Mese: Luglio 2025 Pagina 14 di 28

Cresce la cultura DE&I nella Distribuzione Moderna

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Si è tenuto ieri a Milano l’evento di presentazione del secondo Osservatorio Diversity, Equity & Inclusion nella Distribuzione Moderna, promosso da Federdistribuzione e curato da ALTIS – Graduate School of Sustainable Management dell’Università Cattolica del Sacro Cuore. L’Osservatorio monitora l’evoluzione dell’impegno delle imprese distributive sui temi della diversità, equità e inclusione e fornisce uno strumento di confronto e di condivisione delle best practice tra le aziende e, nell’edizione 2025, vi è un focus sul tema dell’inclusione dei lavoratori stranieri.

L’evento, dedicato al tema “retail, lavoratori stranieri e multiculturalità”, si è aperto con gli interventi di Carlo Alberto Buttarelli, Presidente di Federdistribuzione, del Prof. Matteo Pedrini, Direttore di ALTIS Università Cattolica, e di Anna Maria Gandolfi, Consigliera di parità effettiva di Regione Lombardia. Nel corso dei lavori sono intervenuti Chiara Arrighini, ricercatrice di ALTIS Università Cattolica che ha presentato i risultati dell’Osservatorio e Giovanni Di Dio, Sviluppo Lavoro Italia S.p.A., con un intervento dedicato alle sinergie tra pubblico e privato e alle opportunità legate al reclutamento di lavoratori stranieri.

La mattinata è proseguita con due tavole rotonde: la prima dedicata al confronto sindacale su opportunità, criticità e proposte per favorire l’inclusione dei lavoratori stranieri, con gli interventi di Marco Beretta, Segretario Nazionale FILCAMS CGIL, Diego Lorenzi, Segretario Nazionale FISASCAT CISL e Gennaro Strazzullo, Segretario Nazionale UILTuCS. La seconda tavola rotonda dedicata alle best practice delle imprese della Distribuzione Moderna. L’evento, moderato da Nicola Varcasia, giornalista di VITA, si è concluso con l’intervento di Francesca Tugliani, Responsabile Politiche Attive di Federdistribuzione.

I risultati della seconda edizione dell’Osservatorio

L’Osservatorio Diversity, Equity & Inclusion nella Distribuzione Moderna 2025 si divide in due sezioni: la prima – in continuità con la precedente edizione – si focalizza sull’analisi comparativa dei dati relativi a politiche e pratiche DE&I diffuse all’interno delle aziende del retail moderno; la seconda affronta il tema dell’inclusione dei lavoratori con cittadinanza diversa da quella italiana all’interno dei contesti lavorativi, esaminando gli aspetti positivi già implementati all’interno delle organizzazioni, le difficoltà che tali lavoratori incontrano nel percorso di inclusione e le strategie necessarie per superare queste difficoltà.

La prima parte dello studio ha coinvolto 27 grandi imprese del settore distributivo, fornendo una panoramica sull’evoluzione delle politiche DE&I nel periodo 2024-2025. I dati evidenziano l’aumento del numero di aziende che si è dotato di comitati manageriali dedicati alla DE&I, passando dal 20% al 37%, e la crescita di politiche aziendali strutturate su questi temi, dal 26,7% al 48,1%.

Nel biennio 2024-2025, l’allocazione di budget dedicati alla DE&I è più che raddoppiata, passando dal 33,3% al 70,4% delle imprese. Parallelamente, cresce anche l’adozione di strumenti di monitoraggio, dal 43,3% al 51,8%, con un incremento per quanto riguarda i sistemi di controllo periodico, che passano dal 10,0% al 33,3%. Nell’ambito della gestione di risorse umane, migliora l’attenzione al merito: l’81,5% (era il 70% nel 2024) delle aziende dichiara di adottare percorsi di avanzamento professionale privi di distorsioni.

Positivi anche i dati sull’ascolto attivo dei dipendenti, che passano dal 73,3% all’85,2%, e sul loro coinvolgimento nei processi decisionali, dal 63,3% al 92,6%.

Cresce anche l’attenzione verso una comunicazione rispettosa e non discriminatoria: il 44,4% delle imprese eroga formazione sul linguaggio inclusivo, contro il 13,3% della precedente rilevazione. Sul fronte dell’inclusione delle persone con disabilità, aumenta sia la presenza di figure interne di supporto, dal 33,3% al 44,4%, sia il monitoraggio della soddisfazione dei lavoratori con disabilità, dal 20% al 29,6%.

La seconda parte dell’Osservatorio di Federdistribuzione affronta il tema dell’inclusione dei lavoratori con cittadinanza diversa da quella italiana, attraverso un’indagine qualitativa basata su interviste in profondità che hanno coinvolto 12 lavoratori stranieri e 6 figure professionali specializzate in ambito HR e DE&I. Un approccio metodologico induttivo, che ha permesso di raccogliere testimonianze dirette ed eterogenee, restituendo una visione concreta e sfaccettata delle dinamiche di inclusione nei luoghi di lavoro. Ne emerge una panoramica di azioni quotidiane messe in campo dalle imprese del retail moderno: mense aziendali attente alle diverse esigenze alimentari, flessibilità nella gestione di orari e ferie per consentire ai dipendenti di celebrare festività e ricorrenze legate alle proprie culture di origine, supporto nelle pratiche amministrative complesse e affiancamento tramite tutoraggio da parte dei colleghi più esperti. Alcune imprese offrono, inoltre, spazi per la preghiera, meditazione o di raccoglimento e promuovono momenti di condivisione delle tradizioni culturali, contribuendo così a rafforzare il senso di appartenenza.

Dalle interviste emergono anche i fattori di difficoltà nel percorso di inclusione dei lavoratori con cittadinanza diversa da quella italiana, sui quali occorre porre attenzione: dalla padronanza limitata della lingua italiana alle differenze culturali espresse nei comportamenti, nei codici non scritti del mondo del lavoro e nei valori, che possono generare incomprensioni. Le difficoltà burocratiche, in particolare quelle legate al rinnovo dei permessi di soggiorno, rappresentano un importante fattore di incertezza e stress per i lavoratori stranieri. Criticità che possono tradursi in forme di esclusione lavorativa e relazionale, da contrastare con sostegni per la crescita professionale, a livello sociale e amministrativo.

“La seconda edizione del nostro Osservatorio conferma che le imprese della Distribuzione Moderna sono fortemente orientate alla valorizzazione della diversità e all’applicazione dei principi di equità e inclusione attraverso prassi aziendali concrete. La crescita significativa di investimenti, strumenti di monitoraggio e iniziative dedicate dimostra non solo un impegno costante, ma anche una consapevolezza crescente del ruolo strategico che la DE&I riveste nelle relazioni con le persone che lavorano nelle nostre imprese, nello sviluppo sostenibile delle aziende e nel progresso sociale del nostro Paese”, ha dichiarato Francesco Quattrone, Direttore Area Lavoro e Relazioni Sindacali di Federdistribuzione.

“I risultati della seconda edizione dell’Osservatorio DE&I ci restituiscono un settore della Distribuzione Moderna che ha intrapreso un percorso su questo fronte. Politiche strutturate, budget dedicati e coinvolgimento attivo delle persone sono il segnale di un’inclusione che sta progressivamente permeando la cultura delle aziende. In un Paese che affronta sfide demografiche e di coesione sociale, promuovere ambienti di lavoro inclusivi è un impegno etico, ma allo stesso tempo una leva di competitività e innovazione“, ha dichiarato Matteo Pedrini, Ordinario di Corporate Strategy all’Università Cattolica e Direttore ALTIS.

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Senza nome, senza risorse: la pesca sparisce dal bilancio UE

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La Commissione europea ha presentato il nuovo Quadro Finanziario Pluriennale (QFP) per il periodo 2028-2034, e tra le misure previste, il nuovo bilancio UE per la pesca suscita non poche preoccupazioni. A far discutere è la proposta di fondere il Fondo europeo per gli affari marittimi, la pesca e l’acquacoltura (FEAM) in un più ampio contenitore chiamato “Fondo per la prosperità e la sicurezza economica, territoriale, sociale, rurale e marittima sostenibile”. Un nome lungo, ma nel quale il termine “pesca” non compare nemmeno.

L’assenza semantica è tutt’altro che secondaria: per Europêche, la principale organizzazione europea della pesca, questa esclusione simbolica si traduce in un allarme strategico. “È un segnale scoraggiante per il settore e per le comunità costiere che da esso dipendono”, ha dichiarato il presidente Javier Garat. La preoccupazione riguarda non solo l’identità del fondo, ma anche la sua effettiva capacità di rispondere alle esigenze specifiche della pesca europea, che rischia ora di essere diluita tra priorità più ampie e, spesso, concorrenti.

In un contesto di crescenti sfide – dai costi operativi alle normative più stringenti, dalla concorrenza globale alla carenza di manodopera – il settore si aspettava una risposta politica forte. Invece, il nuovo bilancio UE per la pesca appare come un passo indietro. La dotazione finanziaria stimata è di soli 2 miliardi di euro, a fronte dei 6,1 miliardi assegnati al FEAM per il periodo 2021-2027. E questo nonostante il bilancio complessivo dell’UE sia cresciuto, superando i 2 trilioni di euro.

Il quadro si complica ulteriormente con l’assenza di parametri obbligatori per il cofinanziamento degli investimenti nelle imbarcazioni superiori a 12 metri. La responsabilità dell’allocazione viene così interamente demandata agli Stati membri, con il rischio di un’applicazione disomogenea sul territorio europeo e la perdita del principio di equità all’interno del mercato unico.

La Commissione, dal canto suo, sostiene che la fusione dei fondi garantirà maggiore coerenza, flessibilità e semplificazione delle procedure. Ma per molti operatori della filiera, questo nuovo bilancio UE per la pesca rappresenta un caso esemplare di accorpamento burocratico che rischia di cancellare la specificità di un comparto fondamentale per la sovranità alimentare europea. Il timore più concreto è che le risorse vengano dirottate verso iniziative dell’economia blu, come l’energia offshore o la desalinizzazione, che nulla hanno a che vedere con le flotte, i porti e le comunità della pesca.

Europêche sottolinea le conseguenze sistemiche di un tale approccio: riduzione della produzione interna, crescita della dipendenza dalle importazioni alimentari e aumento dei prezzi al consumo. In un momento in cui Bruxelles invoca resilienza e autonomia strategica, la marginalizzazione della pesca appare come una contraddizione non più sostenibile.

La posta in gioco è altissima anche per l’Italia, che vanta una delle flotte più articolate d’Europa e un tessuto produttivo complesso fatto di imprese, cooperative, trasformatori, mercati ittici e logistica. La frammentazione dei fondi e l’assenza di indirizzi vincolanti rischiano di compromettere il lavoro di chi, ogni giorno, porta il pescato dal mare alle tavole, tra sostenibilità, innovazione e sforzi crescenti.

In un passaggio chiave, Javier Garat ha affermato: “Ci aspettavamo una dotazione finanziaria ambiziosa che riconoscesse il ruolo vitale della flotta peschereccia. Invece, stiamo assistendo a un indebolimento del sostegno a un settore già sottoposto a gravi difficoltà e in costante declino”.

La proposta di bilancio europeo per il periodo 2028-2034 lascia il comparto della pesca in una posizione fragile. Senza un fondo autonomo e dotazioni adeguate, l’intero ecosistema produttivo – dalla cattura alla trasformazione, dalla distribuzione all’export – rischia di perdere slancio e competitività. La richiesta del settore è chiara: restituire alla pesca dignità politica e certezza economica.

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Un colpo alla filiera: il piano Ue cancella i sacrifici della pesca italiana

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Anche Coldiretti, con parole nette, ha lanciato l’allarme: la proposta di bilancio dell’Unione europea guidata da Ursula Von der Leyen rappresenta un punto di rottura per la filiera ittica nazionale. Il taglio dei fondi europei alla pesca italiana, pari a una riduzione del 67%, rischia di smantellare quanto costruito in anni di sacrifici, riconversioni e sforzi collettivi in nome della sostenibilità.

Il piano prevede di ridurre i fondi destinati alla pesca da 6,1 a poco più di 2 miliardi di euro. Una decisione che non colpisce solo simbolicamente: mette a rischio la tenuta economica, sociale e produttiva di un’intera filiera. Le marinerie, che negli ultimi decenni hanno visto diminuire di un terzo il numero delle barche e perdere 18.000 posti di lavoro, si trovano ora davanti all’ennesimo ostacolo. E non per proprie colpe.

Le imprese hanno accettato limitazioni, fermo biologico, ristrutturazioni della flotta e riduzione dello sforzo di pesca, spesso in assenza di misure compensative sufficienti. Hanno investito in tecnologie meno impattanti, partecipato a tavoli sulla sostenibilità e riformato i modelli produttivi. Oggi tutto questo rischia di essere vanificato da un bilancio che taglia le gambe anziché sostenere la transizione.

Nel frattempo, il quadro macroeconomico parla chiaro: secondo i dati di Coldiretti Pesca, la dipendenza dell’Italia dalle importazioni di pesce è passata dal 30% all’85% in quarant’anni. Una tendenza strutturale, figlia anche delle politiche comunitarie. È quindi paradossale, se non miope, che proprio nel momento in cui l’Europa dichiara di voler costruire una sovranità alimentare e una blue economy sostenibile, penalizzi i pochi attori ancora attivi nei mari europei.

Ridurre il taglio dei fondi europei alla pesca italiana a una semplice scelta contabile significa ignorare la complessità di un sistema che tiene insieme produttori, trasformatori, distributori, armatori, cooperative, e che genera valore aggiunto anche per turismo, ristorazione e territori. Il comparto ha bisogno di un bilancio che sostenga l’innovazione, il ricambio generazionale, la tracciabilità e la sicurezza alimentare, non di una falce calata dall’alto.

Siamo davanti a una decisione che non può essere accettata in silenzio. Serve una risposta compatta, istituzionale e di filiera. Se la Commissione intende davvero rilanciare la pesca europea, questo non è il modo. Se invece vuole abbandonare il settore alle logiche del mercato globale, almeno sia chiaro: si sta scegliendo la via della dipendenza strutturale e della desertificazione produttiva.

Il drastico taglio annunciato nel piano della Commissione Ue rischia di minare alle fondamenta un settore già fragile. I numeri parlano chiaro e le conseguenze andrebbero ben oltre la sola pesca: colpirebbero occupazione, approvvigionamenti, sostenibilità e sovranità alimentare. Chi oggi lavora ogni giorno per garantire il pesce sulle nostre tavole non può essere lasciato solo.

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Scognamiglio: sostenibilità ambientale ed economica la sfida nell’Adriatico

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“Promuovere un’idea di sostenibilità che coniughi la tutela dell’ambiente con la salvaguardia del lavoro e dell’economia. Questa è la linea che da anni proponiamo per il rilancio della pesca e dell’acquacoltura e che con nostra soddisfazione il Ministero dell’Agricoltura sta concretamente raccogliendo”.

Così Gennaro Scognamiglio, presidente nazionale dell’Unci AgroAlimentare, a margine del vertice internazionale sul mare Adriatico, che si è tenuto ieri ad Ancona, alla presenza del ministro Lollobrigida, del sottosegretario La Pietra, delle istituzioni pubbliche marchigiane e dei rappresentanti di governo di Croazia, Slovenia, Albania e Montenegro, sulle prospettive della blue economy.

“In questa fase – prosegue il dirigente dell’associazione di settore del mondo cooperativistico – di grande difficoltà generale per il comparto e di criticità supplementari per le imprese e gli addetti che operano in quest’area, è fondamentale mettere in campo interventi e misure specifiche a supporto dei pescatori e degli allevatori per garantire continuità alle attività e ai lavoratori, soprattutto nel segmento delle lampare del Sud Adriatico, che registra una forte crisi.

Occorre quindi una visione strategica che può essere costruita e attuata soltanto attraverso una politica condivisa con gli altri Paesi che gravitano sull’Adriatico, superando gli attuali schemi e le rigidità prescrittive che non agevolano lo sviluppo del settore, per aprirsi ad una visione di più ampio respiro, che si adatti al contesto, così come si sta tentando di fare nel consiglio Agrifish, armonizzando la programmazione delle catture e la salvaguardia del patrimonio ittico e dell’intero sistema biologico marino.

Da parte nostra, siamo pronti a cogliere la sfida, come è avvenuto sino ad oggi, della modernizzazione della pesca, in sintonia con la sollecitazione del ministro Lollobrigida, a dimostrazione che la categoria non è affatto ripiegata su se stessa, ma è una risorsa economica e sociale da valorizzare, come ha sottolineato il senatore La Pietra, per il futuro delle comunità costiere e per garantire la qualità dei prodotti presenti sulle tavole di tante famiglie.

Un ragionamento che vale anche per l’acquacoltura, che sempre più sta puntando sulla sostenibilità, come evidenziato dal direttore generale Abate, e che potrà diventare ancora più competitiva sul mercato globale”.

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Scognamiglio: pesca sostenibile per rilanciare l’Adriatico

Scognamiglio: pesca sostenibile per rilanciare l’Adriatico

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Scognamiglio

“Promuovere un’idea di sostenibilità che coniughi la tutela dell’ambiente con la salvaguardia del lavoro e dell’economia. E’ questa la linea che da anni proponiamo per il rilancio della pesca e dell’acquacoltura e che con nostra soddisfazione il Ministero dell’Agricoltura sta concretamente raccogliendo”. Così Gennaro Scognamiglio, presidente nazionale dell’Unci AgroAlimentare, a margine del vertice internazionale sul mare Adriatico, che si è tenuto ieri ad Ancona, alla presenza del ministro Lollobrigida, del sottosegretario La Pietra, delle istituzioni pubbliche marchigiane e dei rappresentanti di governo di Croazia, Slovenia, Albania e Montenegro, sulle prospettive della blue economy.

“In questa fase – prosegue il dirigente dell’associazione di settore del mondo cooperativistico – di grande difficoltà generale per il comparto e di criticità supplementari per le imprese e gli addetti che operano in quest’area, è fondamentale mettere in campo interventi e misure specifiche a supporto dei pescatori e degli allevatori per garantire continuità alle attività e ai lavoratori, soprattutto nel segmento delle lampare del Sud Adriatico, che registra una forte crisi.

Occorre quindi una visione strategica che può essere costruita e attuata soltanto attraverso una politica condivisa con gli altri Paesi che gravitano sull’Adriatico, superando gli attuali schemi e le rigidità prescrittive che non agevolano lo sviluppo del settore, per aprirsi ad una visione di più ampio respiro, che si adatti al contesto, così come si sta tentando di fare nel consiglio Agrifish, armonizzando la programmazione delle catture e la salvaguardia del patrimonio ittico e dell’intero sistema biologico marino.

Da parte nostra, siamo pronti a cogliere la sfida, come è avvenuto sino ad oggi, della modernizzazione della pesca, in sintonia con la sollecitazione del ministro Lollobrigida, a dimostrazione che la categoria non è affatto ripiegata su se stessa, ma è una risorsa economica e sociale da valorizzare, come ha sottolineato il senatore La Pietra, per il futuro delle comunità costiere e per garantire la qualità dei prodotti presenti sulle tavole di tante famiglie.

Un ragionamento che vale anche per l’acquacoltura, che sempre più sta puntando sulla sostenibilità, come evidenziato dal direttore generale Abate, e che potrà diventare ancora più competitiva sul mercato globale”.

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