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L’allevamento dell’ippoglosso atlantico entra in una nuova fase di maturità grazie ai risultati congiunti dell’Istituto Norvegese di Ricerca Marina, dell’Università di Bergen e di Nofima. Il progetto, finanziato dal Fondo di Ricerca per l’Industria della Pesca e dell’Acquacoltura, ha messo a punto formule alimentari capaci di adattarsi alle diverse fasi di crescita dell’halibut.

Dopo cinque anni di sperimentazioni, i ricercatori hanno delineato un quadro dettagliato dei fabbisogni nutrizionali di questa specie pregiata. I nuovi mangimi consentono di migliorare la crescita, ridurre gli sprechi e abbattere i costi legati all’alimentazione, che rappresentano la principale voce di spesa per gli allevatori.

L’amido, da limite a risorsa

Tra i risultati più interessanti spicca il ruolo dell’amido, finora considerato poco compatibile con la dieta di un predatore come l’halibut. I dati raccolti mostrano invece che un livello di amido compreso tra il 22 e il 25% può stimolare la crescita nelle fasi più avanzate.

Questo cambio di prospettiva apre nuove opportunità industriali. Aumentare la quota di carboidrati riduce la necessità di proteine animali, generalmente più costose, migliorando al contempo la sostenibilità economica ed ecologica dell’allevamento. In un momento in cui l’industria ittica cerca soluzioni per diminuire la pressione sulle risorse marine, l’impatto di questa scoperta è tutt’altro che marginale.

Vitamine e bilanciamento nutrizionale

La ricerca ha anche colmato un vuoto importante sulle esigenze vitaminiche dell’halibut. I ricercatori hanno definito livelli precisi per diverse vitamine del gruppo B, vitamina C e B12, confermando la necessità di un equilibrio attento nella composizione dei mangimi.

L’interazione tra acido pantotenico e biotina, ad esempio, mostra come un eccesso del primo possa ridurre l’assorbimento del secondo. Inoltre, i livelli di vitamina C richiesti risultano significativamente più elevati rispetto ad altre specie ittiche, un dato che potrebbe incidere sui costi ma anche sulla qualità del pesce allevato.

Ingredienti alternativi e preferenze dei consumatori

Uno degli aspetti più innovativi del progetto riguarda l’uso di materie prime alternative nei mangimi. La sostituzione della farina di pesce con ritagli di salmone, farine di insetti e scarti avicoli ha dato risultati sorprendenti. Gli ippoglossi hanno accettato senza difficoltà queste diete, mantenendo buoni tassi di crescita.

Ancora più significativo è il test sensoriale condotto su 51 partecipanti da uno chef stellato: il 61% ha preferito il sapore dell’halibut allevato con ingredienti alternativi. Una conferma che la sostenibilità, in questo caso, può coincidere con una migliore qualità percepita dal consumatore finale.

Verso un modello di acquacoltura più sostenibile

L’esperienza norvegese dimostra come la ricerca scientifica possa generare valore concreto per la filiera. L’adozione di strategie alimentari più intelligenti e la valorizzazione di sottoprodotti dell’industria ittica e avicola aprono la strada a un’economia circolare applicata all’acquacoltura.

Per l’Europa, dove l’allevamento dell’ippoglosso atlantico rappresenta ancora una nicchia ad alto potenziale, queste scoperte forniscono strumenti utili per consolidare la competitività del settore, riducendo al contempo l’impatto ambientale e la dipendenza dalle farine di pesce tradizionali.

L’articolo Norvegia, un nuovo approccio all’allevamento dell’ippoglosso atlantico proviene da Pesceinrete.

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