[[{“value”:”

Lo sguardo scientifico lanciato dal recente studio di Davinia Torreblanca e José Carlos Báez, ricercatori del Instituto Español de Oceanografía (IEO-CSIC), è netto e inquietante: le acque del Mediterraneo occidentale, in particolare nella zona dello Stretto di Gibilterra e del Mar di Alborán, stanno registrando un incremento significativo nella presenza di specie ittiche tipiche di climi tropicali. Un processo definito tropicalizzazione del Mar Mediterraneo, che sta riscrivendo – e riscaldando – le coordinate biologiche del nostro mare.

Il lavoro, pubblicato il 3 giugno 2025 sul Journal of Marine Science and Engineering, si basa sull’analisi comparata delle preferenze termiche delle nuove specie registrate nelle acque spagnole rispetto a quelle storicamente presenti. Il risultato più eclatante riguarda l’area ESAL (Stretto di Gibilterra e Mar di Alborán), dove i nuovi arrivi mostrano preferenze termiche superiori di oltre 6 °C rispetto alle specie già note. Un dato che parla chiaro: qualcosa sta cambiando velocemente.

Le implicazioni per la filiera ittica sono profonde. In primo luogo, l’arrivo di specie termofile — come il pesce leone (Pterois miles), lo sgombro tropicale o il pesce pappagallo — porta con sé nuovi equilibri trofici, interazioni sconosciute, sfide gestionali e commerciali. In secondo luogo, come evidenziato dagli autori, la tropicalizzazione non è uniforme: se nella fascia LEBA (Levante-Baleari) l’effetto è ancora contenuto, nell’area ESAL si avvicina a una vera trasformazione ecologica.

A rendere più complesso il quadro, la sovrapposizione con altri fattori: l’invasione della macroalga Rugulopteryx okamurae, l’impatto del traffico marittimo, l’aumento del turismo costiero e l’inquinamento crescente. A questi si sommano i cambiamenti climatici globali, che rendono sempre più calde, stratificate e soggette a eventi estremi le acque superficiali mediterranee.

Torreblanca e Báez suggeriscono tre meccanismi principali alla base dei nuovi avvistamenti: migrazione naturale favorita dal riscaldamento, introduzione antropica (trasporto marittimo, acquacoltura), e identificazione tardiva di specie già presenti ma sfuggite alla classificazione per via del comportamento criptico. Per gli operatori della filiera, questo significa una sola cosa: serve un aggiornamento costante e proattivo delle conoscenze, delle tecniche di monitoraggio e delle strategie di adattamento.

L’impatto potenziale sulla pesca, sull’acquacoltura, sulla trasformazione e persino sulla logistica è tutt’altro che trascurabile. Nuove specie possono diventare risorsa — come accaduto in altri mari — ma solo se gestite con visione. Al contrario, senza strumenti adeguati, potrebbero minacciare habitat, risorse tradizionali e mercati consolidati.

Il Mediterraneo non è più quello di ieri. La sua identità biologica sta evolvendo sotto la spinta di forze climatiche e antropiche che travalicano i confini nazionali. La capacità della filiera di leggere, interpretare e reagire a questi segnali sarà decisiva per garantirsi un futuro competitivo e sostenibile in un contesto ambientale in rapido mutamento.

Il processo di tropicalizzazione nel Mediterraneo, reso evidente dallo studio spagnolo, non è più ipotesi scientifica ma fenomeno in atto. Per la filiera ittica mediterranea è il momento di prendere atto dei segnali e trasformare l’incertezza in strategia.

Iscriviti alla newsletter settimanale di Pesceinrete per ricevere notizie esclusive del settore.

NEWSLETTER

L’articolo Il Mediterraneo che cambia: nuove specie ittiche e un mare sempre più tropicale proviene da Pesceinrete.

“}]] ​