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Uila Pesca, cordoglio per pescatore deceduto ad Anzio

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“A poche miglia nautiche da dove, nello scorso dicembre, persero la vita, Massimo e Claudio Di Biase, una nuova tragedia si è consumata a bordo di un peschereccio, coinvolgendo ancora una volta una famiglia: il padre Antonio Magliozzi, il cui corpo è stato ritrovato poche ore fa, e suo figlio Andrea, salvo soltanto grazie al tempestivo intervento di un altro peschereccio. Siamo vicini alla famiglia Magliozzi in queste ore terribili e gridiamo con forza che non è più tollerabile assistere ad una strage inarrestabile, nel più totale disinteresse da parte delle istituzioni, che continuano a girarsi dall’altra parte di fronte alla necessità di affrontare i temi della sicurezza e della salute a bordo delle imbarcazioni da pesca, del riconoscimento del carattere usurante del lavoro del pescatore e, nonostante la norma sia riconosciuta da ormai quattro anni, dell’estensione al settore della pesca del meccanismo della CISOA.”

Lo dichiara Maria Laurenza, segretaria generale Uila Pesca, commentando il tragico incidente in mare ad Anzio, costato la vita al comandante Tony Magliozzi, 66 anni, rimasto bloccato nella cabina del peschereccio che si è ribaltato.

“È chiaro che le problematiche del settore della pesca sono molteplici e questi interventi sarebbero solo parzialmente risolutivi, ma in un contesto in cui gli attacchi ambientalisti sono sempre più aggressivi e le politiche europee sono orientate a determinare la scomparsa di questa attività, siamo convinti di essere nel giusto quando chiediamo attenzione e rispetto per la vita dei pescatori.”

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Accordo Spagna-Francia: 40 tonnellate in più di gambero rosso per il Mediterraneo

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Con un’intesa bilaterale siglata con la Francia, la Spagna si è assicurata una quota aggiuntiva di gambero rosso pari a quasi 40 tonnellate, una mossa che rafforza in modo significativo la capacità operativa della flotta mediterranea. L’annuncio è stato dato dalla Segretaria Generale della Pesca, Isabel Artime, durante un incontro con i rappresentanti delle comunità autonome e del comparto della pesca costiera.

Secondo quanto dichiarato da Artime, l’accordo rappresenta “un contributo concreto alla continuità delle attività del settore”, offrendo nuove possibilità per l’accesso a una delle specie più pregiate e richieste del Mediterraneo. Il gambero rosso, risorsa di alto valore commerciale, continua a rappresentare un perno per l’equilibrio economico di numerose marinerie locali.

L’incontro ha offerto anche l’occasione per fare il punto sullo stato attuale della pesca nel Mediterraneo, analizzando parametri chiave come i giorni di sforzo residui, le quote disponibili, le modalità di certificazione del sacco e altre misure di controllo. Si tratta di strumenti decisivi per gestire in maniera sostenibile una risorsa preziosa e delicata, spesso al centro di forti pressioni ambientali ed economiche.

La quota aggiuntiva di gambero rosso non è solo una leva economica immediata, ma anche un’occasione per migliorare la pianificazione strategica del settore. In questo contesto, la collaborazione tra Stati membri – come dimostra l’accordo con la Francia – si rivela essenziale per garantire una gestione efficiente e coordinata delle risorse comuni.

Non è un caso che il focus sulla pesca mediterranea si stia intensificando: tra cambiamenti climatici, fluttuazioni di mercato e nuove normative comunitarie, le imprese ittiche si trovano oggi a operare in un contesto sempre più complesso. Aumentare la quota di gambero rosso significa anche offrire margini di manovra a una flotta che ha bisogno di stabilità, certezze regolatorie e strumenti adeguati per innovare senza perdere competitività.

L’accordo tra Spagna e Francia per una quota supplementare di quasi 40 tonnellate di gambero rosso rappresenta una risposta concreta alle esigenze del settore. Oltre al beneficio immediato per la flotta del Mediterraneo, l’intesa segna un passo avanti nella cooperazione internazionale per la gestione sostenibile delle risorse ittiche.

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Danni ambientali: un rischio concreto anche per la filiera ittica

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In un panorama produttivo sempre più esposto alle conseguenze dei cambiamenti climatici, dei controlli normativi e degli impatti industriali, i rischi ambientali per le imprese ittiche rappresentano una minaccia concreta e spesso sottovalutata. A lanciare l’allarme è il Pool Ambiente, centro d’eccellenza nazionale per la responsabilità ambientale, che evidenzia come oltre il 70% degli incidenti con danni alle risorse naturali in Italia sia causato da attività d’impresa.

Il settore ittico, pur non figurando tra i più energivori o ad alto impatto come quello chimico o metallurgico, opera in ambienti ecologicamente sensibili: impianti di acquacoltura in mare e in laguna, stabilimenti di trasformazione lungo le coste, banchine portuali per lo sbarco e la movimentazione del pescato. Ogni sversamento, ogni errore nella gestione di reflui o materiali inquinanti, può generare un danno ambientale con ricadute economiche devastanti.

Secondo l’indagine condotta da ANIA, solo lo 0,64% delle imprese italiane dispone di una polizza di responsabilità ambientale. La restante quasi totalità è quindi esposta in modo diretto e potenzialmente letale ai costi imprevisti di bonifica e ripristino, che in molti casi si traducono in un colpo mortale per la tenuta dell’impresa. Si stima che tra il 5% e il 10% dei fallimenti aziendali in ambito industriale e ambientale abbiano tra le cause proprio l’insostenibilità economica di queste emergenze.

Per le aziende ittiche, questo significa essere pronte ad affrontare scenari che includono contaminazioni da idrocarburi, malfunzionamenti degli impianti di depurazione, dispersione di sostanze utilizzate nei cicli produttivi, o semplicemente negligenze nella gestione ordinaria. Eppure la consapevolezza resta ancora scarsa, così come l’adozione di pratiche preventive o coperture assicurative specifiche.

A fronte di questo vuoto, il decalogo proposto dal Pool Ambiente offre una guida operativa utile anche alla filiera ittica. Dalla mappatura preventiva delle fonti di rischio alla manutenzione strutturale, dalla formazione del personale alla stipula di polizze assicurative, ogni voce rappresenta un investimento in resilienza. Particolarmente rilevante è l’invito ad adottare la Prassi di Riferimento UNI 107/2021, che definisce criteri tecnici per una gestione efficace dei rischi ambientali.

Non si tratta solo di evitare sanzioni o contenziosi, ma di garantire la continuità aziendale e la sostenibilità a lungo termine dell’intero comparto. In un settore sempre più sotto osservazione da parte di consumatori, istituzioni e stakeholder, la responsabilità ambientale può e deve diventare parte integrante del modello di business.

In conclusione, i rischi ambientali per le imprese ittiche non possono più essere considerati un’ipotesi remota. La fragilità degli ecosistemi marini e costieri impone un cambio di passo: la prevenzione non è più un’opzione, è un requisito di sopravvivenza. E un’occasione per dimostrare, concretamente, il valore della sostenibilità.

Approfondisci le buone pratiche e valuta l’adozione di strumenti concreti per la gestione dei rischi ambientali nella tua impresa. Il futuro della filiera passa anche da qui.

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Plastica e resistenza antimicrobica: un’emergenza che coinvolge anche il mare

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La crescente attenzione scientifica verso le connessioni tra plastica e resistenza antimicrobica ha finalmente assunto un contorno nitido. A testimoniarlo è un recente e autorevole studio pubblicato su Journal of Hazardous Materials, a firma di Emily M. Stevenson e colleghi delle università di Exeter e Plymouth Marine Laboratory. Il lavoro adotta una prospettiva sistemica e multidisciplinare, tracciando un nesso documentato tra produzione, uso e smaltimento della plastica e la diffusione della resistenza agli antimicrobici (AMR), una delle più gravi minacce sanitarie globali.

Il problema non riguarda solo la sanità pubblica, ma coinvolge anche gli ecosistemi acquatici e, indirettamente, la filiera ittica. Gli ambienti marini, in particolare, si stanno trasformando in serbatoi di batteri resistenti, veicolati da rifiuti plastici ormai ubiqui. Microplastiche, biofilm, metalli pesanti e additivi plastici si combinano in un cocktail potenzialmente letale per l’equilibrio ecologico e per la sicurezza alimentare.

Lo studio esamina ogni fase del ciclo di vita della plastica, dimostrando che il rischio legato alla plastica e alla resistenza antimicrobica non si esaurisce con il rifiuto in mare. Dall’estrazione del petrolio con l’uso di biocidi, fino al riciclo inefficace e contaminato, passando per gli imballaggi a contatto con alimenti e i dispositivi medici, ogni passaggio rappresenta un potenziale motore di selezione genetica per microrganismi resistenti.

In ambiente marino, i rifiuti plastici fungono da veri e propri vettori biologici: le superfici plastiche ospitano comunità microbiche specifiche, i cosiddetti plastisfere, che non solo facilitano la trasmissione orizzontale di geni resistenti, ma anche il trasporto di patogeni su scala globale. È ormai evidente che plastica e resistenza antimicrobica si alimentano a vicenda, in una spirale che coinvolge le coste, gli organismi acquatici e le catene alimentari.

Nel contesto ittico, le implicazioni sono tangibili. Le specie marine possono ingerire microplastiche colonizzate da patogeni resistenti, con conseguenze non ancora pienamente quantificate sulla salute degli animali e sulla qualità del pescato. Inoltre, la gestione dei rifiuti plastici nei porti, nei mercati ittici e nelle aree di lavorazione richiede ora un’attenzione diversa, non più limitata all’impatto visivo o ecologico, ma anche alla potenziale diffusione di microrganismi resistenti.

Il richiamo degli autori dello studio è chiaro: occorre superare le analisi settoriali e affrontare in maniera integrata la sfida posta da plastica e resistenza antimicrobica. Servono politiche condivise tra sanità, ambiente e industria; servono nuovi criteri per la produzione e il riciclo della plastica; servono controlli lungo tutta la catena, inclusa quella alimentare.

Per il settore ittico, ciò si traduce in una responsabilità crescente. Non si tratta più solo di garantire tracciabilità, sostenibilità e freschezza del prodotto, ma anche di contribuire a un ecosistema marino meno contaminato da vettori di resistenza batterica. È una questione di sicurezza, ma anche di reputazione, in un mercato sempre più attento alla salute e alla trasparenza.

Lo studio firmato da Emily M. Stevenson delinea un quadro preoccupante ma imprescindibile: la plastica è un cofattore della crisi antimicrobica globale. Il mare, e con esso il comparto ittico, è parte integrante di questa equazione. Capire il legame tra plastica e resistenza antimicrobica è il primo passo per agire in modo efficace.

Chi opera nella filiera ittica ha oggi l’opportunità di contribuire a un cambiamento sistemico. Informarsi, prevenire, agire: sono le parole chiave per una Blue Economy davvero sostenibile.

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Una generazione che compra, ma che nessuno racconta

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In un panorama mediatico sempre più ossessionato dalla giovinezza, sorprende quanto poco spazio venga riservato alle generazioni più mature. Eppure, tra i 60 e i 75 anni si concentra una delle fasce più solide e dinamiche della società: attive, digitalizzate, economicamente influenti. Una presenza viva, eppure trascurata da gran parte delle strategie di comunicazione di marca. Un’assenza che pesa anche laddove il legame con la tradizione, la qualità e il consumo quotidiano è fortissimo, come accade nella comunicazione nel settore ittico per over 60.

Secondo il report Boomer a chi?, curato dall’Università Cattolica del Sacro Cuore e dall’agenzia Caffeina con la collaborazione di TikTok, meno del 2% della pubblicità italiana rappresenta individui sopra i sessant’anni. E questo nonostante, secondo l’Istat, costituiscano oltre il 30% della popolazione, una quota destinata a crescere nei prossimi decenni. Il dato non riguarda solo la rappresentazione visiva, ma l’intero impianto di contenuti, linguaggi e codici culturali. E nel comparto ittico, questa assenza è particolarmente evidente.

Un target concreto, stabile, con cultura del prodotto

Chi ha superato i sessant’anni non è un residuo del passato, ma un interlocutore attivo, spesso centrale nelle dinamiche di consumo alimentare. Ha tempo, esperienza, capacità di spesa. E un legame profondo con la cultura del cibo, specie nei territori a forte tradizione marinara, dove il pesce rappresenta un’abitudine quotidiana, non un capriccio da weekend.

Nel comparto ittico, gli over 60 sono clienti fidelizzati, razionali, competenti. Leggono le etichette, sanno distinguere una specie locale da un prodotto d’allevamento asiatico, prediligono la qualità rispetto alla convenienza a ogni costo. Sono i custodi della stagionalità, dei saperi tradizionali, delle ricette familiari. E spesso sono loro a influenzare anche le scelte di figli e nipoti.

Connessi e partecipi, non solo spettatori

Lontano dallo stereotipo dell’anziano tecnofobo, questo pubblico è sempre più alfabetizzato digitalmente. Facebook resta il loro presidio principale, ma anche TikTok vede una crescente presenza della Gen X, spesso non come spettatrice ma come creatrice di contenuti, in grado di comunicare autenticità ed esperienza senza forzature.

Online cercano informazioni, leggono notizie, confrontano prezzi, si scambiano consigli nei gruppi. Il digitale non è solo un canale, ma un ambiente vissuto con consapevolezza. Anche nei consumi ittici, l’uso del web si traduce in scelte più informate e meno impulsive: un valore ancora poco sfruttato dai brand.

Invisibili, ma fondamentali

Il paradosso è evidente: gli over 60 sono centrali nella pratica d’acquisto, ma marginali nel racconto. La comunicazione nel settore ittico per over 60 si affida ancora a narrazioni nostalgiche o, peggio, li ignora del tutto, rincorrendo i giovani come unico orizzonte strategico.

Eppure, questa generazione è una risorsa. Garantisce stabilità economica, sostiene figli e genitori, rappresenta un punto fermo nella gestione familiare e nelle scelte alimentari. Non sono solo consumatori, ma veri e propri mediatori culturali all’interno delle famiglie. Continuare a ignorarli significa perdere un’opportunità di relazione, fedeltà e valore.

Rivedere i codici, non i target

Il report individua cinque azioni chiave per ristabilire un dialogo efficace con questo pubblico: ascoltarli, rappresentarli, co-creare con loro, usare linguaggi adeguati e presidiare i momenti di transizione della vita. Tutti elementi che possono e devono entrare anche nelle strategie della filiera ittica.

Ciò che serve non è una “pubblicità per anziani”, ma una narrazione intergenerazionale, rispettosa, autentica, che sappia valorizzare la memoria senza renderla un cliché. L’esperienza degli over 60 può diventare un ponte tra il sapere tradizionale e la sostenibilità moderna, tra consumo consapevole e valorizzazione della filiera.

La longevità non è un’anomalia da gestire, ma una condizione strutturale da integrare. Gli over 60 non sono un pubblico marginale, ma una generazione attiva e trasformativa, con un ruolo determinante nella cultura del pesce, nel valore del cibo, nelle scelte familiari. Il settore ittico ha oggi l’occasione – e la responsabilità – di riscrivere il proprio racconto, includendo chi ne è stato per troppo tempo protagonista silenzioso.

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