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Nel pieno di un’estate già tesa sul fronte geopolitico, l’annuncio della presidenza Trump di introdurre un dazio generalizzato del 30% sulle importazioni europee a partire dal 1° agosto rappresenta una scossa che va ben oltre le cronache diplomatiche. La notizia giunta da Washington, sebbene non riguardi specificamente il settore ittico, impone una riflessione immediata sugli effetti indiretti dei dazi sulle importazioni europee, specialmente in comparti ad alta esposizione internazionale come quello della trasformazione ittica.

La presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, ha scelto una linea prudente. Nessuna risposta immediata, ma una proroga al contrattacco già annunciato a inizio anno contro i dazi americani su acciaio e alluminio. Un “segno di buona volontà” che però non esclude l’adozione di contromisure, se il negoziato non dovesse portare risultati.

Il clima di incertezza che ne deriva tocca anche gli operatori della filiera ittica europea, per i quali il mercato americano – diretto o indiretto – rappresenta una leva importante. Non tanto in termini di volumi assoluti per tutti, quanto come termometro dell’interconnessione tra settori: basti pensare all’aumento dei costi dei materiali per il packaging (in parte collegati ai metalli), o al contraccolpo sulle dinamiche logistiche globali.

In un settore già chiamato a confrontarsi con normative sempre più stringenti, con l’inflazione dei costi energetici e con la crescente competizione internazionale, un nuovo scenario di tensione commerciale può fungere da acceleratore di cambiamento. Da una parte, apre interrogativi sulle vulnerabilità dell’export; dall’altra, può stimolare nuove rotte di diversificazione, sia nei mercati di destinazione sia nelle strategie di posizionamento dei prodotti trasformati.

Sarebbe un errore attendere passivamente. La filiera ittica europea – e italiana in particolare – ha già dimostrato, negli anni post-pandemia, una notevole capacità di adattamento. Ora più che mai, quella capacità deve tradursi in azione concreta: valorizzazione delle filiere corte, consolidamento dei rapporti con i mercati euro-mediterranei, ridefinizione del valore aggiunto nei prodotti ready-to-eat e nelle specialità locali, maggiore integrazione con il settore turistico.

L’annuncio dei dazi sulle importazioni europee non è solo un segnale politico: è un test di stress su scala globale che mette alla prova la tenuta e la prontezza delle imprese del comparto. La reazione dell’UE è attesa, ma quella delle aziende può – e deve – iniziare ora.

Mentre Bruxelles cerca una via diplomatica per disinnescare l’escalation commerciale con gli USA, il settore ittico ha l’opportunità – e la responsabilità – di attrezzarsi a uno scenario in rapido mutamento. Reattività, visione strategica e dialogo di filiera possono fare la differenza.

Monitorare l’evoluzione del contesto internazionale e attivare riflessioni condivise può rafforzare la competitività dell’intero comparto: è tempo di muoversi con lucidità.

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L’articolo Stretta americana sulle importazioni UE: tensioni globali e riflessi sul comparto ittico proviene da Pesceinrete.

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