Categoria: Pesce In Rete Pagina 62 di 1038

European Ocean Days: l’Europa riscrive il futuro della Blue Economy

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European Ocean Days: l’Europa riscrive il futuro della Blue Economy – Dal 3 al 7 marzo, Bruxelles si è trasformata nel cuore pulsante dell’azione oceanica europea. Gli European Ocean Days hanno superato le attese, riunendo oltre 1.800 partecipanti tra ricercatori, decisori politici, giovani leader e stakeholder del settore ittico e acquacolturale. Il confronto ha dato vita a una settimana intensa, che promette di ridisegnare il futuro della blue economy europea, rendendo il mare e le acque interne sempre più centrali nella visione strategica dell’Unione Europea.

Al centro della discussione, il tanto atteso Patto Europeo per gli Oceani , un nuovo quadro politico che punta a garantire ecosistemi marini sani, produttivi e resilienti. Una sfida che coinvolge direttamente l’intera filiera della pesca e dell’acquacoltura, da sempre elementi portanti della cultura e dell’economia delle coste europee. L’obiettivo è chiaro: costruire un’Europa che sappia trarre valore dai propri mari, rispettandone l’equilibrio e incentivando la prosperità delle comunità costiere.

Il patto rappresenta una svolta concreta, unendo governance coerente e investimenti mirati per supportare lo sviluppo sostenibile delle risorse marine. Una promessa importante, che punta ad aumentare il fatturato annuo dell’economia blu europea ben oltre gli attuali 600 miliardi di euro. Ma per far sì che questa visione diventi realtà, l’Europa sta chiedendo il contributo di tutti: pescatori, acquacoltori, aziende di trasformazione, innovatori e comunità locali sono chiamati a partecipare attivamente ai Fisheries and Ocean Dialogues, per garantire che ogni voce venga ascoltata nella scrittura delle nuove regole del mare.

Accanto al Patto, la strategia per la resilienza idrica europea completa il quadro. Un piano che punta a rispondere alla crescente scarsità d’acqua e ad affrontare le sfide climatiche, migliorando la competitività del settore idrico europeo e integrando i principi dell’economia circolare anche nella filiera ittica e acquacolturale. L’acqua non è più solo un tema ambientale: è una priorità strategica e industriale, con opportunità concrete di crescita per chi saprà innovare.

Durante la settimana, il Mission Ocean and Waters Forum ha dato prova di quanto l’Europa sta accelerando sull’innovazione blu. Il forum ha messo in mostra soluzioni concrete per il ripristino degli ecosistemi acquatici, presentando anche il “gemello digitale dell’oceano”, uno strumento rivoluzionario che promette di essere operativo entro il 2030. In questo scenario di cambiamento, la Comunità dei Parchi Blu dell’UE ha alzato l’asticella: almeno il 10% delle aree europee marine dovranno essere rigorosamente protette entro il 2030, una misura che potrebbe cambiare le regole della pesca e dell’acquacoltura, stimolando al contemporaneo pratiche sostenibili e garantendo benefici tangibili a lungo termine.

Cosa significa tutto questo per il settore ittico? Innovazione, resilienza e responsabilità. L’invito dell’Unione Europea è chiaro: servire nuovi modelli di business, investimenti nelle tecnologie verdi, formazione e collaborazione tra pubblico e privato. L’acquacoltura e la pesca sostenibile sono al centro della transizione, come livello per creare lavoro e valore, senza compromettere la salute degli ecosistemi marini.

L’industria ittica europea si trova davanti a una scelta cruciale. Chi saprà cogliere le opportunità della nuova governance oceanica, puntando sull’innovazione e sulla sostenibilità, guiderà il cambiamento.

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Mar Nero, disastro ecologico dopo la distruzione della diga ucraina

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Mar Nero, disastro ecologico dopo la distruzione della diga ucraina – Per la prima volta, la devastazione ambientale che ha colpito il Mar Nero dopo la distruzione della diga di Kakhovka viene descritta in modo dettagliato. Un disastro silenzioso ma di proporzioni colossali, che rischiano di compromettere irrimediabilmente l’equilibrio di uno dei bacini più delicati e produttivi dal punto di vista ittico e biologico. Gli scienziati dell’Università di Stirling hanno acceso i riflettori su un’emergenza ecologica senza precedenti, grazie a una sofisticata analisi satellitare che mostra un pentito deterioramento della qualità delle acque nel settore nord-occidentale del Mar Nero.

L’esplosione che il 6 giugno 2023 ha spazzato via la diga e la centrale idroelettrica di Kakhovka, in Ucraina, ha riversato 14,4 miliardi di metri cubi d’acqua nel fiume Dnipro. Un’onda distruttrice che ha devastato intere comunità, lasciando almeno 58 vittime e 700.000 persone senza acqua potabile. Ma l’impatto più insidioso si sta consumando nel mare, invisibile agli occhi, ma drammaticamente documentato dalla tecnologia EO e dalle analisi dei campioni raccolti nelle acque costiere.

Secondo i ricercatori, la rottura della diga ha scatenato una massiccia onda di sedimenti, agenti inquinanti e batteri patogeni verso il Mar Nero. Le immagini satellitari raccontano di pennacchi torbidi che si estendono per chilometri e di imponenti fioriture algali che impoveriscono l’ossigeno nelle acque, trasformandole in zone morte per molte specie ittiche. Il rischio concreto è quello di un collasso di popolazioni acquatiche, comprese quelle che alimentano la pesca commerciale e artigianale dell’area.

Il peggioramento della qualità dell’acqua non è solo una minaccia per la biodiversità marina: rappresenta un pericolo imminente per l’intera catena alimentare e per l’economia ittica della regione. Secondo le previsioni degli scienziati, alcune specie potrebbero essere costrette a migrare, mentre altre rischiano l’estinzione, con un effetto domino che si rifletterà inevitabilmente sugli stock ittici e sulle attività di pesca che dipendono da queste risorse.

L’indagine dell’Università di Stirling, realizzata in collaborazione con enti accademici ucraini, rumeni e bulgari, e supportata dal progetto europeo Horizon 2020, conferma che l’osservazione satellitare è ormai uno strumento fondamentale per monitorare e comprendere le crisi ambientali anche in zona di conflitto. L’impossibilità di effettuare rilevamenti diretti ha reso essenziale il ricorso alla tecnologia per stimare l’estensione e la gravità del danno.

I primi dati raccolti parlano chiaro: il Mar Nero nord-occidentale sta affrontando una risposta biogeochimica senza precedenti. Aumentano le zone ipossiche, si accumulano sostanze tossiche nei sedimenti e si moltiplicano i segnali di stress sugli ecosistemi costieri. Pesci, molluschi e crostacei che rappresentano il cuore pulsante della pesca locale e internazionale sono ora esposti in un ambiente ostile e imprevedibile.

La devastazione in atto nel Mar Nero non è solo una questione regionale. È un monitoraggio potente su come i conflitti armati, oltre alle mietere vite umane, possono provocare danni profondi e permanenti agli ecosistemi marini. Per l’industria ittica e per chi vive di pesca e acquacoltura, le conseguenze di questa catastrofe potrebbero estendersi ben oltre i confini geografici del bacino nero, alterando flussi commerciali e disponibilità di risorse nel lungo termine.

Il futuro della pesca nel Mar Nero oggi è appeso a un filo. La speranza è che la scienza e le politiche internazionali riescano a mettere in campo soluzioni efficaci per limitare l’impatto e ristabilire l’equilibrio. Nel frattempo, la cronaca di questo disastro ambientale ci ricorda quanto fragile sia l’interconnessione tra uomo, guerra e natura. Un equilibrio che, una volta rotto, è difficile da ricostruire.

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Salmoni d’allevamento e tutela ambientale: un equilibrio possibile?

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Salmoni d’allevamento e tutela ambientale: un equilibrio possibile? – L’industria del salmone rappresenta un pilastro economico per molte comunità costiere, garantendo occupazione e approvvigionamento di pesce su larga scala. Tuttavia, gli allevamenti intensivi possono avere impatti rilevanti sulla qualità delle acque e sulla biodiversità locale. È quanto emerge da studi che evidenziano come l’acquacoltura possa alterare gli equilibri marini, riducendo i livelli di ossigeno e mettendo a rischio specie endemiche.

La situazione australiana, dove la protezione della razza Maugean sta influenzando le politiche di sviluppo dell’allevamento del salmone, è emblematica. Il governo, da un lato, vuole garantire la continuità del settore; dall’altro, deve affrontare le pressioni degli ambientalisti che chiedono misure drastiche per tutelare le specie a rischio. Questa contrapposizione si riflette in molti Paesi produttori, inclusa l’Italia, dove il settore dell’acquacoltura sta cercando di evolversi verso soluzioni più sostenibili.

L’adozione di pratiche innovative potrebbe rappresentare la chiave per risolvere il dilemma. Tecnologie avanzate di monitoraggio, sistemi di ricircolo dell’acqua (RAS) e modelli di allevamento offshore stanno emergendo come possibili alternative per ridurre l’impatto ambientale. Allo stesso tempo, è necessaria una regolamentazione chiara e condivisa, che concili gli interessi economici con quelli della conservazione.

Il caso della Tasmania dimostra che l’acquacoltura non può più prescindere da un approccio scientifico e responsabile. Il futuro del settore dipenderà dalla capacità di innovare, garantendo non solo la produttività ma anche la salute degli ecosistemi marini. La sfida è aperta e la risposta dovrà essere globale.

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Uno studio rivela l’abbondanza di tonno al di fuori delle AMP

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Uno studio rivela l’abbondanza di tonno al di fuori delle AMP – Le aree marine protette (AMP) sono da tempo considerate strumenti fondamentali per la conservazione degli ecosistemi marini, in grado di offrire rifugi sicuri dove le specie possono prosperare lontano dalla pressione della pesca industriale. Tuttavia, l’effetto di queste zone protette sulle popolazioni ittiche nelle aree circostanti è stato oggetto di dibattito tra gli esperti del settore. Un recente studio pubblicato sulla rivista Science ha portato nuova luce su questa questione, evidenziando come le AMP possano influenzare positivamente le catture di tonno nelle zone adiacenti.​

La ricerca ha analizzato le attività delle navi da pesca con reti a circuizione nelle acque circostanti grandi AMP, scoprendo che le catture di tonno per unità di sforzo erano superiori del 12-18% entro le 100 miglia nautiche (circa 185 chilometri) dai confini delle AMP, rispetto a zone prive di protezione. Questo fenomeno, noto come “spillover”, suggerisce che le popolazioni di tonno all’interno delle AMP possano contribuire a rifornire le aree limitrofe, offrendo benefici sia ecologici che economici.​

John Lynham, economista marino dell’Università delle Hawaii a Mānoa e co-autore dello studio, ha sottolineato l’importanza di questi risultati nel contesto delle politiche di gestione della pesca. Lynham ritiene che le evidenze raccolte possano supportare l’istituzione di grandi AMP anche in alto mare, in linea con gli obiettivi internazionali come il Trattato sull’Alto Mare del 2023 e l’accordo “30×30” del 2022, che mira a proteggere il  30% degli oceani entro il 2030.​

Nonostante questi risultati incoraggianti, alcuni scienziati rimangono cauti riguardo all’efficacia delle AMP come strumento di gestione della pesca. La complessità degli ecosistemi marini e la mobilità delle specie altamente migratorie come il tonno richiedono strategie di conservazione multifaccettate. Tuttavia, lo studio offre una prospettiva positiva sul ruolo delle AMP nel promuovere la sostenibilità delle risorse ittiche.​
entegraps.com

In conclusione, le evidenze emergenti suggeriscono che le aree marine protette non solo salvaguardano la biodiversità all’interno dei loro confini, ma possono anche potenziare le attività di pesca nelle zone circostanti attraverso l’effetto spillover. Questo rappresenta un incentivo significativo per le comunità di pescatori e i responsabili delle politiche a sostenere l’espansione delle AMP come parte integrante delle strategie di gestione sostenibile degli oceani.

Uno studio rivela l’abbondanza di tonno al di fuori delle AMP

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Tonno in scatola più sicuro con innovativo metodo di confezionamento

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Tonno in scatola più sicuro con innovativo metodo di confezionamento – Un team di ricercatori della Chalmers University of Technology in Svezia ha sviluppato un metodo rivoluzionario per ridurre il contenuto di mercurio nel tonno in scatola fino al 35%. Questa scoperta rappresenta un passo significativo verso una maggiore sicurezza alimentare, offrendo ai consumatori prodotti ittici più sicuri e di alta qualità.​

Il mercurio è una delle dieci sostanze chimiche più pericolose per l’uomo, secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, e la sua presenza nel pesce, in particolare nel tonno, è motivo di preoccupazione. Il nuovo metodo prevede l’utilizzo della cisteina, un amminoacido naturale, in una soluzione acquosa all’interno della confezione. La cisteina si lega al mercurio presente nel pesce, facilitandone l’estrazione e riducendo la quantità di questo metallo tossico nel prodotto finale.​

I test hanno mostrato che il metodo è particolarmente efficace nel tonno macinato in scatola, dove la maggiore superficie di contatto tra il pesce e la soluzione di cisteina ha portato a una riduzione del mercurio fino al 35%. Questo approccio non richiede modifiche significative nei processi produttivi esistenti, rendendo la sua implementazione pratica e conveniente per l’industria conserviera.​

L’adozione di questa tecnologia potrebbe avere un impatto significativo sulla salute pubblica, riducendo l’esposizione dei consumatori al mercurio e aumentando la fiducia nei prodotti ittici. Inoltre, potrebbe aprire nuove opportunità di mercato per le aziende che adottano pratiche innovative per garantire la sicurezza e la qualità dei loro prodotti.​

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