Mese: Luglio 2025 Pagina 13 di 28

Il granchio reale rosso tra lusso gastronomico e gestione sostenibile

Il granchio reale rosso tra lusso gastronomico e gestione sostenibile

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Non serve un dialogo per ricordare certe scene: bastano il suono del carapace che si spezza, il vapore che si alza dal piatto e la lentezza con cui si estrae la polpa bianca, lucida, dolciastra. In molti show e documentari come Deadliest Catch, il granchio reale rosso è il protagonista silenzioso di un rito che coinvolge mani esperte, mari in tempesta e cucine stellate. La sua carne, tenera e succosa, è oggi sinonimo di eccellenza, ma dietro quel gusto perfetto si cela un ecosistema economico e ambientale complesso, fatto di rotte artiche, regolamentazioni severe e riflessioni non più rinviabili.

Il granchio reale rosso (Paralithodes camtschaticus), originario delle acque del Pacifico settentrionale, è una delle specie più iconiche – e al tempo stesso controverse – dell’intera filiera ittica globale. Se da un lato rappresenta un prodotto di fascia alta richiesto da ristoranti gourmet e mercati internazionali, dall’altro impone scelte gestionali delicate, soprattutto nelle aree dove è stato introdotto artificialmente.

Una storia di migrazione (guidata dall’uomo)

La sua diffusione nel mare di Barents, a partire dagli anni Sessanta per iniziativa dell’allora URSS, è uno degli esempi più discussi di introduzione controllata di specie per fini economici. In Norvegia, dove oggi se ne pesca la maggior parte in Europa, la presenza del granchio è oggetto di una strategia duale: tutela e valorizzazione nell’area orientale, contenimento attivo nella zona occidentale, dove la sua espansione minaccia gli habitat autoctoni e le risorse bentoniche locali.

Il controllo della popolazione è affidato a quote flessibili e al coinvolgimento diretto dei pescatori, che da risorsa stanno imparando a gestire anche la responsabilità di una cattura selettiva. Questo modello norvegese, pur essendo di riferimento, resta soggetto a continui aggiustamenti per bilanciare le esigenze economiche con quelle ecologiche.

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NEWSLETTERBiologia, pesca e mercato

Il granchio reale rosso può raggiungere dimensioni impressionanti: oltre un metro e mezzo di apertura zampe e fino a 10 kg di peso. Vive tra i 20 e i 300 metri di profondità, su fondali sabbiosi o fangosi, e si nutre di molluschi, echinodermi e detriti organici. Viene pescato con trappole a gabbia, calate nei mesi più freddi e recuperate a intervalli programmati.

Le normative prevedono la raccolta di soli esemplari maschi sopra una certa taglia, al fine di garantire la riproduzione e la continuità della specie. In Alaska, dove la pesca è storicamente più consolidata, i periodi di fermo sono rigidi e le flotte devono rispettare limiti precisi di prelievo. Le catture non conformi vengono rigettate in mare.

Sul piano commerciale, il granchio reale rosso è destinato principalmente alla ristorazione di alta gamma, alla distribuzione refrigerata e alla trasformazione industriale in prodotti surgelati, precotti o conservati. I canali Horeca e GDO premiano la qualità organolettica e la tracciabilità, elementi chiave in un mercato dove il valore può superare i 100 euro al chilo all’ingrosso.

Un prodotto di prestigio, ma non privo di criticità

La crescente domanda internazionale ha posto il granchio reale rosso al centro di numerose riflessioni sulla sostenibilità della pesca e sulla gestione delle specie invasive. In Europa, le autorità scientifiche hanno più volte sollevato dubbi sull’impatto a lungo termine sul benthos e sulle filiere tradizionali di molluschi e piccoli crostacei.

Allo stesso tempo, il valore aggiunto del prodotto ha incentivato lo sviluppo di sistemi logistici ad alta efficienza, con trasporto in vivo, celle frigorifere mobili e piattaforme logistiche specializzate. Questo know-how potrebbe offrire spunti replicabili anche per altre specie pregiate e poco valorizzate in ambito mediterraneo.

Non mancano le sfide legate al benessere animale e alla trasparenza dei processi di lavorazione: in molti mercati asiatici ed europei, si fa strada una sensibilità crescente verso pratiche più etiche nella manipolazione e nella distribuzione del prodotto vivo.

Verso una filiera integrata e responsabile

Il granchio reale rosso rappresenta oggi una leva strategica per l’innovazione nella filiera ittica, dalla cattura alla tavola. La sua gestione richiede strumenti normativi aggiornati, sinergie tra pesca e ricerca scientifica, ma anche una visione di lungo periodo da parte di chi opera nella trasformazione, nella logistica e nella ristorazione.

Il valore non risiede solo nel prodotto finito, ma nella capacità di integrarlo in un sistema produttivo efficiente, trasparente e resiliente. Ogni fase – dal rispetto delle taglie minime alla narrazione del prodotto in etichetta – può diventare parte attiva di una strategia più ampia di posizionamento competitivo e responsabilità ambientale.

Il granchio reale rosso non è soltanto un simbolo di eccellenza gastronomica. È un banco di prova per l’intero comparto: dalla capacità di gestire le risorse naturali al modo in cui si costruisce valore lungo la filiera. Un’opportunità, se letta con attenzione, per ripensare la sostenibilità come elemento fondante della competitività nel settore ittico.

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Bilancio Ue. Lollobrigida: proposta Commissione non all’altezza obiettivi

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“La Commissione europea ha annunciato ieri la proposta di bilancio che stiamo ancora approfondendo per una valutazione complessiva. Per mesi l’Italia ha sostenuto la necessità di garantire il mondo agricolo e della pesca, settori economici, ma soprattutto pilastri dell’economia europea così come sancito dai Trattati fondativi. Siamo stati promotori di documenti sottoscritti dalla stragrande maggioranza dei ministri competenti di tutta Europa e abbiamo sostenuto le istanze delle associazioni di rappresentanza italiane ed europee. In un momento difficile come quello che il mondo sta attraversando, l’approvvigionamento alimentare e la custodia da parte del settore primario dell’ambiente sono quantomai indispensabili. Abbiamo lavorato, e lo ringrazio anche in questa occasione, con il vicepresidente Fitto per arginare modelli di programmazione finanziaria in evidente contrasto con gli interessi dell’economia europea e dei suoi produttori, artefici principali della ricchezza della quale tutti beneficiamo. Purtroppo, la proposta della Commissione non è all’altezza di questi obiettivi”.
Lo dichiara il ministro dell’Agricoltura, della Sovranità alimentare e delle Foreste, Francesco Lollobrigida.

“Seppure una parte importante delle risorse per l’agricoltura, anche grazie al nostro impegno, è stata salvaguardata nel Fondo indistinto assegnato alle singole Nazioni, il rischio di lasciare alla determinazione dei singoli governi il 20% delle risorse potenziali non garantisce il mondo produttivo minando l’obiettivo della sicurezza e della Sovranità Alimentare Europea. Avevamo apprezzato un cambio di rotta annunciato dalla Commissione rispetto alle follie di Timmermans ma questi propositi si sono realizzati solo in parte. Una parte troppo piccola per garantire capacità di resilienza al nostro settore e alla sua competitività. L’Italia, in modo spesso trasversale alle forze politiche, ha denunciato da mesi la sua contrarietà a ipotesi che indebolissero ulteriormente il sistema. Alcuni risultati sono stati raggiunti sulla condivisione di investimenti strategici per il sistema di approvvigionamento idrico con fondi aggiuntivi rispetto a quelli per la Pac, una semplificazione necessaria e non più rinviabile, una diversa visione sulla gestione della fauna selvatica nel rispetto della produzione, la cancellazione di alcune follie ideologiche previste dal Green Deal e soprattutto una valutazione differente dell’agricoltura come primo difensore dell’ambiente”, sottolinea il ministro Lollobrigida.

“Purtroppo, non si è raggiunto ancora l’obiettivo che come Governo Meloni ci siamo posti, riuscendovi in Italia, di rimettere al centro delle politiche di sviluppo e coesione territoriale l’agricoltura e la pesca. La proposta, così come è stata presentata dalla Commissione, al netto dei risultati ottenuti dalle battaglie al suo interno del Vicepresidente Fitto, è lontana dal poter soddisfare noi tutti a partire da agricoltori e pescatori fino alle Regioni a cui viene di fatto viene sottratta la possibilità di usufruire di uno strumento di pianificazione che dia certezza delle risorse. L’Italia, auspico in modo compatto, nel Parlamento europeo e in ogni consesso lavorerà a modifiche sostanziali del piano presentato per renderlo idoneo agli obiettivi che l’Unione europea deve raggiungere per garantire prosperità ai Popoli che ne fanno parte. Al contrario di quanto avvenuto in questi anni a Bruxelles, il Governo Meloni ha stanziato più risorse per agricoltura e pesca di qualsiasi precedente governo proteggendo il settore e migliorando i risultati rispetto alla situazione nella quale lo abbiamo ereditato. Continueremo a farlo e a batterci per garantire sempre maggiore centralità alle nostre imprese a fianco delle rappresentanze del modo agricolo e della pesca”, conclude il ministro Lollobrigida.

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Pesca sottovalutata nella proposta di bilancio della Ue

Pesca sottovalutata nella proposta di bilancio della Ue

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Pesca

Ignorata l’importanza strategica della Pesca europea. È il commento di Legacoop Agroalimentare che si associa al coro di critiche alla proposta di Bilancio Ue 2028-2034 presentato ieri (16 luglio) a Bruxelles. «La pesca è un asset strategico per la Ue. Penalizzarla significa rinunciare ad un canale fondamentale per il miglioramento della sovranità alimentare europea visto il già elevatissimo livello di importazioni di pesce», sottolinea Cristian Maretti presidente di Legacoop Agroalimentare. Inoltre «si rinuncia a considerare questo settore come un elemento di relazione e creazione di politiche sociali ed economiche nel Mediterraneo e con il continente africano».

No al fondo unico, no alla pesca nel patto per gli Oceani. Quello che non va è l’accorpamento dei finanziamenti «in un fondo unico che mette insieme pesca e acquacoltura con agricoltura, ma anche con la coesione e lo sviluppo regionale». Soprattutto non si «tiene per niente di conto dell’importanza strategica della pesca, omessa incredibilmente anche dal titolo del nuovo fondo». Quanto tiene a precisare Maretti è che «considerare la pesca nell’ambito del più ampio patto per gli Oceani rischia di penalizzarla a vantaggio di altri settori dell’economia blu. Ciò che avevamo prefigurato rischia di avverarsi: meno fondi per un maggior numero di beneficiari».

Pesca determinante per l’economia e per la Dieta Mediterranea. E non si tiene conto del valore del settore, di chi ci lavora, dell’economia che vi gira attorno e soprattutto non si tiene conto del fatto che «la pesca è fonte di proteine nobili, i blue food sono elemento cardine della Dieta Mediterranea, per la quale abbiamo presentato un Manifesto per la sua valorizzazione, e rappresentano un’opportunità strategica per affrontare le pressanti sfide dell’Europa in materia di sicurezza alimentare, resilienza climatica e salute pubblica».

Infine, come succede anche per l’agricoltura, queste «politiche di finanziamento restrittive minano direttamente la sovranità alimentare dell’Ue e lo sviluppo di una flotta moderna e competitiva. Le proposta di bilancio deve essere corretta», conclude Maretti.

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Carmen Crespo Díaz critica duramente il taglio al bilancio pesca UE

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La presidente della commissione per la pesca, Carmen Crespo Díaz, esprime grande critica nei confronti della proposta della Commissione per il quadro finanziario pluriennale 2028-2034.

“Il taglio al bilancio della pesca è tanto ingiustificato quanto allarmante. Non solo il Fondo europeo per gli affari marittimi, la pesca e l’acquacoltura (FEAM) è diluito in uno strumento generico, ma gli vengono anche assegnati solo 2 miliardi di euro, un terzo di quanto ricevuto nel periodo in corso”, afferma Carmen Crespo Díaz (PPE, ES), presidente della Commissione per la pesca.

“Questo taglio arriva dopo anni di riduzioni delle quote, crescenti limitazioni ai giorni di pesca e una mancanza di un reale sostegno allo sforzo di pesca. È un nuovo colpo per un settore essenziale che è già al limite.”

Crespo Díaz sostiene che accorpare l’importo destinato alla pesca in uno strumento più ampio mette a rischio l’identità della politica comune della pesca . “La pesca è una politica comune dell’UE. Non deve perdere la sua identità. Senza un fondo specifico, non esiste una politica specifica.”

Crespo Díaz sottolinea inoltre la mancanza di chiarezza della Commissione nell’identificare il nuovo strumento di finanziamento per il settore. “Il nuovo strumento non menziona nemmeno la pesca nel suo nome. La Commissione crede davvero di poter garantire la sicurezza alimentare e la resilienza strategica ignorando il primo anello della catena?”

“In seno alla commissione per la pesca collaboreremo con il Consiglio e il Parlamento per porre fine a questa assurdità e garantire che il settore disponga di un FEAMAF rafforzato, autonomo e attrezzato per affrontare le sfide che ci troviamo ad affrontare”, ha promesso il presidente.

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Entro il 2034 la domanda globale di pesce crescerà del 13%

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Entro il 2034, la domanda globale di pesce aumenterà del 13%, spinta principalmente dalla crescita demografica, dal miglioramento delle condizioni economiche nei Paesi a medio reddito e dalla crescente consapevolezza dei benefici nutrizionali del pesce. È quanto emerge dal nuovo report congiunto OCSE-FAO Agricultural Outlook 2025–2034, che dedica un intero capitolo all’evoluzione prevista della produzione e del consumo di prodotti ittici.

A guidare questo incremento sarà l’acquacoltura, destinata a consolidare il suo ruolo di principale fonte di pesce destinato all’alimentazione umana. Secondo il report, oltre il 50% del pesce consumato nel mondo nel 2034 proverrà da impianti di acquacoltura, con tassi di crescita particolarmente marcati in Asia, Africa e America Latina.

La previsione non si limita a un’analisi quantitativa. Il report sottolinea come il cambiamento delle abitudini alimentari e l’aumento del consumo pro-capite di proteine animali stia avvenendo a ritmi diversi tra Paesi ad alto e basso reddito. In quelli a basso reddito, si prevede che l’apporto medio giornaliero da fonti animali sarà ancora lontano dai valori raccomandati per una dieta sana, lasciando spazio a tensioni legate all’accessibilità e alla sicurezza alimentare.

Il quadro che emerge non è privo di sfide. La produzione ittica globale dovrà affrontare questioni cruciali legate alla sostenibilità ambientale, alla gestione responsabile delle risorse e alle emissioni. Il report evidenzia che, nello scenario di base, le emissioni agricole globali aumenteranno del 6%. Tuttavia, in uno scenario alternativo – con investimenti in tecnologie di mitigazione e un miglioramento del 15% della produttività – le emissioni potrebbero diminuire del 7%, aprendo una finestra concreta di opportunità anche per il settore ittico.

Un altro punto chiave è rappresentato dalla stabilità del commercio internazionale: si prevede che il 22% dei generi alimentari consumati a livello mondiale continuerà a essere oggetto di scambi transfrontalieri, come avviene attualmente. Questo dato sottolinea la centralità delle catene globali di approvvigionamento, logistica e trasformazione del pesce, che dovranno essere sempre più resilienti, tracciabili e rispettose degli standard internazionali.

Il report segnala anche il ruolo crescente degli standard di sostenibilità, della certificazione e della tracciabilità come leve strategiche per l’accesso ai mercati e per soddisfare le esigenze di consumatori sempre più attenti alla provenienza e al metodo di produzione del pesce acquistato.

Nel medio termine, le imprese della filiera – dalla produzione alla trasformazione, dalla logistica alla distribuzione – saranno chiamate a confrontarsi con un contesto più complesso, in cui la crescita della domanda non potrà essere colta appieno senza una strategia mirata su efficienza, qualità e sostenibilità.

Il nuovo report OCSE-FAO delinea un futuro in cui la domanda globale di pesce continuerà a crescere, trainata da cambiamenti strutturali nei consumi e da una forte espansione dell’acquacoltura. Ma la crescita, da sola, non basta: sarà la capacità di tutta la filiera di adattarsi ai nuovi paradigmi produttivi, ambientali e commerciali a determinare il successo o meno del comparto ittico nei prossimi dieci anni.

Restare aggiornati su scenari globali come quello delineato dal report OCSE-FAO è oggi più che mai necessario per chi opera nel settore ittico. L’analisi di lungo periodo può offrire spunti operativi già nel breve.

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