Mese: Luglio 2025 Pagina 19 di 28

Federpesca al 4° Summit Blue Forum Italia Network

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La pesca è al centro delle politiche del mare. Per questo, Federpesca prende parte al 4° Summit Blue Forum Italia Network, organizzato da Unioncamere a Roma, dal 9 all’11 luglio. Un’occasione per portare la voce del comparto in un evento di rilevanza internazionale interamente dedicato all’economia del mare.

Tre giornate di confronto che riuniscono istituzioni politiche e militari, imprese, associazioni di categoria, enti di ricerca e formazione, per delineare insieme strategie comuni per lo sviluppo sostenibile della Blue Economy italiana.

Presente anche il Ministro dell’Agricoltura, della Sovranità Alimentare e delle Foreste, Francesco Lollobrigida, che ha ribadito come la pesca rappresenti un settore primario, strategico non solo per la sicurezza alimentare, ma anche per la competitività del nostro Paese.

“La pesca è un settore produttivo fondamentale – ha spiegato all’inaugurazione Francesca Biondo, direttrice generale di Federpesca – che ha bisogno di essere riconosciuto come parte integrante del tessuto industriale nazionale. Per affrontare le sfide presenti e future servono politiche industriali e del lavoro all’altezza: servono investimenti, formazione, semplificazioni e una visione strategica che rimetta la pesca al centro delle politiche del mare.”

Il Blue Forum si conferma anche quest’anno un’occasione di dialogo ad alto livello, in un momento cruciale per il comparto ittico italiano, chiamato a tenere insieme tradizione e innovazione, tutela ambientale e competitività, identità e sviluppo.

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Percebe, strano, raro e delizioso

Percebe, strano, raro e delizioso

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Non è semplice incontrarlo, né meno ancora assaggiarlo. Il percebe è un crostaceo straordinario per habitat, gusto e valore culturale, una creatura marina che sfida le convenzioni biologiche e gastronomiche. Appartenente alla specie Pollicipes pollicipes, si tratta di un crostaceo cirripede, sessile, che vive aggrappato alle scogliere battute dalle onde dell’Oceano Atlantico nord-orientale.

La sua distribuzione geografica è precisa e limitata. I percebes popolano le coste rocciose della Galizia (in particolare nella provincia di La Coruña e lungo la “Costa da Morte”), del nord del Portogallo (tra Viana do Castelo e Peniche), del Marocco settentrionale (tra Larache e Tangeri), e in misura minore le scogliere esposte della Bretagna francese e di alcune isole Canarie. Gli esemplari migliori, per dimensione e sapore, sono generalmente considerati quelli galiziani, per via della forza delle maree e dell’ossigenazione costante delle acque.

Esteticamente inusuale, il percebe assomiglia a un artiglio preistorico: una lunga base carnosa, detta peduncolo, rivestita da una cuticola coriacea, e una parte terminale costituita da piastre dure che racchiudono l’apparato filtrante. Vive aggregato in colonie nelle zone intertidali, dove il moto ondoso è continuo e violento. Ed è proprio qui che si sviluppa una delle tecniche di pesca più dure e pericolose dell’intero panorama ittico europeo.

La raccolta dei percebes è un rituale che richiede esperienza, coraggio e preparazione fisica. I percebeiros – pescatori specializzati, spesso eredi di una tradizione tramandata di generazione in generazione – attendono la bassa marea per avvicinarsi alle scogliere, calandosi con corde o raggiungendole via mare. Indossano tute stagne, elmetti e scarpe con chiodi per affrontare rocce scivolose e onde imprevedibili. Con l’uso di un attrezzo detto raspón o espátula, staccano i percebes uno ad uno dalla roccia, cercando di preservare il piede del crostaceo senza danneggiare la colonia. Ogni operazione è una corsa contro il tempo: la marea risale in fretta, e bastano pochi minuti per trovarsi in balia dell’oceano.

Non è raro che si verifichino incidenti mortali: l’acqua, le rocce taglienti e la forza delle onde rendono questa attività una vera prova di resistenza. È per questo che il percebe non è solo raro, ma anche prezioso.

Dal punto di vista biologico, il percebe è ermafrodita ma richiede vicinanza ad altri individui per la fecondazione. Si riproduce più volte all’anno, ma solo una piccola percentuale delle larve riesce a sopravvivere e insediarsi con successo. In Spagna e Portogallo sono in vigore regolamenti stringenti che disciplinano la raccolta: limiti giornalieri per pescatore, rotazione delle zone di pesca, periodi di fermo biologico e tracciabilità del prodotto. Ogni percebes venduto legalmente è marcato da un’etichetta che ne certifica la provenienza e la sostenibilità della raccolta.

Il percebe è anche una prelibatezza gastronomica: la carne, contenuta nel peduncolo, è tenera, sapida, con note che ricordano ostrica e crostacei bolliti. Tradizionalmente, viene cotto per pochi minuti in acqua di mare e servito caldo, appena scolato. Non è raro che raggiunga prezzi superiori ai 200 euro/kg durante le festività natalizie o nei ristoranti gourmet.

È un prodotto che sfugge alle logiche industriali: non esiste un allevamento su larga scala, né tecnologie consolidate per la sua coltivazione. Questo lo rende l’archetipo del “cibo selvaggio” – difficile da ottenere, impossibile da replicare, profondamente legato al suo luogo d’origine.

Il percebe è molto più di un crostaceo: è una creatura estrema, legata a un paesaggio, a un gesto, a una cultura. Il suo valore va oltre il prezzo di mercato e si radica in un equilibrio fragile tra natura, rischio e tradizione. Conoscerlo, raccontarlo e rispettarne la complessità è un dovere per chiunque si occupi – a qualunque livello – di risorse del mare.

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Progetto Impresa: boom di richieste per esperti AI

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L’intelligenza artificiale (IA) sta rivoluzionando il mondo del lavoro, anche in Italia. Le offerte di lavoro che richiedono competenze AI sono infatti cresciute dell’80% in soli sei anni (2019-2025). Lo riporta un’elaborazione del portale statistico Our World in Data basata sul recente “Lightcast via AI Index Report“.

L’indagine ha considerato gli annunci di lavoro come correlati all’intelligenza artificiale quando questi prevedevano una o più competenze legate all’AI, come, per esempio, l’elaborazione del linguaggio naturale, le reti neurali, l’apprendimento automatico o la robotica. La quota generale di ricerche di personale con competenze AI sono così passate, sempre in ambito italiano, dallo 0,5% del 2019 allo 0,9% di inizio 2025. Negli Stati Uniti la percentuale è invece dell’1,8%, con una crescita del 200% nell’ultimo decennio, dato che lascia presagire un’ulteriore e forte crescita anche nel Belpaese. La rivoluzione dell’intelligenza artificiale, nelle aziende, sta quindi creando nuove professionalità e, nel contempo, trasformando profondamente quelle esistenti. Tra le competenze richieste, però, non ci sono più solo quelle tecniche o analitiche, ma anche etiche. A rivelarlo è uno studio pubblicato dall’Università di San Diego, che ha recentemente analizzato come alcuni effetti si stiano già facendo sentire sulle organizzazioni aziendali. Per le imprese, ma anche per i professionisti, la trasformazione non è, quindi, solo tecnologica, ma anche e per l’appunto culturale. L’upskilling e il reskilling delle risorse umane diventano, allora, una necessità, soprattutto poiché, stando ai dati più recenti, meno di un italiano su due (il 46%), tra i 16 e i 74 anni, possiede competenze digitali di base, contro una media europea superiore del 10% (56%). La vera sfida, anche per le PMI che costituiscono l’ossatura dell’economia italiana, sarà quella di riuscire ad accompagnare i lavoratori in questo processo, garantendo un aggiornamento formativo continuo e flessibile.

In tale contesto, le imprese del Belpaese sono alla ricerca dei migliori strumenti per garantire al personale già assunto la formazione continua necessaria e l’alleanza con enti formativi e istituzioni può rappresentare un fattore chiave. Ne sono convinti gli esperti di Progetto Impresa, società italiana che da anni opera nel campo della formazione finanziata e della consulenza per la trasformazione digitale e oggi inclusa nella prestigiosa classifica “FT1000 Europe’s Fastest-Growing Companies” del Financial Times.

“In un momento in cui l’intelligenza artificiale sta ridefinendo il concetto stesso di lavoro, è fondamentale non farsi trovare impreparati – spiega Sebastiano Gadaleta, founder e direttore generale di Progetto Impresa – Le nostre imprese devono capire che la formazione non è un costo, ma un investimento. A richiederla, peraltro, non è solo il mercato, ma sono gli stessi lavoratori, che sentono di averne bisogno per rimanere competitivi. E grazie ai fondi pubblici disponibili, questo investimento può essere sostenuto senza pesare sul bilancio e, allo stesso tempo, può essere oggi erogato con modalità che evitano di sottrarre tempo prezioso all’operatività quotidiana. Soprattutto per le PMI è centrale la finanza agevolata. Per potervi accedere, però, è necessario che le aziende si affianchino a partner consulenziali che si occupino di individuare il bando più adatto, redigere il progetto formativo, gestire la burocrazia e monitorare l’intero processo fino all’erogazione dei corsi. In questo modo, le imprese possono concentrarsi sul proprio core business, senza rinunciare all’innovazione”.

L’affiancamento di un innovation manager è, in questo scenario, fondamentale: molte aziende italiane, infatti, non sono ancora pienamente consapevoli delle opportunità legate alla formazione finanziata. Fondi interprofessionali, bandi regionali (come i PIA e i voucher per la digitalizzazione), progetti del PNRR e finanziamenti europei sono strumenti che permettono di accedere a corsi specializzati, coaching, upskilling e reskilling del personale. Inoltre, l’adozione dell’IA richiede una revisione della governance e della cultura aziendale. “L’errore più comune che fanno molte delle nostre imprese e dei nostri imprenditori – continua Gadaleta di Progetto Impresa – è pensare che la transizione digitale sia solo una questione di software. In realtà è una questione di persone. Formare i propri dipendenti significa metterli nella condizione di affrontare con serenità e competenza i cambiamenti in atto, evitando resistenze e valorizzando i talenti interni. Tutti possono acquisire nuove competenze, se opportunamente affiancati e formati”. In questo modo, sempre secondo gli esperti, si possono guidare e condurre i dipendenti già presenti in azienda ad acquisire nuovi titoli e a rivestire nuovi profili professionali.

Secondo gli esperti del team multidisciplinare di Progetto Impresa, ecco quali saranno i 10 profili professionali più ricercati sul mercato e sui quali investire entro la fine del 2025:

1. AI Engineer: progetta e sviluppa sistemi intelligenti capaci di apprendere e adattarsi.

2. Machine Learning Engineer: specializzato nella creazione di algoritmi che permettono alle macchine di apprendere dai dati.

3. Data Scientist: analizza grandi quantità di dati per estrarre informazioni utili e supportare decisioni strategiche.

4. AI Ethic Specialist: si occupa delle implicazioni etiche e legali dell’uso dell’intelligenza artificiale.

5. Prompt Engineer: ottimizza le interazioni tra utenti e modelli linguistici avanzati, come i chatbot.

6. Responsabile dei contenuti generati dall’IA: supervisiona la creazione di contenuti da parte di sistemi intelligenti, garantendone qualità e coerenza anche valoriale.

7. AI Product Manager: guida lo sviluppo di prodotti basati su intelligenza artificiale, coordinando team multidisciplinari.

8. AI Solutions Architect: progetta l’integrazione di sistemi intelligenti all’interno delle infrastrutture aziendali.

9. Robotic Automation Specialist: implementa soluzioni robotiche intelligenti nei processi produttivi.

10. Chief AI Officer (CAIO): dirigente responsabile della strategia aziendale in ambito intelligenza artificiale.

L’IA nella filiera ittica: innovazione, competenze e formazione finanziata
Nota di redazione – Pesceinrete

Anche il settore ittico è coinvolto a pieno titolo in questa transizione. Dalla trasformazione industriale alla logistica, fino alla tracciabilità digitale e al marketing, l’intelligenza artificiale apre nuove prospettive per l’efficienza e la competitività delle imprese della filiera. In questo scenario, l’urgenza di investire nel reskilling e nell’upskilling delle risorse umane riguarda da vicino anche le aziende ittiche italiane, chiamate a cogliere le opportunità offerte dalla formazione finanziata e dalla digitalizzazione intelligente dei processi produttivi.

 

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La trota del futuro nasce in Danimarca, su terraferma e senza sprechi

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Nel nord della Danimarca, a Hirtshals, sta prendendo forma un progetto che potrebbe cambiare radicalmente il volto dell’acquacoltura: l’allevamento circolare di trote concepito da Onnest. Non è solo una sfida tecnologica o un esercizio di sostenibilità: è una proposta concreta di ripensamento dell’intera filiera, dalle infrastrutture produttive fino ai modelli di consumo.

La visione è chiara: zero sprechi, benessere animale elevato, impatto ambientale minimo e valorizzazione dei sottoprodotti. Un’alternativa strutturata e sistemica ai modelli intensivi tradizionali.

Fondata dai norvegesi Samuel Muren e Håkon Volden, Onnest ha scelto la terraferma danese per costruire il primo allevamento circolare di trote al mondo, basato su un’architettura industriale che mette al centro il concetto di circolarità. Ma il progetto va oltre la produzione: ambisce a diventare un simbolo di come si possa produrre cibo in modo etico, efficiente e connesso con il territorio.

Dalla trota al sistema: un cambio di paradigma

Ogni aspetto dell’impianto è progettato per essere parte di un ciclo virtuoso. Gli scarti della lavorazione del pesce e i fanghi residui diventano substrato per la produzione locale di alghe, le quali, a loro volta, saranno impiegate per produrre mangime, insieme a sottoprodotti ittici locali. Si elimina così la dipendenza dalla soia importata e si riduce la pressione sulle foreste sudamericane.

La sinergia con le industrie vicine, come gli impianti per la produzione di idrogeno, consente di recuperare calore residuo, trasformandolo in energia utile per i processi interni. Tutto è pensato per rigenerare, non solo per produrre.

Benessere animale: oltre la retorica

Il progetto non si limita agli aspetti ambientali. Il benessere animale è un punto cardine: le trote verranno allevate senza farmaci né vaccini, in un ambiente studiato per garantire condizioni ottimali di crescita e una sopravvivenza superiore al 95%. Un traguardo ambizioso, considerando che nei sistemi tradizionali a terra la mortalità può superare il 50%.

Dietro questi numeri c’è la collaborazione tra architetti e ingegneri (tra cui Hovaldt, Lendager e Schønherr), che stanno costruendo spazi dove tecnologia e design si fondono per creare un ambiente favorevole sia alla produzione che alla vita del pesce.

Un impianto che parla al mondo

Il Comune di Hjørring sostiene attivamente il progetto, ma l’ambizione è globale. Secondo i fondatori, ciò che si sta costruendo a Hirtshals può essere replicato in contesti diversi: nei Paesi Bassi, in Francia, in Giappone. L’allevamento circolare di trote non è solo una struttura, ma un manifesto per l’intera industria.

Il messaggio è chiaro: l’acquacoltura non deve per forza essere intensiva, standardizzata e ad alto impatto. Può diventare un motore di rigenerazione, un alleato della biodiversità e uno strumento di produzione proteica efficace anche in chiave di sicurezza alimentare.

Il progetto di Onnest dimostra che l’acquacoltura del futuro non è solo una questione tecnologica, ma culturale. Ridefinire ciò che consideriamo efficiente, sostenibile e desiderabile è oggi possibile. E tutto parte da una trota, allevata senza sprechi, in un impianto che potrebbe presto diventare standard.

Guardare a Hirtshals, oggi, significa osservare un possibile domani per l’intero settore.

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Verso una nuova strategia globale dell’UE per la pesca

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È un’occasione cruciale quella offerta dall’invito a presentare contributi sulla futura azione esterna dell’UE in materia di pesca, pubblicato dalla Commissione europea e aperto fino al 15 settembre 2025. Un appello che non si limita alla sfera diplomatica, ma che può incidere profondamente sulle dinamiche economiche, ambientali e sociali della filiera ittica europea e internazionale.

La Commissione mira a raccogliere opinioni qualificate su come rafforzare il ruolo dell’UE nella governance globale della pesca. L’obiettivo è duplice: da un lato, delineare una politica esterna capace di garantire condizioni di parità tra operatori; dall’altro, contribuire a una gestione più sostenibile degli oceani, contrastando attivamente le pratiche illegali e promuovendo standard elevati.

Al centro del processo decisionale, dunque, non vi è solo la diplomazia, ma una visione integrata che coinvolge attori della produzione, trasformazione, distribuzione e commercio dei prodotti ittici. Le risposte attese dalla Commissione non sono teoriche: si tratta di evidenze, esperienze e proposte operative che possono orientare, già dal 2026, una nuova generazione di accordi bilaterali e multilaterali.

Le domande poste dalla consultazione sono tutt’altro che accademiche. Come può l’UE sostenere la sostenibilità economica della pesca a livello globale? In che modo rafforzare le Organizzazioni Regionali di Gestione della Pesca (ORGP) per mantenerle all’altezza delle sfide ambientali e commerciali contemporanee? E ancora: quali strumenti vanno potenziati per impedire che la concorrenza sleale continui ad alimentarsi attraverso sovvenzioni distorsive, bandiere di comodo o scarsa trasparenza nelle importazioni?

L’iniziativa si inserisce nel più ampio quadro del Patto europeo per gli oceani, che già prevede azioni concrete come l’attuazione dell’accordo OMC per la messa al bando delle sovvenzioni dannose alla pesca o la revisione dei regolamenti UE in materia di pratiche commerciali scorrette.

Secondo il Commissario per la Pesca e gli Oceani, Kostas Kadis, «non esiste un futuro sostenibile per la pesca dell’UE senza una forte azione esterna». Le parole pronunciate alla recente Conferenza ONU di Nizza si legano direttamente a questa iniziativa, che mira a dare continuità al ruolo proattivo dell’UE nelle sedi multilaterali e nelle relazioni bilaterali.

È evidente che l’azione esterna dell’UE in materia di pesca non può più essere vista come un ambito separato dalla strategia industriale del settore ittico europeo. Al contrario, è proprio su questo piano che si giocano molte delle partite cruciali: l’accesso equo alle risorse, la reciprocità negli scambi, la sicurezza alimentare, la protezione dei lavoratori del mare.

L’invito della Commissione a partecipare alla definizione della futura azione esterna dell’UE in materia di pesca rappresenta un’opportunità concreta per tutti gli operatori della filiera ittica. Offrire contributi basati su esperienza diretta e visione strategica può influenzare le future politiche internazionali e rafforzare la competitività e la sostenibilità del sistema europeo.

Partecipare attivamente alla consultazione non è solo un dovere istituzionale: è un atto di visione e responsabilità per il futuro dell’intero comparto ittico.

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