[[{“value”:”

L’impatto del cambiamento climatico sulla pesca nel Mediterraneo è ormai un dato di fatto e non più una previsione. A sottolinearlo con rigore scientifico e chiarezza è stato Fabio Fiorentino, ricercatore del CNR – IRBIM, intervenuto a Mazara del Vallo durante l’incontro con le marinerie siciliane, nell’ambito della rassegna ministeriale Tesori dal Blu, alla presenza del Sottosegretario Patrizio La Pietra e del Direttore Generale Francesco Saverio Abate.

Nel suo intervento, Fiorentino ha tracciato un quadro dettagliato delle trasformazioni che stanno investendo il sistema marino mediterraneo e, con esso, l’intera filiera della pesca, sia d’altura sia artigianale. Il primo elemento critico è la mutazione della composizione delle popolazioni ittiche: specie tradizionali stanno diminuendo o spostandosi verso altre aree, mentre specie termofile si stanno insediando stabilmente.

“Il cambiamento climatico – ha spiegato – sta ridisegnando la struttura delle popolazioni ittiche nel Canale di Sicilia e nel Mediterraneo centrale. Alcune specie modificano il proprio areale di distribuzione o si riducono, altre si affermano. Questo ha conseguenze dirette sulla produttività complessiva del sistema marino.”

Secondo il ricercatore, la produttività del mare è in calo, e non solo per effetto della pressione di pesca.
“Il vero nodo è che l’ecosistema è cambiato. Le temperature più elevate e i nuovi assetti ecologici non supportano più i cicli riproduttivi delle specie tradizionali. In questo contesto, continuare ad applicare schemi gestionali pensati per un altro Mediterraneo significa rischiare l’inefficacia. È indispensabile aggiornare le politiche, a partire da una revisione delle quote pesca, per renderle coerenti con le attuali condizioni ambientali.”

A conferma della trasformazione già in atto, Fiorentino ha citato il caso dei mercati palermitani: “Il 95% del pesce venduto come sardina è in realtà alaccia, una specie termofila che si adatta meglio alle acque più calde. La sardina vera, che predilige acque fredde, è quasi scomparsa.”
Un ulteriore elemento di riflessione è rappresentato dal fermo biologico, che secondo Fiorentino va ripensato: “Non si tratta di metterne in discussione l’utilità, ma di adattarlo. Vanno rivalutati tempi, modalità e obiettivi, perché il mare non è più quello di vent’anni fa. Non possiamo pensare a finestre fisse e generalizzate: serve una gestione adattiva, che tenga conto delle reali dinamiche biologiche in corso.”

A questi cambiamenti ecologici si aggiunge una trasformazione geopolitica. Fiorentino ha richiamato l’attenzione sulla crescente presenza dei Paesi del Nord Africa nella pesca d’altura, che non può più essere considerata marginale: “Per decenni l’Italia ha avuto un ruolo dominante nella pesca alturiera mediterranea. Oggi questo ruolo è in discussione. Ci troviamo di fronte a un nuovo assetto geopolitico.”
Questa espansione, favorita anche da accordi internazionali e investimenti, sta ridefinendo gli equilibri nel Mediterraneo, e l’Italia deve agire: “Non si tratta solo di pescare meno – ha sottolineato Fiorentino – ma di valorizzare di più ciò che si pesca, perché dobbiamo prepararci a una fase in cui il mare offrirà meno, e in forme diverse da quelle a cui eravamo abituati.”
Una riflessione che si inserisce in piena sintonia con quanto affermato nel corso dell’incontro dal Direttore Generale Francesco Saverio Abate, che ha più volte sottolineato l’urgenza di una pesca meno quantitativa e più orientata alla qualità e alla valorizzazione del prodotto ittico.

L’intervento di Fiorentino ha lanciato un messaggio chiaro: la pesca italiana è sotto pressione – ambientale, biologica, geopolitica. Per affrontare il cambiamento servono nuovi strumenti: gestione adattiva delle risorse, revisione del fermo biologico, flessibilità nelle quote e valorizzazione del pescato locale. Il Mediterraneo è già cambiato: comprenderlo è il primo passo per affrontarne il futuro.

L’articolo Specie in fuga e nuovi attori: la pesca italiana sotto pressione proviene da Pesceinrete.

“}]] ​