Categoria: Pesce In Rete Pagina 27 di 1038

Senza cuochi formati, il pesce esce dai menù: il nodo lavoro nella ristorazione

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La trasformazione del lavoro nella ristorazione è una delle dinamiche più rilevanti emerse nel Rapporto Ristorazione 2025 redatto da FIPE-Confcommercio. Non si tratta più soltanto di un calo numerico nella disponibilità di personale: a cambiare è la struttura stessa del lavoro nel foodservice.

Il 68% degli operatori dichiara di avere difficoltà nel reperire figure qualificate. Cuochi, aiuto-cuochi e camerieri esperti sono sempre più rari, e con loro scompaiono anche alcune competenze fondamentali. Il risultato è una semplificazione dei processi in cucina, con effetti diretti sulla varietà e qualità dell’offerta.

Il pesce richiede formazione: oggi è l’anello debole

Tra le categorie più penalizzate da questa crisi c’è il pesce fresco. Materia prima delicata, con esigenze specifiche di conservazione, lavorazione e cottura, il pesce non può essere gestito da personale inesperto. Per questo, molti locali preferiscono evitare di inserirlo nei menù o si affidano esclusivamente a referenze pronte o surgelate.

La trasformazione del lavoro nella ristorazione sta generando un effetto a catena: meno personale formato significa meno piatti a base di pesce, meno varietà, meno valorizzazione delle produzioni locali. Una perdita non solo gastronomica, ma economica e identitaria.

Giovani assenti, professionalità in fuga: un problema di sistema

Il settore fatica ad attrarre nuove leve. Secondo quanto riportato dal rapporto, i giovani percepiscono la ristorazione come un comparto con scarso riconoscimento sociale, orari e ritmi di lavoro sfibranti, e limitate prospettive di crescita. La conseguenza è una progressiva uscita dal sistema delle professionalità più qualificate.

Senza formazione e motivazione, la qualità scende. Le tecniche tradizionali di preparazione del pesce si perdono, e l’offerta si appiattisce. La trasformazione del lavoro nella ristorazione non si riflette solo sul personale, ma su tutto ciò che arriva nel piatto.

Collaborare per invertire la rotta: una sfida per la filiera

Se il personale formato è il primo ingrediente per costruire qualità, allora il comparto ittico deve farsi promotore di nuove sinergie. Serve più formazione, più interazione con le scuole alberghiere, materiali semplici e aggiornati per il supporto in cucina. È necessario agevolare l’inserimento del pesce anche nei menù più snelli, senza rinunciare alla sua identità.

Non basta più garantire un buon prodotto: è essenziale renderlo utilizzabile da chi lo lavora. La trasformazione del lavoro nella ristorazione può diventare anche un’occasione per innovare la proposta e rafforzare il legame tra chi produce, chi cucina e chi consuma.

Il valore del prodotto inizia dalla formazione

Il pesce italiano, se fresco e tracciabile, ha tutte le caratteristiche per essere protagonista della ristorazione contemporanea. Ma senza persone in grado di valorizzarlo, resta un potenziale inespresso. Oggi più che mai, il capitale umano è parte integrante della filiera.

Pesceinrete continuerà a raccontare queste connessioni fondamentali per garantire al settore ittico un posto centrale nel futuro del foodservice.

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Nuove semplificazioni UE per la pesca pelagica non smistata

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La deroga al margine di tolleranza per la pesca pelagica è ora realtà: la Commissione europea ha pubblicato il primo elenco di porti di sbarco abilitati a questo regime semplificato, rispondendo a una richiesta strutturale del settore.

Si tratta di una misura fortemente attesa dagli operatori, che permette una maggiore flessibilità nella dichiarazione delle catture nei giornali di bordo, a patto che vengano rispettate rigorose condizioni di controllo nei porti selezionati.

Meno oneri amministrativi, più efficienza operativa

Con la pubblicazione dell’elenco dei porti autorizzati, l’Unione Europea punta a ridurre gli oneri amministrativi per gli operatori della pesca pelagica non smistata, mantenendo al contempo alti standard di tracciabilità e legalità.

Il margine di tolleranza si riferisce alla differenza ammessa tra la stima iniziale delle catture fornita dal comandante del peschereccio e il peso effettivo del pescato. La deroga consente un margine più ampio, evitando sanzioni per scostamenti minimi nei casi in cui il prodotto venga sbarcato direttamente senza cernita.

Tuttavia, questo vantaggio si applica solo nei porti inclusi nell’elenco, che devono disporre di infrastrutture e procedure di controllo riconosciute come affidabili dalla Commissione.

Condizioni rigorose per accedere alla deroga

L’accesso alla deroga al margine di tolleranza per la pesca pelagica non è automatico: i porti devono dimostrare di possedere criteri stringenti in termini di monitoraggio, sistemi di pesatura certificati e presenza di personale incaricato ai controlli.

Tali garanzie permettono di conciliare flessibilità e rigore: la semplificazione della comunicazione delle catture si accompagna a un rafforzamento della tracciabilità, con ricadute positive in termini di trasparenza, sostenibilità e qualità del dato.

Anche i porti di paesi terzi possono essere inclusi, se in grado di garantire lo stesso livello di controllo. L’elenco, destinato a essere aggiornato regolarmente, rappresenta quindi un sistema dinamico che premia le realtà meglio strutturate.

Una misura attesa dal settore e prevista dal nuovo regolamento

La deroga si inserisce nel quadro del nuovo Regolamento (UE) 2024/1474 sul controllo della pesca, e si applica specificamente agli sbarchi di piccoli pelagici e tonni tropicali non sottoposti a cernita.

La misura è stata approvata in sede di revisione regolamentare proprio per rispondere alle difficoltà operative degli operatori del settore, spesso costretti a confrontarsi con margini di errore irrisori in scenari logistici complessi.

Secondo la Commissione, questa novità offrirà benefici tangibili in termini di efficienza, pur garantendo la correttezza delle dichiarazioni e il pieno rispetto delle norme UE in materia di controllo.

La deroga al margine di tolleranza per la pesca pelagica rappresenta un punto di svolta nella gestione degli sbarchi non smistati in Europa. È un compromesso intelligente tra esigenza di semplificazione e dovere di controllo, che avvicina la normativa alle reali condizioni operative delle imprese.

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Salmone allevato: il colore del filetto riflette lo stress ambientale

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Il colore del filetto di salmone e lo stress ambientale rappresentano oggi un binomio chiave per comprendere la qualità reale del prodotto finale nella moderna acquacoltura. Una recente ricerca condotta da Nofima, in collaborazione con NTNU e Skretting, e finanziata dal Norwegian Seafood Research Fund, ha chiarito come le condizioni di allevamento interagiscano con la nutrizione, influenzando direttamente l’intensità della pigmentazione del filetto.

Per buyer, produttori e stakeholder della filiera ittica, questa scoperta apre a nuove considerazioni pratiche: valutare il colore di un filetto non è più solo una questione estetica, ma una finestra sui processi fisiologici e gestionali che ne determinano la qualità.

Astaxantina e vitamina A: la risposta dipende dall’ambiente

L’astaxantina, pigmento naturale responsabile del colore rosa-arancio del salmone, è anche un potente antiossidante. La sua presenza nel muscolo dipende dalla capacità dell’animale di assorbirla e immagazzinarla attraverso l’alimentazione. Tuttavia, lo studio dimostra che il colore del filetto di salmone e lo stress ambientale sono strettamente collegati: lo stress ossidativo causato da trattamenti contro i pidocchi del salmone, come l’ammassamento e l’ipossia temporanea, può ridurre drasticamente l’assorbimento dell’astaxantina.

Anche la vitamina A, anch’essa presente nel mangime, svolge un ruolo complesso. Se in condizioni normali alti livelli di vitamina A sembrano interferire con l’assorbimento dell’astaxantina, in situazioni di stress la combinazione di dosi elevate di entrambi i nutrienti ha un effetto protettivo sulla pigmentazione.

Il ruolo dello stress nei protocolli nutrizionali

Durante l’esperimento, i salmoni sono stati alimentati con mangimi formulati con tre livelli di vitamina A e due livelli di astaxantina, e successivamente sottoposti a stress simulato più volte a settimana. I risultati sono stati chiari: il colore del filetto di salmone e lo stress ambientale devono essere valutati in sinergia, non come fattori indipendenti.

Nei pesci stressati, la pigmentazione si è ridotta visibilmente, tranne nei gruppi che ricevevano mangimi con alte concentrazioni di entrambi i composti. Ciò dimostra che l’alimentazione deve essere adattata alle condizioni ambientali reali per mantenere gli standard qualitativi richiesti dal mercato.

Quali conseguenze per la filiera?

Questi risultati hanno un impatto diretto sulla produzione e sul posizionamento commerciale. L’omogeneità cromatica del filetto non può più essere considerata solo un indice di attrattività per il consumatore: è un vero e proprio indicatore fisiologico del benessere del pesce e dell’efficacia delle strategie di allevamento.

Per i buyer della GDO, dell’Horeca e i distributori internazionali, si tratta di un’informazione cruciale da integrare nei criteri di selezione dei fornitori. Per le imprese produttrici, diventa invece strategico collaborare con i mangimifici e i centri di ricerca per calibrare la formulazione dei mangimi su base ambientale, specialmente nei siti a maggiore esposizione a stress ripetuti.

Una visione integrata per qualità e benessere

Il colore del filetto di salmone e lo stress ambientale non sono solo elementi da monitorare separatamente, ma parte di un unico sistema. Nutrizione e gestione degli allevamenti devono essere sempre più integrati per garantire un prodotto di alta qualità, sostenibile e sicuro.

Nel contesto di una filiera in costante evoluzione, questi studi aprono a nuovi standard operativi e offrono un vantaggio competitivo a chi saprà trasformare la ricerca scientifica in valore concreto.

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Piana: 600mila euro per sostenibilità pesca e acquacoltura

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Con lo stanziamento complessivo di 600.000 euro a valere sul Fondo Europeo per gli Affari Marittimi, la Pesca e l’Acquacoltura (FEAMPA) 2021-2027, la Regione Liguria ha attivato una serie di azioni chiave per rendere il settore dell’acquacoltura più competitivo, sostenibile e integrato con la gestione dello spazio marittimo.

“Un passo concreto per semplificare, pianificare e rafforzare il comparto a beneficio dell’economia blu – dice Alessandro Piana,  vicepresidente della Regione Liguria con delega alla Pesca professionale -. Continuiamo a lavorare per uno sviluppo dell’acquacoltura che sia innovativo, sostenibile e in dialogo con il territorio, come ho spiegato partecipando alla Spezia a Italian Oyster Fest, il festival italiano dedicato all’ostrica.–. Grazie a queste risorse attiviamo strumenti concreti per semplificare le procedure, rafforzare il coordinamento tra i soggetti del settore e promuovere una pianificazione integrata e condivisa dell’uso del mare.”

L’Azione 1, mira alla razionalizzazione e semplificazione delle procedure amministrative per il comparto, mentre l’Azione 2 è dedicata alla pianificazione e gestione coordinata degli spazi destinati all’acquacoltura, contribuendo all’individuazione delle Zone Allocate per l’Acquacoltura (AZA), alla loro integrazione nei piani di gestione dello spazio marittimo e a interventi di sensibilizzazione e informazione rivolti alle comunità locali.

Le attività previste includono studi e ricerche per la mappatura di nuove aree idonee alla piscicoltura e molluschicoltura; azioni preventive contro danni ambientali e igienico-sanitari; campagne di comunicazione volte a favorire l’accettabilità sociale dell’acquacoltura da parte dei cittadini.

“La Liguria si conferma protagonista nella promozione di un’economia blu sostenibile, capace di valorizzare le risorse marine e costiere, tutelando l’ambiente e creando nuove opportunità per le imprese e i territori” – conclude il vicepresidente.

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Cinque bufale sul pesce da sfatare per mangiare meglio e scegliere consapevolmente

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In Italia il pesce si mangia, si ama, ma spesso si fraintende. Ogni giorno al supermercato o in pescheria ci lasciamo guidare da idee tramandate, consigli sbagliati o verità a metà che rischiano di farci fare scelte poco consapevoli.

In questo articolo sfatiamo le bufale sul pesce più comuni. Quelle che, senza accorgercene, ci fanno spendere di più, mangiare peggio o guardare con diffidenza prodotti di alta qualità.

“Il pesce allevato è peggiore di quello pescato”

È una convinzione molto diffusa, ma non tiene conto dei cambiamenti avvenuti negli ultimi vent’anni. L’acquacoltura moderna, in Italia come in Europa, è soggetta a controlli rigidi su qualità dell’acqua, alimentazione, densità di allevamento e benessere animale.

I pesci allevati oggi crescono in ambienti costantemente monitorati, sono nutriti con mangimi bilanciati, privi di antibiotici preventivi e sottoposti a protocolli sanitari certificati.

Inoltre, l’allevamento consente una maggiore disponibilità durante tutto l’anno, una filiera tracciabile e un impatto ambientale più gestibile rispetto alla pesca indiscriminata. Non si tratta quindi di un’alternativa di ripiego, ma spesso della scelta più sicura, sostenibile e accessibile.

A livello nutrizionale, diversi studi hanno mostrato che il contenuto di omega-3 nei pesci allevati può essere pari o persino superiore a quello dei selvatici, grazie a mangimi formulati con microalghe e farine ricche di EPA e DHA.

E per chi ha dubbi sulla sicurezza alimentare: i controlli sugli allevamenti europei sono continui e trasparenti. Le normative impongono tracciabilità dalla vasca alla tavola, una garanzia che raramente è possibile con il pescato di provenienza non UE.

“Il pesce fresco è sempre meglio del surgelato”

L’idea che il pesce surgelato sia di qualità inferiore è figlia di un passato in cui la conservazione a freddo non garantiva standard elevati. Ma oggi le tecnologie sono cambiate.

Il pesce surgelato viene abbattuto a temperature molto basse, fino a -40°C, subito dopo la cattura. Questo blocca la proliferazione batterica e preserva le caratteristiche organolettiche. Quando arriva sul mercato, mantiene spesso più nutrienti rispetto a un pesce “fresco” che ha viaggiato per giorni.

L’EFSA (Autorità europea per la sicurezza alimentare) sottolinea che la surgelazione profonda rappresenta una delle tecniche più efficaci per mantenere il profilo nutrizionale del pesce e ridurre il rischio di contaminazioni microbiologiche.

In più, il surgelato è una scelta eccellente per chi vuole preparare carpacci, tartare o sushi a casa, poiché molti prodotti sono già idonei al consumo crudo, nel rispetto delle normative sanitarie.

“Se ha l’occhio lucido, è buono da mangiare crudo”

Questa è una delle bufale sul pesce più pericolose. L’aspetto esteriore può indicare freschezza apparente, ma non dice nulla sulla sicurezza igienica. Il rischio principale, in questo caso, si chiama Anisakis: un parassita presente in molti pesci, soprattutto quelli azzurri, capace di provocare problemi gastrointestinali e reazioni allergiche anche gravi.

Secondo il Ministero della Salute, tutti i prodotti destinati al consumo crudo o poco cotto devono essere abbattuti termicamente, cioè congelati a -20°C per almeno 24 ore, o a -35°C per almeno 15 ore, per eliminare i rischi legati ad Anisakis.

Per essere sicuri di consumare pesce crudo senza rischi, è fondamentale acquistare solo prodotti abbattuti termicamente, con etichetta che ne attesti l’idoneità al consumo crudo. Occhio lucido o branchie rosse non bastano. Serve consapevolezza, non estetica.

“Il pesce costa troppo”

Generalizzare è sempre un errore. È vero: alcune specie pregiate come il gambero rosso o il tonno rosso hanno un prezzo elevato, ma l’offerta è molto più ampia di così.

Il pesce azzurro, ad esempio, rappresenta una risorsa accessibile, ricchissima di omega-3, proteine nobili e micronutrienti. Alici, sgombri, sardine e suri si trovano a prezzi contenuti, freschi o in versione surgelata e già puliti. Conoscere questi prodotti vuol dire anche valorizzare la pesca locale e portare a tavola gusto e salute con pochi euro.

Secondo i dati ISMEA, il pesce azzurro è tra i prodotti ittici più acquistati dagli italiani per il rapporto qualità-prezzo. Inoltre, la crescente offerta di confezioni pronte all’uso ne facilita il consumo anche nelle famiglie più giovani o con poco tempo per cucinare.

“Più è grande, più è buono”

Non necessariamente. La dimensione del pesce non è sempre indice di qualità. Alcuni pesci, come orate e spigole, hanno una carne più tenera e omogenea quando sono di taglia media (tra 300 e 600 grammi). Pezzature molto grandi possono risultare fibrose o cuocere in modo non uniforme.

In cucina, la resa migliore non è solo questione di peso, ma anche di struttura delle carni, tempo di cottura, modalità di preparazione.

Per molte ricette tradizionali — come l’orata al sale o la spigola al forno — la pezzatura media assicura un equilibrio perfetto tra gusto e semplicità. A parità di peso, scegliere due esemplari medi invece di uno grande può fare la differenza anche sul piano pratico.

Le bufale sul pesce sono dure a morire, ma oggi abbiamo strumenti e conoscenze per riconoscerle. Un consumatore informato fa scelte migliori per sé, per il mare e per chi lavora nella filiera. Il pesce è un alimento prezioso, ma per trarne il massimo serve imparare a leggerlo davvero.

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