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Bilancio Ue. Lollobrigida: proposta Commissione non all’altezza obiettivi

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“La Commissione europea ha annunciato ieri la proposta di bilancio che stiamo ancora approfondendo per una valutazione complessiva. Per mesi l’Italia ha sostenuto la necessità di garantire il mondo agricolo e della pesca, settori economici, ma soprattutto pilastri dell’economia europea così come sancito dai Trattati fondativi. Siamo stati promotori di documenti sottoscritti dalla stragrande maggioranza dei ministri competenti di tutta Europa e abbiamo sostenuto le istanze delle associazioni di rappresentanza italiane ed europee. In un momento difficile come quello che il mondo sta attraversando, l’approvvigionamento alimentare e la custodia da parte del settore primario dell’ambiente sono quantomai indispensabili. Abbiamo lavorato, e lo ringrazio anche in questa occasione, con il vicepresidente Fitto per arginare modelli di programmazione finanziaria in evidente contrasto con gli interessi dell’economia europea e dei suoi produttori, artefici principali della ricchezza della quale tutti beneficiamo. Purtroppo, la proposta della Commissione non è all’altezza di questi obiettivi”.
Lo dichiara il ministro dell’Agricoltura, della Sovranità alimentare e delle Foreste, Francesco Lollobrigida.

“Seppure una parte importante delle risorse per l’agricoltura, anche grazie al nostro impegno, è stata salvaguardata nel Fondo indistinto assegnato alle singole Nazioni, il rischio di lasciare alla determinazione dei singoli governi il 20% delle risorse potenziali non garantisce il mondo produttivo minando l’obiettivo della sicurezza e della Sovranità Alimentare Europea. Avevamo apprezzato un cambio di rotta annunciato dalla Commissione rispetto alle follie di Timmermans ma questi propositi si sono realizzati solo in parte. Una parte troppo piccola per garantire capacità di resilienza al nostro settore e alla sua competitività. L’Italia, in modo spesso trasversale alle forze politiche, ha denunciato da mesi la sua contrarietà a ipotesi che indebolissero ulteriormente il sistema. Alcuni risultati sono stati raggiunti sulla condivisione di investimenti strategici per il sistema di approvvigionamento idrico con fondi aggiuntivi rispetto a quelli per la Pac, una semplificazione necessaria e non più rinviabile, una diversa visione sulla gestione della fauna selvatica nel rispetto della produzione, la cancellazione di alcune follie ideologiche previste dal Green Deal e soprattutto una valutazione differente dell’agricoltura come primo difensore dell’ambiente”, sottolinea il ministro Lollobrigida.

“Purtroppo, non si è raggiunto ancora l’obiettivo che come Governo Meloni ci siamo posti, riuscendovi in Italia, di rimettere al centro delle politiche di sviluppo e coesione territoriale l’agricoltura e la pesca. La proposta, così come è stata presentata dalla Commissione, al netto dei risultati ottenuti dalle battaglie al suo interno del Vicepresidente Fitto, è lontana dal poter soddisfare noi tutti a partire da agricoltori e pescatori fino alle Regioni a cui viene di fatto viene sottratta la possibilità di usufruire di uno strumento di pianificazione che dia certezza delle risorse. L’Italia, auspico in modo compatto, nel Parlamento europeo e in ogni consesso lavorerà a modifiche sostanziali del piano presentato per renderlo idoneo agli obiettivi che l’Unione europea deve raggiungere per garantire prosperità ai Popoli che ne fanno parte. Al contrario di quanto avvenuto in questi anni a Bruxelles, il Governo Meloni ha stanziato più risorse per agricoltura e pesca di qualsiasi precedente governo proteggendo il settore e migliorando i risultati rispetto alla situazione nella quale lo abbiamo ereditato. Continueremo a farlo e a batterci per garantire sempre maggiore centralità alle nostre imprese a fianco delle rappresentanze del modo agricolo e della pesca”, conclude il ministro Lollobrigida.

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Carmen Crespo Díaz critica duramente il taglio al bilancio pesca UE

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La presidente della commissione per la pesca, Carmen Crespo Díaz, esprime grande critica nei confronti della proposta della Commissione per il quadro finanziario pluriennale 2028-2034.

“Il taglio al bilancio della pesca è tanto ingiustificato quanto allarmante. Non solo il Fondo europeo per gli affari marittimi, la pesca e l’acquacoltura (FEAM) è diluito in uno strumento generico, ma gli vengono anche assegnati solo 2 miliardi di euro, un terzo di quanto ricevuto nel periodo in corso”, afferma Carmen Crespo Díaz (PPE, ES), presidente della Commissione per la pesca.

“Questo taglio arriva dopo anni di riduzioni delle quote, crescenti limitazioni ai giorni di pesca e una mancanza di un reale sostegno allo sforzo di pesca. È un nuovo colpo per un settore essenziale che è già al limite.”

Crespo Díaz sostiene che accorpare l’importo destinato alla pesca in uno strumento più ampio mette a rischio l’identità della politica comune della pesca . “La pesca è una politica comune dell’UE. Non deve perdere la sua identità. Senza un fondo specifico, non esiste una politica specifica.”

Crespo Díaz sottolinea inoltre la mancanza di chiarezza della Commissione nell’identificare il nuovo strumento di finanziamento per il settore. “Il nuovo strumento non menziona nemmeno la pesca nel suo nome. La Commissione crede davvero di poter garantire la sicurezza alimentare e la resilienza strategica ignorando il primo anello della catena?”

“In seno alla commissione per la pesca collaboreremo con il Consiglio e il Parlamento per porre fine a questa assurdità e garantire che il settore disponga di un FEAMAF rafforzato, autonomo e attrezzato per affrontare le sfide che ci troviamo ad affrontare”, ha promesso il presidente.

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Entro il 2034 la domanda globale di pesce crescerà del 13%

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Entro il 2034, la domanda globale di pesce aumenterà del 13%, spinta principalmente dalla crescita demografica, dal miglioramento delle condizioni economiche nei Paesi a medio reddito e dalla crescente consapevolezza dei benefici nutrizionali del pesce. È quanto emerge dal nuovo report congiunto OCSE-FAO Agricultural Outlook 2025–2034, che dedica un intero capitolo all’evoluzione prevista della produzione e del consumo di prodotti ittici.

A guidare questo incremento sarà l’acquacoltura, destinata a consolidare il suo ruolo di principale fonte di pesce destinato all’alimentazione umana. Secondo il report, oltre il 50% del pesce consumato nel mondo nel 2034 proverrà da impianti di acquacoltura, con tassi di crescita particolarmente marcati in Asia, Africa e America Latina.

La previsione non si limita a un’analisi quantitativa. Il report sottolinea come il cambiamento delle abitudini alimentari e l’aumento del consumo pro-capite di proteine animali stia avvenendo a ritmi diversi tra Paesi ad alto e basso reddito. In quelli a basso reddito, si prevede che l’apporto medio giornaliero da fonti animali sarà ancora lontano dai valori raccomandati per una dieta sana, lasciando spazio a tensioni legate all’accessibilità e alla sicurezza alimentare.

Il quadro che emerge non è privo di sfide. La produzione ittica globale dovrà affrontare questioni cruciali legate alla sostenibilità ambientale, alla gestione responsabile delle risorse e alle emissioni. Il report evidenzia che, nello scenario di base, le emissioni agricole globali aumenteranno del 6%. Tuttavia, in uno scenario alternativo – con investimenti in tecnologie di mitigazione e un miglioramento del 15% della produttività – le emissioni potrebbero diminuire del 7%, aprendo una finestra concreta di opportunità anche per il settore ittico.

Un altro punto chiave è rappresentato dalla stabilità del commercio internazionale: si prevede che il 22% dei generi alimentari consumati a livello mondiale continuerà a essere oggetto di scambi transfrontalieri, come avviene attualmente. Questo dato sottolinea la centralità delle catene globali di approvvigionamento, logistica e trasformazione del pesce, che dovranno essere sempre più resilienti, tracciabili e rispettose degli standard internazionali.

Il report segnala anche il ruolo crescente degli standard di sostenibilità, della certificazione e della tracciabilità come leve strategiche per l’accesso ai mercati e per soddisfare le esigenze di consumatori sempre più attenti alla provenienza e al metodo di produzione del pesce acquistato.

Nel medio termine, le imprese della filiera – dalla produzione alla trasformazione, dalla logistica alla distribuzione – saranno chiamate a confrontarsi con un contesto più complesso, in cui la crescita della domanda non potrà essere colta appieno senza una strategia mirata su efficienza, qualità e sostenibilità.

Il nuovo report OCSE-FAO delinea un futuro in cui la domanda globale di pesce continuerà a crescere, trainata da cambiamenti strutturali nei consumi e da una forte espansione dell’acquacoltura. Ma la crescita, da sola, non basta: sarà la capacità di tutta la filiera di adattarsi ai nuovi paradigmi produttivi, ambientali e commerciali a determinare il successo o meno del comparto ittico nei prossimi dieci anni.

Restare aggiornati su scenari globali come quello delineato dal report OCSE-FAO è oggi più che mai necessario per chi opera nel settore ittico. L’analisi di lungo periodo può offrire spunti operativi già nel breve.

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Un colpo alla filiera: il piano Ue cancella i sacrifici della pesca italiana

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Anche Coldiretti, con parole nette, ha lanciato l’allarme: la proposta di bilancio dell’Unione europea guidata da Ursula Von der Leyen rappresenta un punto di rottura per la filiera ittica nazionale. Il taglio dei fondi europei alla pesca italiana, pari a una riduzione del 67%, rischia di smantellare quanto costruito in anni di sacrifici, riconversioni e sforzi collettivi in nome della sostenibilità.

Il piano prevede di ridurre i fondi destinati alla pesca da 6,1 a poco più di 2 miliardi di euro. Una decisione che non colpisce solo simbolicamente: mette a rischio la tenuta economica, sociale e produttiva di un’intera filiera. Le marinerie, che negli ultimi decenni hanno visto diminuire di un terzo il numero delle barche e perdere 18.000 posti di lavoro, si trovano ora davanti all’ennesimo ostacolo. E non per proprie colpe.

Le imprese hanno accettato limitazioni, fermo biologico, ristrutturazioni della flotta e riduzione dello sforzo di pesca, spesso in assenza di misure compensative sufficienti. Hanno investito in tecnologie meno impattanti, partecipato a tavoli sulla sostenibilità e riformato i modelli produttivi. Oggi tutto questo rischia di essere vanificato da un bilancio che taglia le gambe anziché sostenere la transizione.

Nel frattempo, il quadro macroeconomico parla chiaro: secondo i dati di Coldiretti Pesca, la dipendenza dell’Italia dalle importazioni di pesce è passata dal 30% all’85% in quarant’anni. Una tendenza strutturale, figlia anche delle politiche comunitarie. È quindi paradossale, se non miope, che proprio nel momento in cui l’Europa dichiara di voler costruire una sovranità alimentare e una blue economy sostenibile, penalizzi i pochi attori ancora attivi nei mari europei.

Ridurre il taglio dei fondi europei alla pesca italiana a una semplice scelta contabile significa ignorare la complessità di un sistema che tiene insieme produttori, trasformatori, distributori, armatori, cooperative, e che genera valore aggiunto anche per turismo, ristorazione e territori. Il comparto ha bisogno di un bilancio che sostenga l’innovazione, il ricambio generazionale, la tracciabilità e la sicurezza alimentare, non di una falce calata dall’alto.

Siamo davanti a una decisione che non può essere accettata in silenzio. Serve una risposta compatta, istituzionale e di filiera. Se la Commissione intende davvero rilanciare la pesca europea, questo non è il modo. Se invece vuole abbandonare il settore alle logiche del mercato globale, almeno sia chiaro: si sta scegliendo la via della dipendenza strutturale e della desertificazione produttiva.

Il drastico taglio annunciato nel piano della Commissione Ue rischia di minare alle fondamenta un settore già fragile. I numeri parlano chiaro e le conseguenze andrebbero ben oltre la sola pesca: colpirebbero occupazione, approvvigionamenti, sostenibilità e sovranità alimentare. Chi oggi lavora ogni giorno per garantire il pesce sulle nostre tavole non può essere lasciato solo.

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Senza nome, senza risorse: la pesca sparisce dal bilancio UE

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La Commissione europea ha presentato il nuovo Quadro Finanziario Pluriennale (QFP) per il periodo 2028-2034, e tra le misure previste, il nuovo bilancio UE per la pesca suscita non poche preoccupazioni. A far discutere è la proposta di fondere il Fondo europeo per gli affari marittimi, la pesca e l’acquacoltura (FEAM) in un più ampio contenitore chiamato “Fondo per la prosperità e la sicurezza economica, territoriale, sociale, rurale e marittima sostenibile”. Un nome lungo, ma nel quale il termine “pesca” non compare nemmeno.

L’assenza semantica è tutt’altro che secondaria: per Europêche, la principale organizzazione europea della pesca, questa esclusione simbolica si traduce in un allarme strategico. “È un segnale scoraggiante per il settore e per le comunità costiere che da esso dipendono”, ha dichiarato il presidente Javier Garat. La preoccupazione riguarda non solo l’identità del fondo, ma anche la sua effettiva capacità di rispondere alle esigenze specifiche della pesca europea, che rischia ora di essere diluita tra priorità più ampie e, spesso, concorrenti.

In un contesto di crescenti sfide – dai costi operativi alle normative più stringenti, dalla concorrenza globale alla carenza di manodopera – il settore si aspettava una risposta politica forte. Invece, il nuovo bilancio UE per la pesca appare come un passo indietro. La dotazione finanziaria stimata è di soli 2 miliardi di euro, a fronte dei 6,1 miliardi assegnati al FEAM per il periodo 2021-2027. E questo nonostante il bilancio complessivo dell’UE sia cresciuto, superando i 2 trilioni di euro.

Il quadro si complica ulteriormente con l’assenza di parametri obbligatori per il cofinanziamento degli investimenti nelle imbarcazioni superiori a 12 metri. La responsabilità dell’allocazione viene così interamente demandata agli Stati membri, con il rischio di un’applicazione disomogenea sul territorio europeo e la perdita del principio di equità all’interno del mercato unico.

La Commissione, dal canto suo, sostiene che la fusione dei fondi garantirà maggiore coerenza, flessibilità e semplificazione delle procedure. Ma per molti operatori della filiera, questo nuovo bilancio UE per la pesca rappresenta un caso esemplare di accorpamento burocratico che rischia di cancellare la specificità di un comparto fondamentale per la sovranità alimentare europea. Il timore più concreto è che le risorse vengano dirottate verso iniziative dell’economia blu, come l’energia offshore o la desalinizzazione, che nulla hanno a che vedere con le flotte, i porti e le comunità della pesca.

Europêche sottolinea le conseguenze sistemiche di un tale approccio: riduzione della produzione interna, crescita della dipendenza dalle importazioni alimentari e aumento dei prezzi al consumo. In un momento in cui Bruxelles invoca resilienza e autonomia strategica, la marginalizzazione della pesca appare come una contraddizione non più sostenibile.

La posta in gioco è altissima anche per l’Italia, che vanta una delle flotte più articolate d’Europa e un tessuto produttivo complesso fatto di imprese, cooperative, trasformatori, mercati ittici e logistica. La frammentazione dei fondi e l’assenza di indirizzi vincolanti rischiano di compromettere il lavoro di chi, ogni giorno, porta il pescato dal mare alle tavole, tra sostenibilità, innovazione e sforzi crescenti.

In un passaggio chiave, Javier Garat ha affermato: “Ci aspettavamo una dotazione finanziaria ambiziosa che riconoscesse il ruolo vitale della flotta peschereccia. Invece, stiamo assistendo a un indebolimento del sostegno a un settore già sottoposto a gravi difficoltà e in costante declino”.

La proposta di bilancio europeo per il periodo 2028-2034 lascia il comparto della pesca in una posizione fragile. Senza un fondo autonomo e dotazioni adeguate, l’intero ecosistema produttivo – dalla cattura alla trasformazione, dalla distribuzione all’export – rischia di perdere slancio e competitività. La richiesta del settore è chiara: restituire alla pesca dignità politica e certezza economica.

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