Mese: Maggio 2025 Pagina 5 di 19

Dalla scatoletta alla circular economy: il tonno in scatola guida l’innovazione del settore

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Nel 2024, il tonno in scatola si conferma pilastro dell’industria conserviera ittica italiana. A fronte di uno scenario economico ancora incerto, segnato dall’inflazione e dal calo del potere d’acquisto, i volumi di vendita si stanno assestando, mentre crescono export e valore del comparto. Lo evidenzia il report annuale dell’Associazione Nazionale Conservieri Ittici e delle Tonnare (ANCIT) su dati NIQ, ISTAT e Circana.

Un comparto resiliente e in evoluzione

Nel retail, le vendite hanno registrato un calo del 4% a volume, ma la contrazione reale è contenuta: il numero di confezioni vendute è diminuito solo dello 0,6% rispetto al 2023. Il consumo pro capite si attesta sui 2,36 kg annui, confermando la presenza costante del tonno in scatola sulle tavole italiane.

La produzione nazionale è scesa a 72.000 tonnellate (-2,2%), ma è compensata dalla stabilità delle importazioni (98.000 tonnellate) e dalla forte crescita delle esportazioni, che nel 2024 hanno raggiunto le 30.600 tonnellate, con un incremento del +9,57% sul 2023. I principali mercati esteri sono Paesi dell’UE (Germania, Grecia, Croazia, Romania, Slovenia, Polonia, Ungheria e Austria), ma si distinguono anche Canada e Arabia Saudita, quest’ultimo sopra le 1.000 tonnellate grazie all’accordo CETA.

Circular economy e valorizzazione totale della risorsa

Il tonno in scatola è ormai simbolo di sostenibilità. Solo il 41–43% del pesce pescato viene inscatolato; il resto – pelle, carne rossa, testa, lische – viene reimpiegato in filiere innovative: farina e olio di pesce per mangimi e acquacoltura, cosmetici, nutraceutici, bioplastiche e bioenergia. Si tratta di una valorizzazione integrale della risorsa marina, resa possibile anche grazie alla ricerca applicata e alla collaborazione con startup e centri di ricerca.

Anche il packaging racconta un’evoluzione positiva. Le scatolette di acciaio e alluminio sono riciclabili al 100% all’infinito. Secondo i dati 2024 di RICREA, in Italia sono state avviate al riciclo 409.000 tonnellate di acciaio, pari al 77,8% dell’immesso al consumo.

Identità culturale e futuro industriale

Il tonno in scatola è anche una storia italiana. Come ricorda ANCIT, la pesca del tonno nel Mediterraneo ha origini preistoriche, testimoniata da graffiti nell’isola di Levanzo, ed è proseguita attraverso le civiltà classiche fino alle tonnare siciliane e all’inscatolamento industriale dell’Ottocento, grazie all’invenzione di Nicolas Appert.

Dallo stabilimento Florio di Favignana, uno dei primi poli industriali dell’Italia unita, fino alla moderna appertizzazione, il comparto ha saputo coniugare tradizione, tecnologia e qualità. L’Italia, oggi secondo produttore europeo dopo la Spagna, continua a rappresentare un modello di eccellenza grazie a un mix virtuoso di competenza industriale e patrimonio culturale.

Il tonno in scatola, volano sostenibile per il conserviero ittico, si conferma uno dei prodotti più rappresentativi del Made in Italy alimentare, capace di unire valore nutrizionale, sostenibilità ambientale e continuità industriale. In uno scenario globale dove la qualità e la responsabilità ambientale sono sempre più decisive, la filiera conserviera italiana mostra di avere strumenti, visione e radici per rafforzare il proprio ruolo anche nei mercati internazionali.

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Acquacoltura europea: quando la fiducia crolla sotto il peso del greenwashing

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Il greenwashing nell’acquacoltura UE non è solo una preoccupazione accademica: rappresenta un ostacolo concreto alla fiducia dei consumatori. Un recente studio condotto in cinque Paesi europei evidenzia un problema strutturale di percezione. Per l’intero settore dell’acquacoltura il tema è diventato strategico: ricostruire la credibilità è oggi una necessità urgente.

Promesse verdi e realtà operative: un divario pericoloso

Negli ultimi anni, l’acquacoltura è stata spesso presentata come un settore chiave per la transizione verso un sistema alimentare sostenibile. Ma tra le dichiarazioni green e la realtà produttiva persistono incongruenze. In Norvegia, per esempio, problematiche come l’elevata mortalità e la diffusione di parassiti marini mettono in crisi la narrazione di sostenibilità. Anche nei Paesi mediterranei dell’UE, l’impatto su ecosistemi costieri solleva interrogativi.

È in questo contesto che il greenwashing nell’acquacoltura UE viene percepito come un meccanismo comunicativo fuorviante. Le affermazioni ambientali non accompagnate da dati solidi alimentano diffidenza. Per chi opera nella trasformazione, distribuzione o promozione del prodotto ittico, questo significa perdita di valore e reputazione.

Tre profili di consumatori: tutti chiedono trasparenza

La survey realizzata con il contributo dell’Università di Bologna ha coinvolto 2.500 persone in Italia, Francia, Germania, Spagna e Regno Unito. I risultati segmentano i consumatori in tre categorie:

  • Gli scettici: diffidano delle dichiarazioni green. Considerano rischiosa l’informazione che proviene dall’industria, ma sono aperti a cambiare idea se messaggi più autentici dovessero emergere.
  • I fiduciosi: un segmento ristretto, ma con atteggiamento positivo verso tutti i sistemi acquicoli, purché siano certificati e comprensibili.
  • I disinformati: la maggioranza. Conoscono poco il settore e sono incerti di fronte a tecnologie come RAS o IMTA. La mancanza di riferimenti comprensibili li rende vulnerabili alla sfiducia.

Il dato più rilevante? Anche chi si fida del comparto richiede chiarezza e strumenti per verificare le informazioni. In assenza di queste condizioni, il greenwashing nell’acquacoltura UE diventa una barriera all’acquisto consapevole.

Come invertire la rotta: norme e pratiche comunicative

Per contrastare la diffusione di messaggi ingannevoli, la Commissione Europea ha introdotto nuove regole contro il greenwashing. Tra le più rilevanti:

  • Divieto di affermazioni ambientali generiche senza prove documentate.
  • Obbligo di usare etichette ambientali riconosciute da autorità pubbliche o da standard certificati.

Tuttavia, la soluzione non può essere solo normativa. Le imprese devono riformulare il modo in cui comunicano il proprio impatto. Più che cercare frasi d’effetto, è preferibile mostrare il percorso: i progressi fatti, le difficoltà incontrate, le verifiche effettuate da terzi. Questo approccio non solo rafforza la fiducia, ma differenzia positivamente chi opera con serietà da chi si limita a un marketing di facciata.

Il greenwashing nell’acquacoltura UE è oggi un rischio reputazionale sistemico. Se ignorato, danneggerà l’intero settore. Se affrontato con trasparenza e rigore, può diventare un’opportunità per distinguere le imprese davvero impegnate nella sostenibilità. La comunicazione non è un orpello, ma un pilastro della competitività.

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L’economia blu europea si rafforza: più occupazione, più valore

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L’economia blu dell’UE ha proseguito il suo trend di crescita nel 2023, confermando il ruolo strategico dei settori marittimi nel sostenere occupazione, innovazione e transizione verde in Europa. Secondo la Relazione 2025 sull’economia blu dell’UE, i settori consolidati hanno generato 263 miliardi di euro in valore aggiunto lordo (GVA) e impiegato 4,88 milioni di persone, segnando un’ulteriore espansione rispetto all’anno precedente.

Sette settori, un impatto trasversale sull’economia europea

I dati, elaborati dalla Commissione europea attraverso fonti Eurostat e DCF, confermano l’importanza trasversale dell’economia blu dell’UE. Le attività analizzate includono risorse biologiche marine, energia rinnovabile offshore, trasporti marittimi, cantieristica, portualità, turismo costiero e risorse non rinnovabili.

Tra i settori più rilevanti:

  • Turismo costiero: primo in assoluto, con il 53% dell’occupazione e il 33% del GVA dell’economia blu nel 2022.
  • Risorse biologiche marine: il 23% dei posti di lavoro e il 15% del valore aggiunto.
  • Trasporto marittimo: 25% del GVA con l’8% dell’occupazione.

Il settore dell’energia eolica offshore si distingue per la maggiore crescita relativa: +42% del GVA nel 2022, con profitti pari a 4,1 miliardi di euro.

Dinamiche nazionali: Italia tra i protagonisti

Germania, Francia, Italia e Spagna si confermano leader europei, contribuendo insieme al 60% del valore aggiunto e al 52% dell’occupazione dell’economia blu dell’UE. L’Italia è tra i primi quattro Paesi sia per GVA che per numero di addetti, con performance rilevanti nella trasformazione, distribuzione e logistica dei prodotti ittici.

La Grecia, pur con un PIL marittimo inferiore, è il secondo Paese per occupazione, a conferma del ruolo centrale delle isole e delle comunità costiere nello sviluppo della blue economy.

Innovazione, sostenibilità e sfide geopolitiche

L’edizione 2025 introduce importanti novità: l’integrazione di settori emergenti come la biotecnologia blu e la desalinizzazione, una migliore stima degli effetti indiretti e l’approfondimento del ruolo delle soluzioni basate sulla natura. Queste ultime si dimostrano essenziali per contrastare l’erosione costiera e l’aumento del rischio di inondazioni: ogni euro investito in queste soluzioni genera oltre 3,5 euro in benefici.

La crescita dell’economia blu dell’UE si manifesta in un contesto globale instabile, dove la competitività e la resilienza diventano priorità strategiche. Il futuro European Ocean Pact, annunciato per il 2025, si prefigge di fornire un quadro coerente e ambizioso per rafforzare sicurezza, innovazione e sostenibilità dei mari europei.

Verso una visione integrata e competitiva

Con oltre 890 miliardi di euro di fatturato nel 2022 e proiezioni in crescita per il 2023, l’economia blu dell’UE si conferma uno dei pilastri dell’Unione per la creazione di lavoro qualificato, la sicurezza alimentare e la transizione energetica.

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Dalla ricerca alla vasca: la soluzione AZTI che cambia il caviale

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La ricerca scientifica, quando trova strade nuove e funzionali, ha il potere di trasformare un’intera filiera. E quando a guidare il cambiamento è un centro come AZTI, la conferma che la scienza stia facendo passi da gigante non è solo una dichiarazione, ma una prova concreta. Il settore del caviale – storicamente legato a processi lunghi, costosi e ad alto consumo di risorse – trova ora una nuova prospettiva: l’identificazione precoce del sesso negli storioni tramite una tecnica genetica non invasiva basata sulla PCR in tempo reale.

Questa innovazione, frutto di anni di ricerca applicata nel settore ittico, promette di ridurre drasticamente i tempi, i costi e gli sprechi nella produzione di una delle eccellenze più pregiate del comparto agroalimentare europeo.

Verso un modello di allevamento più efficiente

Chi lavora con gli storioni lo sa: allevare questi pesci significa affrontare un investimento a lungo termine. Le femmine, uniche produttrici di caviale, impiegano anni – anche fino a otto – per raggiungere la maturità riproduttiva. Nel frattempo, maschi e femmine vengono cresciuti indistintamente, consumando risorse preziose in termini di spazio, alimentazione e gestione.

Il metodo sviluppato da AZTI spezza questa logica: attraverso un semplice prelievo di tessuto o sangue, il laboratorio è in grado di identificare la presenza di un marcatore genetico specifico per il sesso, già nei primi due anni di vita dell’animale. Un’informazione chiave che consente agli allevatori di selezionare sin da subito gli esemplari femmina, orientando con precisione l’intero ciclo produttivo.

Validazione industriale: Caviar Riofrío in prima linea

Non si tratta solo di un risultato accademico. A rendere ancora più solida la scoperta è la collaborazione tra AZTI e Caviar Riofrío, una delle aziende simbolo della produzione europea di caviale sostenibile, parte del gruppo Osborne. La fase di validazione è stata condotta su 296 campioni di storione appartenenti a diverse specie: un percorso rigoroso, che ha confermato la precisione del metodo e ne ha garantito l’applicabilità concreta.

Ora il protocollo è coperto da una domanda di brevetto e pronto per essere trasferito su scala industriale, rappresentando un benchmark tecnologico per tutti gli attori del settore.

Efficienza, sostenibilità e ritorno sull’investimento

L’introduzione di questo strumento nella gestione degli allevamenti può generare un impatto immediato. Da una parte, migliora l’efficienza dei processi, riducendo il numero di esemplari improduttivi e ottimizzando le strategie di alimentazione. Dall’altra, consente un risparmio considerevole in termini di costi operativi e una maggiore resa dell’investimento.

In un contesto di crescente attenzione alla sostenibilità e alla tracciabilità delle produzioni ittiche, questo tipo di innovazione risponde anche alle aspettative normative e di mercato. Le aziende che sapranno adottarla potranno non solo contenere i costi, ma anche rafforzare la propria reputazione nei confronti dei buyer internazionali e dei consumatori più esigenti.

Con la tecnologia di identificazione precoce del sesso negli storioni sviluppata da AZTI, l’acquacoltura europea compie un passo avanti sostanziale verso una maggiore sostenibilità ed efficienza. Per chi produce caviale, questo significa poter pianificare, investire e produrre con una precisione mai vista prima. Ed è proprio da innovazioni come questa che passa il futuro competitivo del comparto ittico.

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Pesca a strascico: i dati smentiscono la narrativa dominante

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La pesca a strascico è spesso al centro di una narrazione distorta e parziale, che la dipinge come una pratica insostenibile, da eliminare entro il 2030. Ma i dati ufficiali e l’esperienza concreta degli operatori italiani ed europei raccontano un’altra storia, fatta di rigidi vincoli, sostenibilità già in atto e un contributo fondamentale alla sicurezza alimentare.

Secondo dati diffusi da Federpesca, nel Mediterraneo già oggi il 64% delle aree è interdetto alla pesca a strascico. Nelle aree marine protette è completamente vietata, e nei tratti di mare consentiti si lavora solo per meno di 170 giorni l’anno. Quale altro settore produttivo europeo è operativo per meno della metà dei giorni annui?

Eppure, nonostante questi limiti stringenti, i pescherecci a strascico dell’Unione Europea generano il 25% degli sbarchi e il 30% del fatturato del settore. Se si include anche la pesca a strascico pelagica, la quota supera il 50% degli sbarchi complessivi. Dati che confermano il peso strategico di questa tecnica per l’economia blu europea.

A ciò si aggiunge un impegno spesso sottovalutato: in molte marinerie italiane, i pescatori raccolgono ogni giorno i rifiuti finiti nelle reti e li riportano a terra. Un gesto diventato abitudine, che ha ricevuto anche il riconoscimento di Papa Francesco, il quale ha ringraziato pubblicamente i pescatori per il contributo quotidiano alla salvaguardia del mare.

Demonizzare la pesca a strascico significa ignorare questi dati, e soprattutto rischiare di condannare l’Italia a una crescente dipendenza dalle importazioni, spesso provenienti da Paesi dove non vigono standard ambientali, sociali o sanitari equiparabili a quelli europei. Eliminare una parte così rilevante della produzione nazionale significherebbe delocalizzare gli impatti, non risolverli.

Una sfida europea, non un capro espiatorio

La sostenibilità deve camminare insieme alla competitività, non contro di essa. È un concetto che oggi trova crescente spazio nel dibattito, anche tra le rappresentanze del settore.
“Non servono divieti ideologici, ma regole intelligenti, basate su evidenze scientifiche, tracciabilità e innovazione,” ha dichiarato Francesca Biondo, Direttrice Generale di Federpesca, intervenendo lo scorso 13 marzo in occasione della visita istituzionale del Commissario europeo per la pesca in Italia. “La pesca a strascico non è il problema: può e deve essere parte della soluzione.”

Un messaggio che chiama le istituzioni a un cambio di passo, per riconoscere dignità, dati reali e capacità di evolversi a un settore che, numeri alla mano, continua a garantire una fetta essenziale dell’approvvigionamento ittico europeo.

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