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La pesca a strascico italiana, che garantisce oltre il 70% del pescato nazionale, resta in equilibrio precario tra vincoli europei e sostenibilità economica. Coldiretti Pesca, pur soddisfatta per la mancata riduzione delle giornate di pesca per l’annualità 2025 rispetto al 2024, chiede l’attivazione urgente di un tavolo tecnico per la pesca a strascico con il Ministero competente. La richiesta nasce dalla necessità di avviare subito un percorso di confronto costruttivo in vista del Consiglio Agrifish di dicembre 2025, quando saranno discusse le nuove misure per il 2026.
Negli ultimi anni, il comparto ha dovuto affrontare aumenti dei costi, restrizioni normative e difficoltà legate agli arresti temporanei. Una nuova fase di fermo, secondo l’associazione, metterebbe a rischio la sopravvivenza economica e sociale di centinaia di imprese che già operano con margini ridotti.
Agire subito per un futuro sostenibile
L’urgenza di un tavolo tecnico deriva dall’esigenza di dare alla flotta una prospettiva stabile, capace di coniugare sostenibilità ambientale e continuità produttiva. Senza una programmazione condivisa, la pesca a strascico rischia di perdere ulteriori posti di lavoro e competenze.
Il confronto tra istituzioni, associazioni e operatori è quindi indispensabile per definire una visione comune. Occorre individuare soluzioni praticabili che permettano alle imprese di investire, innovare e garantire il ricambio generazionale, evitando decisioni calate dall’alto che in passato hanno penalizzato il settore.
Numeri e responsabilità
Il comparto della pesca italiana conta circa 12.000 imbarcazioni per un giro d’affari di poco inferiore ai 750 milioni di euro. Negli ultimi trent’anni, la flotta ha perso circa un terzo delle unità e oltre 18.000 posti di lavoro. La pesca a strascico, in particolare, continua a sostenere la gran parte della produzione nazionale, ma soffre un progressivo impoverimento della base imprenditoriale.
Da qui l’appello di Coldiretti Pesca a costruire un percorso partecipato. Agire subito, significa evitare che la flotta perda ulteriormente forza e garantire che la transizione ecologica del mare non diventi un processo di esclusione sociale, ma un modello di sviluppo sostenibile e condiviso.
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