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One Health e acquacoltura: un approccio integrato per un futuro sostenibile

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One Health e acquacoltura: un approccio integrato per un futuro sostenibile – L’acquacoltura è una delle principali fonti di produzione alimentare a livello globale e garantisce una notevole fonte di proteine di alta qualità a milioni di consumatori. Tuttavia, il settore deve affrontare sfide importanti, come la gestione delle malattie ittiche, la sicurezza alimentare e l’impatto ambientale. In questo contesto, l’approccio One Health si rivela essenziale, poiché riconosce l’interconnessione tra la salute degli animali, dell’uomo e dell’ambiente, promuovendo soluzioni integrate e sostenibili.

One Health è un approccio olistico che favorisce la collaborazione tra diverse discipline per affrontare le sfide sanitarie in modo globale. I pilastri su cui si fonda nello specifico settore dell’acquacoltura si basano essenzialmente sulla salute dei pesci ottenuta attraverso l’implementazione di protocolli di biosicurezza per prevenire la diffusione di malattie, ma anche attraverso l’uso di vaccini per ridurre la necessità di antibiotici e contestualmente monitorando la qualità dell’acqua, soprattutto negli allevamenti intensivi, per assicurare condizioni ottimali di crescita garantiti anche dall’utilizzo di mangimi arricchiti con probiotici per rafforzare il sistema immunitario dei pesci.

L’altro pilastro è la salvaguardia della salute umana che si ottiene attraverso un controllo della sicurezza alimentare per prevenire contaminazioni e malattie zoonotiche, ma anche con la limitazione dell’uso eccessivo di antibiotici per contrastare la resistenza antimicrobica. Il tutto per produrre del pesce con elevato valore nutrizionale per una dieta sana ed equilibrata.

Il terzo ed ultimo, ma non per questo meno importante, è la salute ambientale. Si perviene a questo risultato adottando pratiche di allevamento sostenibili per ridurre l’impatto sugli ecosistemi acquatici come, per esempio, lo sviluppo di sistemi di acquacoltura integrata, (acquaponica), il tutto per ottimizzare le risorse. Un controllo particolare in questo ambito è quello delle specie invasive per preservare la biodiversità marina.

L’integrazione del modello One Health nell’acquacoltura rappresenta dunque una strategia chiave per il futuro del settore. La collaborazione tra veterinari, biologi marini, produttori ittici e istituzioni sanitarie è essenziale per garantire la salute dei pesci, la sicurezza alimentare e la tutela dell’ambiente.

Solo attraverso un approccio multidisciplinare sarà possibile affrontare le sfide dell’acquacoltura moderna e garantire un futuro più sostenibile e sicuro per tutti.

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Approvato il nuovo partenariato di pesca con la Guinea-Bissau

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Approvato il nuovo partenariato di pesca con la Guinea-Bissau – Ieri il Parlamento europeo ha approvato il rinnovo dell’accordo di pesca con la Guinea-Bissau, garantendo l’accesso alle acque del paese a 41 navi dell’UE per i prossimi cinque anni.

In base al nuovo protocollo, applicato provvisoriamente dal 18 settembre 2024, consente l’accesso alle acque della Guinea-Bissau per 28 tonniere congelatrici con reti a circuizione e pescherecci con palangaro e 13 tonniere con lenza e canne provenienti da Spagna, Italia, Grecia, Francia e Portogallo. L’accordo permette ai pescatori europei di catturare 3.500 tonnellate di cefalopodi e 3.700 tonnellate di gamberi all’anno fino al 2029. Le specie di piccoli pelagici rimangono escluse a causa dello stato degli stock e del basso sfruttamento.

In cambio, l’UE stanzierà 17 milioni di euro annui per un totale di 85 milioni di finanziamenti durante i cinque anni. Di questi, 4,5 milioni all’anno saranno destinati a promuovere la gestione sostenibile delle risorse ittiche della Guinea-Bissau, potenziare le capacità di controllo e sorveglianza e supportare le comunità di pescatori locali. Si tratta di un aumento di 1,4 milioni di euro all’anno rispetto al precedente accordo.

Oltre al contributo dell’UE, gli armatori pagheranno i canoni di licenza e di cattura all’amministrazione della Guinea-Bissau. La combinazione tra il contributo dell’UE e le tariffe corrisposte dagli operatori europei fa sì che il finanziamento totale superi i 100 milioni di euro nel periodo di cinque anni.

Il nuovo protocollo è stato approvato in plenaria con 518 voti a favore, 104 contrari e 61 astensioni.

Maggiore sostegno alla pesca locale

Con 605 voti a favore, 68 contrari e 10 astensioni, il Parlamento ha approvato una serie di raccomandazioni per la Commissione europea e le autorità della Guinea-Bissau da considerare nelle future negoziazioni e nell’applicazione del suddetto protocollo.

Al fine di garantire che l’accordo contribuisca realmente allo sviluppo della pesca locale, i deputati chiedono di migliorare le infrastrutture del paese per assicurare l’accesso al mercato per prodotti ittici locali e rafforzare la cooperazione per consentire alla Guinea-Bissau di esportare il proprio pescato.

I deputati si dicono preoccupati per il fatto che la Guinea-Bissau stia emergendo come paese di bandiera di comodo. La lotta alla pesca illegale, non dichiarata e non regolamentata è ostacolata dalla mancata trasparenza sulla titolarità delle imbarcazioni. I deputati chiedono quindi all’UE di mobilitare assistenza tecnica e finanziaria per rafforzare il monitoraggio e il controllo delle attività di pesca, prevenire la pesca illegale e contrastare le strategie di reimmatricolazione delle imbarcazioni.

“La Commissione dovrebbe migliorare il monitoraggio e garantire che la cooperazione settoriale sia maggiormente orientata ai bisogni di sicurezza alimentare locale, alle condizioni sociali a bordo dei pescherecci e al riconoscimento del ruolo delle donne nelle comunità costiere” ha dichiarato il relatore Eric Sargiacomo (S&D, FR).

Per la quantità di risorse finanziarie coinvolte, l’accordo con la Guinea-Bissau è il secondo più importante partenariato per la pesca dell’UE con un paese terzo, dopo quello con la Mauritania.

Sebbene la pesca rappresenti il 15% delle entrate governative della Guinea-Bissau, il paese non può esportare prodotti ittici nell’UE perché non rispetta i requisiti sanitari e igienici europei. Si stima inoltre che solo il 3% del pescato delle imbarcazioni straniere nella zona di pesca della Guinea-Bissau venga sbarcato nel paese.

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Il branding è morto. Viva la connessione

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Il branding è morto. Viva la connessione – Ci ha fatto riflettere – e non poco – il post di Federico Menetto. Breve, tagliente, necessario. Una frase su tutte: Il branding è morto.

Boom! Non è una battuta. È una diagnosi. Ed è un messaggio che il nostro settore – pesca, acquacoltura, trasformazione, distribuzione – non può più permettersi di ignorare.

Perché se ancora crediamo che basti un logo accattivante, una palette cromatica ben studiata, qualche frase ispirazionale su un’etichetta per costruire un marchio forte… siamo già fuori tempo massimo.

Menetto lo dice chiaro: oggi il branding come lo conoscevamo non funziona più. La narrazione del “marchio-eroe”, del “racconto tutto nostro”, è un racconto che non racconta più niente.

Viviamo in un’epoca in cui non si parte più da zero.
Non si costruisce un’identità, ci si innesta.
Non si urla chi siamo, si dimostra perché serviamo.

È la logica della plugin strategy: o sei utile a qualcosa di più grande, o non esisti. Punto.

Nel mondo ittico, dove ogni giorno decine di aziende lottano per emergere, questa è una lezione da scrivere a lettere cubitali. Non è più tempo di egocentrismi aziendali. È tempo di alleanze, compatibilità, adattamenti.

Non ti chiedere più “come faccio a raccontare la mia storia”, chiediti “a cosa servo davvero dentro la filiera”.

Perché se il tuo prodotto, per quanto eccellente, non si integra, non trova spazio.
Se non sei utile a chi cucina, a chi distribuisce, a chi consuma, non sei rilevante.
E oggi la rilevanza non si misura in follower o premi, ma in connessioni attive, reali, funzionali.

Questa nuova era della comunicazione ci impone tre parole chiave.
Posizionamento funzionale: a cosa serve il tuo brand, non che cos’è.
Compatibilità culturale: con chi ti leghi, in che ambiente ti muovi, che valori condividi.
Adattabilità: quanto sei capace di cambiare forma senza perdere sostanza.

Chi lavora nel mondo della pesca lo sa bene: il mare premia chi sa fluire.
E forse è proprio questo il nuovo modo di fare branding. Non fissarsi, ma farsi trovare dove serve.
Non attirare, ma connettersi.

Il post di Federico Menetto ci ha lasciato con una domanda. Ed è giusto rilanciarla anche a tutta la community di Pesceinrete: il nostro progetto – che sia un’impresa, un consorzio, un brand, un prodotto – è pensato per emergere… o per connettersi?

Rispondere oggi può fare la differenza tra essere ricordati… o essere rilevanti.

Il branding è morto. Viva la connessione

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Crisi e rinascita del mercato ittico europeo

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Crisi e rinascita del mercato ittico europeo – Il 2024 si è chiuso con numeri in calo per il settore ittico europeo, ma dietro le statistiche si nasconde un mercato che sta mutando pelle, sospinto da nuove esigenze dei consumatori e dalla necessità di adattarsi a un contesto macroeconomico sempre più volatile. Lo dimostra l’ultima pubblicazione del Monthly Highlights (n.3/2025) di EUMOFA – l’Osservatorio europeo dei mercati per i prodotti della pesca e dell’acquacoltura – che racconta, con precisione e profondità, l’anno appena trascorso.

Il quadro è chiaro: rispetto al 2023, il valore complessivo delle prime vendite nei Paesi UE è diminuito del 3%, mentre i volumi sono scesi del 10%. Un dato che si aggrava se confrontato con il 2022, anno di ripresa post-pandemia: -10% sul valore e -9% sui volumi. In un mercato europeo che vale 3,8 miliardi di euro, ogni punto percentuale è significativo. E mentre alcuni Paesi come Bulgaria, Irlanda e Regno Unito registrano crescite interessanti, per altri – Italia inclusa – la frenata è netta.

A colpire non è solo la contrazione, ma anche la sua distribuzione: quasi tutti i principali gruppi merceologici subiscono cali, talvolta pesanti. I bivalvi, ad esempio, perdono il 10% in valore e il 7% in volume. Ancora peggio platessa e sogliola, con un -10% sul valore e -18% sui volumi. I cefalopodi tengono solo sul fronte economico, mentre calano nei quantitativi sbarcati. Una delle poche eccezioni è rappresentata dai crostacei, in crescita del 7% in valore e addirittura del 18% in volume, trainati da granchi e gamberetti.

Nel frattempo, i consumatori sembrano rivedere le proprie priorità. L’indagine Eurobarometro, citata nel rapporto EUMOFA, fotografa una riduzione della frequenza di consumo dei prodotti ittici rispetto al 2021. Prezzi percepiti in aumento, incertezza economica e distanza dal mare sono i principali freni, mentre si conferma la centralità dell’etichettatura come guida nelle scelte d’acquisto: nome della specie, metodo di produzione e origine sono le informazioni più ricercate.

Interessante anche il timido debutto di un nuovo attore sulla scena alimentare europea: alghe e prodotti a base di alghe, ancora lontani dalla grande distribuzione, ma già sperimentati da due terzi degli intervistati nell’ultimo anno. Un indizio, forse, di come il concetto di “prodotto ittico” si sta allargando, aprendo spiragli a nuovi mercati.

A completare un quadro già complesso si aggiungono i fattori macroeconomici. Il prezzo medio del carburante marino nei principali porti europei ha visto un incremento del 6,8% rispetto al mese precedente, mentre i prezzi al consumo dei prodotti ittici, in particolare quelli freschi, restano elevati (+37,5% per il pesce fresco rispetto a gennaio 2024).

Per l’Italia, i dati non sono confortanti. Primo paese produttore di molluschi bivalvi in ​​Europa, registra un calo del 14% in valore e del 15% in volume nelle vendite. Tra le specie più colpite figurano acciughe, gamberi rosa e polpi, tutti al centro della dieta mediterranea e della tradizione gastronomica locale.

Eppure, non tutto è in declino. L’avvio del nuovo Dialogo sulla pesca e sugli oceani da parte del Commissario europeo Kadis rappresenta un passo concreto verso una governance più sostenibile degli oceani e un rilancio della blue economy. Tra gli obiettivi, rafforzare le comunità costiere e creare nuove opportunità di crescita e occupazione legate al mare.

Il 2025 sarà dunque un anno cruciale per ripensare strategie, innovare i modelli di filiera e restituire centralità al consumo consapevole del pescato europeo.

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Frodi su merluzzo venduto in UE. Oceana segnala etichette ingannevoli

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Frodi su merluzzo venduto in UE. Oceana segnala etichette ingannevoli – Oceana torna a denunciare, con dati alla mano, un problema che scuote le fondamenta del mercato ittico europeo: l’etichettatura ingannevole dei prodotti a base di merluzzo atlantico. Una ricerca pubblicata su Fisheries Research e guidata da Marine Cusa rivela che la mappa dell’origine del pesce che troviamo sugli scaffali dei supermercati spesso è una cartolina truccata.

Su oltre 100 prodotti analizzati, quasi un terzo dei campioni ha mostrato discrepanze tra l’origine geografica dichiarata e quella reale, rilevata tramite test genetici. Una percentuale inquietante, soprattutto se si pensa che la normativa UE impone trasparenza e precisione. Ma tra ciò che è scritto e ciò che è vero si apre un oceano di ambiguità.

Il dato più allarmante riguarda proprio le confezioni vendute nei supermercati: il 34% mente, consapevolmente o meno, sul luogo di cattura. E questo è un problema non solo per il rispetto delle regole, ma anche per la gestione sostenibile delle risorse marine e la protezione del consumatore, che si ritrova a fare scelte alimentari basate su informazioni errate.

Oceana non usa mezzi termini. La situazione è critica, e il sistema di etichettatura attuale — seppur migliorato rispetto al passato — presenta ancora troppi buchi. Le frodi possono nascere da errori involontari nella complessa filiera ittica, ma anche da manovre volutamente ingannevoli. In entrambi i casi, a pagarne le conseguenze sono l’ambiente, il mercato e chi compra.

Nel mirino ci sono le informazioni geografiche, quelle che indicano dove il pesce è stato effettivamente pescato. Una variabile fondamentale per capire se quel merluzzo proviene da uno stock sovrasfruttato, da un’area marina protetta, o da una pesca responsabile. Nascondere o falsare questo dato non è solo una violazione normativa, ma un vero e proprio inganno nei confronti di chi vuole consumare in modo consapevole.

Il mercato chiede chiarezza, ma il settore arranca. Secondo Oceana, servono controlli più serrati, tecnologie che garantiscano tracciabilità totale e una responsabilità maggiore da parte di chi immette il prodotto nel circuito commerciale. Solo con trasparenza lungo tutta la catena, dal peschereccio al piatto, si potrà costruire un futuro credibile per l’industria ittica.

In un’epoca in cui il consumatore è sempre più attento alla sostenibilità, la fiducia si conquista con i fatti, non con l’inchiostro sulle etichette. L’Europa ha gli strumenti per cambiare rotta, ma servono volontà politica e rigore operativo. Perché se il mare è una risorsa preziosa, anche l’onestà con cui lo raccontiamo lo è.

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