprio per questa elasticità intelligente, dove la tecnologia dialoga con la tradizione.

La visione API: sostenibilità e semplificazione

Alla recente assemblea generale di Verona, il presidente Matteo Leonardi ha ribadito la rotta: competitività, accesso ai mercati, innovazione e sostenibilità ambientale. Ma anche una richiesta chiara: meno burocrazia e più strumenti concreti per chi produce valore.

La strategia dell’API per il triennio in corso mira a rendere il settore ancora più efficiente, puntando su biosicurezza, digitalizzazione e processi di semplificazione. È una visione che guarda al futuro con concretezza, perché solo chi produce ogni giorno sa quanto la complessità amministrativa possa frenare l’innovazione.

Un’eccellenza industriale e culturale

Oggi l’acquacoltura italiana non è più un settore di nicchia. È un’industria della conoscenza che genera occupazione, presidia i territori e contribuisce alla sicurezza alimentare del Paese. Ogni dato del 2024 racconta una storia di equilibrio tra impresa e natura, tra tecnica e sensibilità.

E se qualcuno continua a confondere l’acquacoltura con un compromesso, basta guardare a questi numeri per capire che siamo di fronte a una delle più avanzate filiere europee. Una filiera che non cerca applausi, ma risultati.

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Acciughe del Perù: il barometro nascosto dell’acquacoltura mondiale

Acciughe del Perù: il barometro nascosto dell’acquacoltura mondiale

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Cosa hanno in comune l’acquacoltura e la pesca delle acciughe in Perù?
Molto più di quanto si immagini. Nelle acque fredde del Pacifico orientale si gioca una partita silenziosa ma decisiva per la sicurezza alimentare mondiale. Ogni anno, milioni di tonnellate di acciughe vengono trasformate in farina e olio di pesce, ingredienti fondamentali per nutrire pesci e crostacei allevati in ogni continente. L’acquacoltura e la pesca delle acciughe in Perù formano così un asse vitale per l’equilibrio economico e produttivo dell’intero sistema alimentare globale.

Una catena che collega oceani e mercati

Dal Perù parte una filiera che alimenta orate, spigole e salmoni allevati in Europa e in Asia. Le acciughe pescate lungo le coste del Perù alimentano indirettamente gli allevamenti di tutto il mondo. Le variazioni nella produzione e nei prezzi della farina di pesce si riflettono sui costi dei mangimi e, di conseguenza, sulla competitività globale dell’acquacoltura. È un sistema interconnesso dove biologia marina, economia e commercio internazionale si intrecciano in modo sempre più complesso, rendendo il Pacifico peruviano un punto di equilibrio per l’intera catena alimentare del pianeta.

Il clima come nuova variabile di mercato

Negli ultimi anni, l’instabilità climatica ha reso evidente la vulnerabilità di questo modello. L’aumento delle temperature del Pacifico orientale, intensificato da fenomeni come El Niño, modifica la distribuzione della biomassa e costringe a ridurre o sospendere le campagne di pesca. Ogni stop si traduce in una carenza di materia prima e in un aumento dei prezzi internazionali dei mangimi. La pesca delle acciughe peruviane resta un esempio di gestione responsabile, ma la crescente imprevedibilità climatica mette alla prova anche i sistemi più avanzati di pianificazione.

Innovare per ridurre la dipendenza

La risposta dell’industria passa dall’innovazione, ma la vera chiave è nella ricerca. L’acquacoltura mondiale non può più dipendere dalla sola disponibilità di farine marine, e la scienza sta lavorando per ridefinire il modello produttivo alla base del settore. Laboratori, università e aziende stanno sperimentando nuove combinazioni di proteine microbiche, farine di insetti, alghe e sottoprodotti della pesca, con l’obiettivo di replicare il profilo nutrizionale garantito dalle farine e dagli oli di pesce. I risultati più promettenti arrivano dai progetti europei finanziati attraverso Horizon Europe e dal programma FEAMPA, che sostengono l’innovazione nel quadro della Blue Economy e della sicurezza alimentare.

Nonostante i progressi, le soluzioni alternative coprono oggi meno di un terzo della domanda globale e i costi di produzione restano elevati, soprattutto nelle fasi di industrializzazione. Tuttavia, si sta consolidando una rete di ricerca e sviluppo che unisce start-up, imprese biotech e grandi produttori di mangimi, impegnati nella creazione di filiere più circolari, resilienti e indipendenti dai limiti biologici della pesca. Secondo recenti analisi, per mantenere gli attuali livelli produttivi serviranno fino a 1,8 milioni di tonnellate di ingredienti alternativi all’anno. Senza un salto di qualità nella ricerca applicata e nella cooperazione internazionale, la dipendenza dal Perù continuerà a pesare non solo sui costi, ma sulla stabilità dell’intera filiera ittica globale.

Un piccolo pesce, una grande responsabilità

L’acquacoltura e la pesca delle acciughe in Perù rappresentano oggi il nodo più delicato della sostenibilità globale. Un pesce di pochi centimetri sostiene un’industria da miliardi e riflette, più di ogni altra risorsa, le sfide del nostro tempo: sicurezza alimentare, cambiamento climatico e innovazione tecnologica. Il futuro del settore dipenderà dalla capacità di bilanciare produzione e conservazione, aprendo la strada a un modello alimentare realmente resiliente. In fondo, il destino dell’acquacoltura mondiale si misura anche nella tenuta di un ecosistema apparentemente lontano, ma centrale per il mare e per il mercato.

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Uila Pesca plaude alla nomina di Francesco Saverio Abate a vicepresidente della CGPM

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“La Uila Pesca esprime soddisfazione per la nomina di Francesco Saverio Abate a Vicepresidente della Commissione Generale per la Pesca nel Mediterraneo, sottolineando come questa nomina costituisca un importante riconoscimento del ruolo del nostro Paese nell’ambito della pesca mediterranea. Attribuiamo grande importanza al valore della visione introdotta in questi anni, con la dovuta attenzione alla sostenibilità ambientale, ma anche la giusta considerazione per gli aspetti socioeconomici legati alle misure introdotte, nella costante consapevolezza che, dietro ogni decreto, ogni regolamento, ogni circolare ci sono lavoratori e imprese e non sterili numeri. Al direttore generale per la pesca del Mipaaf inviamo quindi i più sentiti auguri di buon lavoro, nella certezza che, con la sua autorevolezza, saprà incidere positivamente nel coniugare lo sviluppo economico e la sostenibilità della pesca, a tutela dei nostri lavoratori”.

Così la segretaria generale della Uila Pesca, Maria Laurenza, in merito alla nomina del direttore generale pesca del Mipaaf alla carica di vice-presidente della CGPM.

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