Mese: Luglio 2025 Pagina 7 di 28

Danni ambientali: un rischio concreto anche per la filiera ittica

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In un panorama produttivo sempre più esposto alle conseguenze dei cambiamenti climatici, dei controlli normativi e degli impatti industriali, i rischi ambientali per le imprese ittiche rappresentano una minaccia concreta e spesso sottovalutata. A lanciare l’allarme è il Pool Ambiente, centro d’eccellenza nazionale per la responsabilità ambientale, che evidenzia come oltre il 70% degli incidenti con danni alle risorse naturali in Italia sia causato da attività d’impresa.

Il settore ittico, pur non figurando tra i più energivori o ad alto impatto come quello chimico o metallurgico, opera in ambienti ecologicamente sensibili: impianti di acquacoltura in mare e in laguna, stabilimenti di trasformazione lungo le coste, banchine portuali per lo sbarco e la movimentazione del pescato. Ogni sversamento, ogni errore nella gestione di reflui o materiali inquinanti, può generare un danno ambientale con ricadute economiche devastanti.

Secondo l’indagine condotta da ANIA, solo lo 0,64% delle imprese italiane dispone di una polizza di responsabilità ambientale. La restante quasi totalità è quindi esposta in modo diretto e potenzialmente letale ai costi imprevisti di bonifica e ripristino, che in molti casi si traducono in un colpo mortale per la tenuta dell’impresa. Si stima che tra il 5% e il 10% dei fallimenti aziendali in ambito industriale e ambientale abbiano tra le cause proprio l’insostenibilità economica di queste emergenze.

Per le aziende ittiche, questo significa essere pronte ad affrontare scenari che includono contaminazioni da idrocarburi, malfunzionamenti degli impianti di depurazione, dispersione di sostanze utilizzate nei cicli produttivi, o semplicemente negligenze nella gestione ordinaria. Eppure la consapevolezza resta ancora scarsa, così come l’adozione di pratiche preventive o coperture assicurative specifiche.

A fronte di questo vuoto, il decalogo proposto dal Pool Ambiente offre una guida operativa utile anche alla filiera ittica. Dalla mappatura preventiva delle fonti di rischio alla manutenzione strutturale, dalla formazione del personale alla stipula di polizze assicurative, ogni voce rappresenta un investimento in resilienza. Particolarmente rilevante è l’invito ad adottare la Prassi di Riferimento UNI 107/2021, che definisce criteri tecnici per una gestione efficace dei rischi ambientali.

Non si tratta solo di evitare sanzioni o contenziosi, ma di garantire la continuità aziendale e la sostenibilità a lungo termine dell’intero comparto. In un settore sempre più sotto osservazione da parte di consumatori, istituzioni e stakeholder, la responsabilità ambientale può e deve diventare parte integrante del modello di business.

In conclusione, i rischi ambientali per le imprese ittiche non possono più essere considerati un’ipotesi remota. La fragilità degli ecosistemi marini e costieri impone un cambio di passo: la prevenzione non è più un’opzione, è un requisito di sopravvivenza. E un’occasione per dimostrare, concretamente, il valore della sostenibilità.

Approfondisci le buone pratiche e valuta l’adozione di strumenti concreti per la gestione dei rischi ambientali nella tua impresa. Il futuro della filiera passa anche da qui.

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Plastica e resistenza antimicrobica: un’emergenza che coinvolge anche il mare

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La crescente attenzione scientifica verso le connessioni tra plastica e resistenza antimicrobica ha finalmente assunto un contorno nitido. A testimoniarlo è un recente e autorevole studio pubblicato su Journal of Hazardous Materials, a firma di Emily M. Stevenson e colleghi delle università di Exeter e Plymouth Marine Laboratory. Il lavoro adotta una prospettiva sistemica e multidisciplinare, tracciando un nesso documentato tra produzione, uso e smaltimento della plastica e la diffusione della resistenza agli antimicrobici (AMR), una delle più gravi minacce sanitarie globali.

Il problema non riguarda solo la sanità pubblica, ma coinvolge anche gli ecosistemi acquatici e, indirettamente, la filiera ittica. Gli ambienti marini, in particolare, si stanno trasformando in serbatoi di batteri resistenti, veicolati da rifiuti plastici ormai ubiqui. Microplastiche, biofilm, metalli pesanti e additivi plastici si combinano in un cocktail potenzialmente letale per l’equilibrio ecologico e per la sicurezza alimentare.

Lo studio esamina ogni fase del ciclo di vita della plastica, dimostrando che il rischio legato alla plastica e alla resistenza antimicrobica non si esaurisce con il rifiuto in mare. Dall’estrazione del petrolio con l’uso di biocidi, fino al riciclo inefficace e contaminato, passando per gli imballaggi a contatto con alimenti e i dispositivi medici, ogni passaggio rappresenta un potenziale motore di selezione genetica per microrganismi resistenti.

In ambiente marino, i rifiuti plastici fungono da veri e propri vettori biologici: le superfici plastiche ospitano comunità microbiche specifiche, i cosiddetti plastisfere, che non solo facilitano la trasmissione orizzontale di geni resistenti, ma anche il trasporto di patogeni su scala globale. È ormai evidente che plastica e resistenza antimicrobica si alimentano a vicenda, in una spirale che coinvolge le coste, gli organismi acquatici e le catene alimentari.

Nel contesto ittico, le implicazioni sono tangibili. Le specie marine possono ingerire microplastiche colonizzate da patogeni resistenti, con conseguenze non ancora pienamente quantificate sulla salute degli animali e sulla qualità del pescato. Inoltre, la gestione dei rifiuti plastici nei porti, nei mercati ittici e nelle aree di lavorazione richiede ora un’attenzione diversa, non più limitata all’impatto visivo o ecologico, ma anche alla potenziale diffusione di microrganismi resistenti.

Il richiamo degli autori dello studio è chiaro: occorre superare le analisi settoriali e affrontare in maniera integrata la sfida posta da plastica e resistenza antimicrobica. Servono politiche condivise tra sanità, ambiente e industria; servono nuovi criteri per la produzione e il riciclo della plastica; servono controlli lungo tutta la catena, inclusa quella alimentare.

Per il settore ittico, ciò si traduce in una responsabilità crescente. Non si tratta più solo di garantire tracciabilità, sostenibilità e freschezza del prodotto, ma anche di contribuire a un ecosistema marino meno contaminato da vettori di resistenza batterica. È una questione di sicurezza, ma anche di reputazione, in un mercato sempre più attento alla salute e alla trasparenza.

Lo studio firmato da Emily M. Stevenson delinea un quadro preoccupante ma imprescindibile: la plastica è un cofattore della crisi antimicrobica globale. Il mare, e con esso il comparto ittico, è parte integrante di questa equazione. Capire il legame tra plastica e resistenza antimicrobica è il primo passo per agire in modo efficace.

Chi opera nella filiera ittica ha oggi l’opportunità di contribuire a un cambiamento sistemico. Informarsi, prevenire, agire: sono le parole chiave per una Blue Economy davvero sostenibile.

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Una generazione che compra, ma che nessuno racconta

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In un panorama mediatico sempre più ossessionato dalla giovinezza, sorprende quanto poco spazio venga riservato alle generazioni più mature. Eppure, tra i 60 e i 75 anni si concentra una delle fasce più solide e dinamiche della società: attive, digitalizzate, economicamente influenti. Una presenza viva, eppure trascurata da gran parte delle strategie di comunicazione di marca. Un’assenza che pesa anche laddove il legame con la tradizione, la qualità e il consumo quotidiano è fortissimo, come accade nella comunicazione nel settore ittico per over 60.

Secondo il report Boomer a chi?, curato dall’Università Cattolica del Sacro Cuore e dall’agenzia Caffeina con la collaborazione di TikTok, meno del 2% della pubblicità italiana rappresenta individui sopra i sessant’anni. E questo nonostante, secondo l’Istat, costituiscano oltre il 30% della popolazione, una quota destinata a crescere nei prossimi decenni. Il dato non riguarda solo la rappresentazione visiva, ma l’intero impianto di contenuti, linguaggi e codici culturali. E nel comparto ittico, questa assenza è particolarmente evidente.

Un target concreto, stabile, con cultura del prodotto

Chi ha superato i sessant’anni non è un residuo del passato, ma un interlocutore attivo, spesso centrale nelle dinamiche di consumo alimentare. Ha tempo, esperienza, capacità di spesa. E un legame profondo con la cultura del cibo, specie nei territori a forte tradizione marinara, dove il pesce rappresenta un’abitudine quotidiana, non un capriccio da weekend.

Nel comparto ittico, gli over 60 sono clienti fidelizzati, razionali, competenti. Leggono le etichette, sanno distinguere una specie locale da un prodotto d’allevamento asiatico, prediligono la qualità rispetto alla convenienza a ogni costo. Sono i custodi della stagionalità, dei saperi tradizionali, delle ricette familiari. E spesso sono loro a influenzare anche le scelte di figli e nipoti.

Connessi e partecipi, non solo spettatori

Lontano dallo stereotipo dell’anziano tecnofobo, questo pubblico è sempre più alfabetizzato digitalmente. Facebook resta il loro presidio principale, ma anche TikTok vede una crescente presenza della Gen X, spesso non come spettatrice ma come creatrice di contenuti, in grado di comunicare autenticità ed esperienza senza forzature.

Online cercano informazioni, leggono notizie, confrontano prezzi, si scambiano consigli nei gruppi. Il digitale non è solo un canale, ma un ambiente vissuto con consapevolezza. Anche nei consumi ittici, l’uso del web si traduce in scelte più informate e meno impulsive: un valore ancora poco sfruttato dai brand.

Invisibili, ma fondamentali

Il paradosso è evidente: gli over 60 sono centrali nella pratica d’acquisto, ma marginali nel racconto. La comunicazione nel settore ittico per over 60 si affida ancora a narrazioni nostalgiche o, peggio, li ignora del tutto, rincorrendo i giovani come unico orizzonte strategico.

Eppure, questa generazione è una risorsa. Garantisce stabilità economica, sostiene figli e genitori, rappresenta un punto fermo nella gestione familiare e nelle scelte alimentari. Non sono solo consumatori, ma veri e propri mediatori culturali all’interno delle famiglie. Continuare a ignorarli significa perdere un’opportunità di relazione, fedeltà e valore.

Rivedere i codici, non i target

Il report individua cinque azioni chiave per ristabilire un dialogo efficace con questo pubblico: ascoltarli, rappresentarli, co-creare con loro, usare linguaggi adeguati e presidiare i momenti di transizione della vita. Tutti elementi che possono e devono entrare anche nelle strategie della filiera ittica.

Ciò che serve non è una “pubblicità per anziani”, ma una narrazione intergenerazionale, rispettosa, autentica, che sappia valorizzare la memoria senza renderla un cliché. L’esperienza degli over 60 può diventare un ponte tra il sapere tradizionale e la sostenibilità moderna, tra consumo consapevole e valorizzazione della filiera.

La longevità non è un’anomalia da gestire, ma una condizione strutturale da integrare. Gli over 60 non sono un pubblico marginale, ma una generazione attiva e trasformativa, con un ruolo determinante nella cultura del pesce, nel valore del cibo, nelle scelte familiari. Il settore ittico ha oggi l’occasione – e la responsabilità – di riscrivere il proprio racconto, includendo chi ne è stato per troppo tempo protagonista silenzioso.

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Mediterranean White Seabream: A Complete Guide to Species in the Mediterranean

Mediterranean White Seabream: A Complete Guide to Species in the Mediterranean

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Mediterranean White Seabream: A Complete Guide to Species in the Mediterranean – The white seabream is a marine bony fish belonging to the Sparidae family, like the dentex, gilthead seabream (orata), and pagro. In the Mediterranean Sea, five species of white seabream are commonly found: white seabream (Diplodus sargus), sharpsnout seabream, zebra seabream (Diplodus vulgaris), annular seabream, and the rare zebra seabream (Diplodus cervinus).

These species differ significantly in appearance, size, habitat, and diet, making identification essential for both fishermen and consumers. Among them, the white seabream (Diplodus sargus) is considered the most valuable, followed by the increasingly rare Diplodus cervinus. The sharpsnout and annular varieties are less appreciated: the former for its flavor, the latter for its small size.

Fresh white seabream can be identified by its silvery body, firm and curved flesh, purple-red gills, clear protruding eyes, and well-attached shiny scales.

Nutritional Properties

White seabream meat contains about 5–6% fat, classifying it as semi-fat fish. Rich in minerals, it’s ideal for adolescents, athletes, recovering patients, and the elderly. It provides 103 kcal per 100 grams of fresh product.

Sharpsnout Seabream (Diplodus puntazzo)

Also known as sharpsnout white seabream, this species stands out for its pointed snout and prominent vertical stripes that remain visible even hours after death. It can reach 40 cm in length and weigh over 1 kg.

  • Distribution and Habitat: Common in the Mediterranean, Black Sea, and Eastern Atlantic. It inhabits rocky seabeds, often found in ports and artificial reefs between 20 and 50 meters.

  • Fishing: Rarely caught with gillnets, more often by hook and line, using both animal and plant baits. It has low market value, sometimes mislabelled as more prized white seabream species.

  • Diet: Mainly algae, similar to the salema (Sarpa salpa), occasionally mollusks and small invertebrates.

 

 

Diplodus puntazzo
Diplodus puntazzo – Fonte: Fishbase

 

Annular Seabream (Diplodus annularis)

The annular white seabream is the smallest species in the Mediterranean, rarely exceeding 25 cm and 300 g. It features a silver body with yellowish hues, yellow ventral fins, and a distinct black spot on the caudal peduncle.

  • Distribution and Habitat: Present throughout the Mediterranean, Black Sea, and some Atlantic coasts. Prefers shallow coastal zones (0–20 m), particularly Posidonia oceanica and Zostera meadows.

  • Fishing: Caught using all recreational fishing techniques with natural bait and frequently in gillnets. Not commercially valued due to bland flavor and small size.

  • Diet: Feeds on algae, nematodes, mollusks, crustaceans, and echinoderms.

Diplodus annularis
Diplodus annularis – Fonte: Wikipedia

Zebra Seabream (Diplodus vulgaris)

Often referred to as striped white seabream, this species is recognized by its two vertical black bands—one near the gill cover, the other near the tail—and a dark band above the eyes.

  • Distribution and Habitat: Found in the Mediterranean, Black Sea, and Atlantic Ocean, generally in rocky coastal waters down to 30 meters, though it can reach depths of 160 meters.

  • Fishing: Highly prized by both amateur and professional fishermen, caught with gillnets, longlines, and handlines.

  • Diet: Classic sparid diet—crustaceans, mollusks, cephalopods, and marine worms.

  • Size: Can grow up to 45 cm and 1.3 kg.

 

Diplodus vulgaris
Diplodus vulgaris – Fonte: Fishbase

White Seabream (Diplodus sargus)

The true white seabream (Diplodus sargus) is the most iconic and valued species in Mediterranean cuisine. It has a grey-silver body, with five black vertical stripes (more visible in juveniles) and a black blotch before the tail.

  • Distribution and Habitat: Widespread in the Mediterranean and Eastern Atlantic, inhabiting rocky bottoms, sandy substrates, Posidonia beds, and even brackish lagoons.

  • Size and Lifespan: Reaches up to 45 cm, 2 kg, and lives up to 10 years. Juveniles are gregarious, while adults are typically solitary.

  • Diet: Prefers sea urchins, especially when mature enough to crush their spiny shells. Also consumes crustaceans, benthic invertebrates, and some algae.

  • Fishing: Caught using gillnets, longlines, traps, and rods. Its flesh is highly prized in the seafood market.

 

Diplodus sargus
Diplodus sargus – Fonte: Fishbase

Zebra Seabream (Diplodus cervinus)

The largest and rarest white seabream in the Mediterranean, Diplodus cervinus is also known as the zebra seabream. It features 5–6 broad dark vertical bands and prominent lips.

  • Distribution and Habitat: Found in the North-East Atlantic and Mediterranean, more common along North African coasts, rarer in Italy but occasionally found in Sicily. Lives on natural rocky seabeds up to 200 meters.

  • Size: Can grow up to 55 cm and 3 kg.

  • Diet: Omnivorous, feeding on aquatic plants and small invertebrates.

  • Fishing: Rarely caught via gillnets, longlines, traps, and lines. Its rarity makes it a highly sought-after delicacy.

 

Diplodus cervinus
Diplodus cervinus – Fonte: Fishbase

Among the various types of white seabream in the Mediterranean, Diplodus sargus stands out for its culinary quality, nutritional benefits, and market popularity. Understanding how to distinguish these species is key for ethical fishing, responsible consumption, and avoiding commercial mislabeling.

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Mediterranean White Seabream: A Complete Guide to Species in the Mediterranean

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La Pietra, inaccettabili tagli UE a pesca e agricoltura

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“La Pac non è un sussidio agli agricoltori, ma una politica economica in grado di garantire la competitività del mondo agricolo europeo, specie in un contesto complesso quale quello che stiamo vivendo, tra guerre, dazi e cambiamenti climatici. Investire sull’agricoltura significa garantire ai cittadini accesso sostenibile al cibo di qualità. Con questo obiettivo continueremo a lavorare in Italia e a Bruxelles per ottenere una Pac diversa da quella proposta dal Commissario europeo, che prevede tagli insostenibili per agricoltori e pescatori. Vogliamo una Pac finalmente rispettosa dei valori fondanti della UE che pongono l’agricoltura al centro dell’Europa e che non prosegua, con questi tagli, la folle politica pseudo ambientalista e nemica dell’agricoltura degli ultimi anni. Il governo Meloni è e sarà sempre al fianco degli agricoltori in Europa e in Italia, come ribadirà anche domani il ministro Lollobrigida, illustrando il collegato alla Finanziaria inerente misure importanti per l’agricoltura italiana”.

È quanto ha dichiarato il sottosegretario al Masaf, senatore Patrizio La Pietra, durante il suo intervento presso Confagricoltura sul tema della comunicazione della Pac.

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