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Ciclicamente si torna a parlare di “dumping” a proposito delle esportazioni di gambero rosso dei Paesi del Nord Africa, in particolare Tunisia, Egitto, (Libia per altre vie) verso l’Europa. Alcuni operatori del settore ittico italiano e spagnolo (maggiori consumatori) denunciano la concorrenza di questi prodotti a prezzi inferiori, ritenendola una pratica sleale. Tuttavia, a un’analisi più attenta, la definizione di dumping, quella autentica, economica, sembra qui del tutto inappropriata.

Dumping: cosa significa davvero

Per parlare di dumping, in senso tecnico, occorre che un Paese esporti un prodotto a un prezzo inferiore rispetto a quello praticato nel proprio mercato interno, oppure addirittura al di sotto del loro costo di produzione. È una pratica che, quando accertata, giustifica misure di difesa commerciale a livello internazionale. Ma nessuna di queste due condizioni sembra verificarsi nel caso del gambero rosso nordafricano.

Assenza di mercato interno e alta efficienza produttiva

Innanzitutto, il gambero rosso non fa parte delle tradizioni gastronomiche dei Paesi magrebini. Non esiste quindi un “mercato interno” di riferimento con cui confrontare i prezzi di esportazione. I gamberi vengono pescati esclusivamente per l’esportazione nei Paesi dove trovano domanda e valorizzazione.

In secondo luogo, l’ipotesi che le aziende nordafricane vendano “al di sotto dei costi di produzione” è altrettanto infondata. Le imprese di pesca di quella regione hanno raggiunto livelli di efficienza elevatissimi, grazie a minori costi operativi e a una struttura produttiva snella. Sarebbe insostenibile, per qualunque azienda, operare stabilmente in perdita: se lo facessero, semplicemente non potrebbero resistere a lungo.

Non dumping, ma regole diverse

Il problema, semmai, è un altro. Le flotte italiane ed europee sono soggette a regolamenti stringenti: limiti sui quantitativi pescabili, dimensioni minime, giorni di fermo biologico, aree interdette. Tutte misure necessarie per garantire la sostenibilità degli stock marini. I Paesi extra-UE, pur essendo spesso membri di organizzazioni internazionali come la GFCM (General Fisheries Commission for the Mediterranean) operano sotto regimi normativi differenti, stabiliti in modo sovrano.
Questo squilibrio normativo può generare distorsioni di mercato, ma non può essere confuso con il dumping. È una questione politica e diplomatica, non commerciale.

Serve cooperazione, non accuse

Invece di puntare il dito contro i nostri “vicini”, forse dovremmo cogliere l’occasione per rafforzare la cooperazione. È significativo, in questo senso, l’esempio di un imprenditore mazarese che ha recentemente costituito una società mista con partner magrebini. Una scelta intelligente e lungimirante, che apre la strada a modelli di sviluppo condiviso e a nuove opportunità per l’imprenditoria italiana.

Mettere tutti gli attori del settore attorno a un tavolo (produttori, governi, organismi internazionali) è la via maestra per definire regole comuni eque e sostenibili. Sospendere giudizi affrettati e spesse volte anche offensivi verso i nostri dirimpettai, collaborare per una gestione razionale delle risorse, è l’unico modo per garantire un futuro alla pesca mediterranea.

D’altronde, sarebbe ipocrita dimenticare che proprio noi, per decenni, abbiamo praticato forme di pesca intensiva ben lontane dalla sostenibilità. Oggi il mondo è cambiato, servono alleanze, non barriere. E il gambero rosso può diventare, da motivo di contesa, un’occasione di dialogo.

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L’articolo Il falso mito del “dumping” nel caso del gambero rosso nordafricano proviene da Pesceinrete.

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