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Il Patto UE per gli Oceani si presenta come il banco di prova definitivo per la credibilità della politica marittima europea. A dichiararlo, con fermezza e cognizione di causa, sono Maria Damanaki e Virginijus Sinkevičius, ex commissari europei per l’Ambiente, gli Oceani e la Pesca, in un editoriale pubblicato da EUobserver. La loro posizione è chiara: non si può più rimandare l’eliminazione della pesca a strascico nelle aree marine protette.

L’intervento, denso di riferimenti normativi e esperienza istituzionale, parte da una constatazione drammatica: oltre il 90% delle acque marine dell’UE è soggetto a pressioni antropiche eccessive, con una combinazione di pesca industriale, trasporto, sviluppo costiero e sfruttamento offshore che mina la salute degli ecosistemi e la resilienza delle comunità costiere. In questo contesto, il nuovo Patto per gli Oceani può rappresentare una cesura netta con il passato, ma solo se accompagnato da un deciso cambio di passo nell’attuazione delle politiche ambientali e ittiche.

Oltre le fondamenta: il problema non è la visione, ma l’attuazione

Secondo i due ex commissari, gli strumenti per una gestione sostenibile esistono già. La Politica Comune della Pesca (PCP) e il Piano d’Azione per l’Ambiente Marino hanno rappresentato passi “coraggiosi per l’epoca”, ma non sufficienti. La debolezza, sottolineano, non sta nei testi legislativi quanto nella loro attuazione: troppo spesso gli Stati membri sono riusciti ad aggirare gli obblighi o a ritardarne l’applicazione, senza conseguenze.

Proprio per questo, Damanaki e Sinkevičius chiedono che la Commissione non si limiti più al ruolo di architetto delle politiche, ma ne diventi anche l’esecutore. È una richiesta di responsabilità concreta: nella maggior parte delle AMP europee la pesca a strascico continua a essere praticata nonostante le finalità di tutela, rendendo inefficaci gli sforzi di conservazione e minando la fiducia della cittadinanza e della comunità scientifica.

La pesca a strascico non è compatibile con le AMP

Il punto centrale dell’editoriale riguarda la necessità di introdurre norme vincolanti che vietino esplicitamente la pesca a strascico nelle aree marine protette. Un divieto con scadenze chiare e sanzioni effettive in caso di inadempienza rappresenterebbe un segnale di coerenza tra obiettivi ambientali e pratiche di gestione.

Per i firmatari, tollerare pratiche altamente distruttive in zone teoricamente protette equivale a minare le stesse basi dell’Ocean Pact. Si rischierebbe di produrre un patto inefficace, incapace di tutelare tanto la biodiversità quanto la sopravvivenza del comparto artigianale a basso impatto, oggi marginalizzato rispetto alla pesca industriale.

Un’occasione geopolitica e sociale per l’Europa

Il contesto geopolitico offre oggi all’Unione Europea una finestra strategica. La pubblicazione del Patto per gli Oceani è prevista in prossimità della Conferenza delle Nazioni Unite sugli Oceani, dal 9 al 13 giugno a Nizza, e può consolidare la leadership dell’UE nell’agenda oceanica globale. La concorrenza internazionale è esitante; ciò conferisce a Bruxelles una responsabilità e un’opportunità uniche.

Ma la posta in gioco è anche sociale. Le comunità costiere, i pescatori artigianali, i territori più fragili dipendono da un mare sano per prosperare. Non si tratta solo di tutelare l’ambiente, ma di garantire continuità economica e coesione sociale nelle regioni che vivono di mare.

Damanaki e Sinkevičius parlano esplicitamente di “sfida economica e di sicurezza”, sottolineando che un oceano impoverito può compromettere l’intera architettura dell’economia blu europea. E il messaggio è inequivocabile: “L’ambizione sulla carta deve essere accompagnata da responsabilità nella pratica”.

Una chiamata all’azione per istituzioni e settore

Il richiamo lanciato dagli ex commissari è rivolto anche al mondo produttivo e alla società civile. La pesca europea ha bisogno di un quadro normativo stabile, ambizioso e applicato. Le imprese della trasformazione, le organizzazioni di categoria e i buyer devono potersi muovere in un contesto trasparente e sostenibile, dove il rispetto delle regole rappresenti un vantaggio competitivo e non una penalizzazione.

Il settore ittico è chiamato a essere parte attiva del cambiamento, sia come interlocutore tecnico che come testimone di buone pratiche. Il Patto per gli Oceani può rappresentare il punto di svolta per un nuovo equilibrio tra tutela ambientale e sviluppo economico. Ma per esserlo davvero, deve diventare operativo, vincolante, verificabile.

La riflessione di Damanaki e Sinkevičius è più di un appello politico: è un atto di responsabilità nei confronti del futuro marino europeo. Serve un salto di qualità nella governance oceanica e, soprattutto, un atto di coraggio da parte della Commissione e degli Stati membri.

Solo attraverso misure concrete, come il divieto della pesca a strascico nelle AMP, sarà possibile garantire un futuro sostenibile per gli ecosistemi marini e per le filiere economiche che da essi dipendono.

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L’articolo Il Patto per gli Oceani tra ambizione e responsabilità: la svolta necessaria per l’UE proviene da Pesceinrete.

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