Come cambiano gli acquisti degli italiani?

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Cosa comunicano ai consumatori le etichette dei prodotti di largo consumo? Quali claim, bollini o certificazioni sono più usati sulle confezioni dei prodotti e sono più presenti nel carrello della spesa degli italiani? E come vanno le vendite, a valore e volume? A rispondere è la diciassettesima edizione dell’Osservatorio Immagino di GS1 Italy1, lo studio semestrale che ha analizzato le abitudini di consumo degli italiani nel corso dell’intero anno 2024.

Complessivamente sotto la lente dello studio di GS1 Italy sono passati più di 145 mila prodotti, digitalizzati dal servizio Immagino di GS1 Italy Servizi, con gli oltre 100 tra claim, certificazioni, pittogrammi e indicazioni geografiche presenti sulle loro etichette. Un ampio paniere di prodotti, food e non food, che nel 2024 ha realizzato 48,7 miliardi di euro di sell-out, pari all’82,7% dell’incasso totale di supermercati e ipermercati italiani.
Con l’approccio innovativo che lo caratterizza sin dalla prima edizione, l’Osservatorio Immagino di GS1 Italy continua a monitorare, insieme a NielsenIQ, i carrelli della spesa seguendo l’entità e l’evoluzione dei 12 principali fenomeni di consumo che caratterizzano il mercato italiano. A questa rilevazione continuativa si aggiunge un dossier speciale.

In questa diciassettesima edizione il dossier è dedicato al peso dei prodotti innovativi arrivati a scaffale nel corso del 2024 e al loro apporto ai singoli fenomeni di consumo. Messa sotto la lente dell’Osservatorio Immagino, l’innovazione si conferma una leva importante: accomuna il 7,8% di tutti i prodotti monitorati da Immagino e contribuisce per il 3,2% al fatturato totale, concentrandosi in particolar modo nelle aree del rich-in e del free from, sulla presenza di ingredienti tradizionali o benefici, sui prodotti con certificazioni di responsabilità sociale d’impresa (CSR) e sui prodotti green per la cura della casa.

«Il dossier presente in questa nuova edizione dell’Osservatorio Immagino evidenzia come l’innovazione nel largo consumo sia guidata, a livello aziendale, da una crescente attenzione alla salute, al benessere, alla sostenibilità e all’origine dei prodotti, con un impatto significativo sulle scelte dei consumatori e sulle dinamiche del mercato» dichiara Marco Cuppini, research and communication director di GS1 Italy. «L’analisi dell’innovazione dal punto di vista del consumatore ha mostrato che il 65% delle vendite di nuovi prodotti è generato dal 30% dei loro acquirenti, di cui poi ne ha delineato il profilo e le preferenze. Ad esempio, sono stati gli shopper giovani (meno di 34 anni), single e con reddito medio-alto, ad aver prediletto prodotti arricchiti o alleggeriti, vegani, biologici, contenenti semi e con caratteristiche green e di sostenibilità».

I 12 macro-fenomeni della spesa degli italiani

La diciassettesima edizione dell’Osservatorio Immagino ha monitorato l’evoluzione della composizione e delle vendite, in valore e volume, di 12 panieri, tra food e non food, che rappresentano altrettanti fenomeni e tendenze di consumo:
• Il richiamo dell’italianità: il “made in Italy”, le Dop/Igp e le regioni in etichetta. L’Osservatorio Immagino ha rilevato 27.978 prodotti con 11,6 miliardi di euro di sell-out e con un trend annuo di +1,2% a valore e di -0,7% a volume.
• Il mondo del free from: i trend consolidati ed emergenti dei claim “senza”. L’Osservatorio Immagino ha rilevato 14.625 prodotti con 7,9 miliardi di euro di sell-out e con un trend annuo di -0,1% a valore e di -1,2% a volume.
• Il mondo del rich-in: quali cibi ricchi o arricchiti guidano il mercato. L’Osservatorio Immagino ha rilevato 11.572 prodotti con 5,1 miliardi di euro di sell-out e con un trend annuo di +1,3% a valore e di -0,8% a volume.
• Il tema delle intolleranze: la dinamica del “senza glutine” e del “senza lattosio”. L’Osservatorio Immagino ha rilevato 11.339 prodotti con 4,7 miliardi di euro di sell-out e con un trend annuo di +0,9% a valore e di -0,5% a volume.
• Il cibo identitario (lifestyle): vegetariano, vegano, biologico, halal e kosher. L’Osservatorio Immagino ha rilevato 13.552 prodotti con 4,4 miliardi di euro di sell-out e con un trend annuo di +3,9% a valore e di +0,9% a volume.
• Il mondo di loghi e certificazioni: Fairtrade, Ecolabel, Cruelty free, Friend of the sea, FSC e altre certificazioni in area CSR. L’Osservatorio Immagino ha rilevato 17.070 prodotti certificati con 7,0 miliardi di euro di sell-out e con un trend annuo di +0,8% a valore e di -2,3% a volume.
• Gli ingredienti benefici: dall’avena all’avocado fino ai semi di chia, i sapori più cool del momento. L’Osservatorio Immagino ha rilevato questi ingredienti in 15.171 prodotti con 4,7 miliardi di euro di sell-out e con un trend annuo di +3,7% a valore e di -1,8% a volume.
• Il metodo di lavorazione: la comunicazione on pack delle tecniche e delle procedure di lavorazione. L’Osservatorio Immagino ha rilevato 4.127 prodotti con 1,6 miliardi di euro di sell-out e con un trend annuo di +11,7% a valore e di +2,6% a volume.
• La texture dei prodotti: morbido o croccante? Le consistenze espresse on-pack. L’Osservatorio Immagino ha rilevato 7.728 prodotti con 3,8 miliardi di euro di sell-out e con un trend annuo di +2,0% a valore e di +0,8% a volume.
• Il petcare: i claim più diffusi sulle etichette dei prodotti destinati alla nutrizione di cani e gatti, con il dettaglio dei fenomeni free from, rich-in, italianità e gluten free. E un approfondimento sui claim relativi alla sostenibilità. L’Osservatorio Immagino ha rilevato 5.154 prodotti con quasi 1,2 miliardi di euro di sell-out e con un trend annuo di +0,9% a valore e di -0,2% a volume.
• Il cura persona: i claim relativi a protezione, idratazione e rigenerazione, con un focus sui claim free from, rich-in, naturali, biologici e altro ancora. L’Osservatorio Immagino ha rilevato 25.040 prodotti del cura persona con oltre 3,5 miliardi di euro di sell-out e con un trend annuo di +0,6% a valore e di -2,3% a volume.
• Il cura casa green: i prodotti per la pulizia attenti all’ambiente. L’Osservatorio Immagino ha rilevato 2.493 prodotti con 770 milioni di euro di sell-out e con un trend annuo di +1,8% a valore e di -0,3% a volume.

Inoltre, anche in questa edizione l’Osservatorio Immagino ha monitorato l’evoluzione del valore nutrizionale della spesa media italiana (misurato dal metaprodotto Immagino) e ha realizzato l’approfondimento sulla comunicazione on pack delle caratteristiche di sostenibilità ambientale e sociale e del benessere animale con l’approccio messo a punto dall’Istituto di Management della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa.

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OHissa nel Sustainability rating EcoVadis: conferma dell’impegno concreto dell’azienda

OHissa nel Sustainability rating EcoVadis: conferma dell’impegno concreto dell’azienda

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OHissa, azienda toscana specializzata nella trasformazione e valorizzazione del pescato di alta qualità, ha ottenuto il Sustainability Rating Bronzo di EcoVadis, posizionandosi ufficialmente nel miglior 35% delle aziende valutate dall’ente in ambito ambientale, etico e sociale.

EcoVadis, piattaforma leader nella valutazione della sostenibilità aziendale, ha esaminato oltre 3 milioni di imprese a livello globale sulla base di criteri stringenti in quattro aree: ambiente, lavoro e diritti umani, etica e acquisti sostenibili. Il risultato ottenuto da OHissa conferma l’impegno concreto dell’azienda su tutti questi fronti.

“È un traguardo importante che premia la nostra coerenza e il lavoro quotidiano di tutto il team. – Commenta Maurizio Manno, titolare dell’azienda –  Ma è anche uno stimolo a fare ancora meglio. Il nostro obiettivo è chiaro: rendere la sostenibilità una pratica diffusa, misurabile e duratura, in ogni fase della nostra attività.”

Un sistema certificato, trasparente e controllato

Il riconoscimento EcoVadis si affianca a un sistema già solido di certificazioni nazionali e internazionali che garantiscono la qualità, la sicurezza e l’equità dell’intera filiera OHissa. L’azienda è infatti in possesso di:
• MSC (Marine Stewardship Council): certificazione che garantisce la provenienza del pesce da pesca sostenibile e ben gestita, rispettosa degli stock marini e dell’ecosistema.
• ASC (Aquaculture Stewardship Council): riconoscimento dedicato alle pratiche di acquacoltura responsabile, che assicura il rispetto dell’ambiente e il benessere animale negli allevamenti.
• IFS Food: certificazione internazionale che attesta la conformità ai più alti standard di sicurezza e qualità alimentare per la trasformazione e il confezionamento dei prodotti.
• ISO 14001:2015: norma che certifica un sistema efficace di gestione ambientale, mirato alla riduzione dell’impatto delle attività produttive su suolo, acqua e aria.
• ISO 45001:2018: standard per la gestione della salute e sicurezza sul lavoro, che promuove ambienti lavorativi sicuri, efficienti e rispettosi delle persone.
• UNI/PdR 125:2022: certificazione dedicata alla promozione della parità di genere in azienda, attraverso politiche concrete di inclusione, equità e valorizzazione delle competenze.
Queste certificazioni rappresentano l’impegno quotidiano dell’azienda: ogni processo, dalla selezione della materia prima fino alla consegna, è strutturato secondo logiche trasparenti, tracciabili e verificate.

Una visione che guarda avanti

Il percorso di OHissa è chiaro: continuare a crescere investendo in qualità, sostenibilità e innovazione, senza mai perdere di vista il valore artigianale che contraddistingue l’azienda. L’obiettivo è consolidare un modello di produzione che sia al tempo stesso competitivo e responsabile, capace di rispondere alle esigenze del mercato e alle sfide ambientali.

 

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Verso il 2038 con acque condivise: stabilità e strategia nella pesca UE-Regno Unito

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A distanza di anni dalla Brexit, l’Europa e il Regno Unito trovano un punto fermo sul fronte più delicato e identitario: la pesca. Il Comitato congiunto specializzato ha formalizzato un accordo che garantirà il pieno accesso reciproco alle acque fino al 30 giugno 2038. Una prospettiva temporale ampia, quasi insolitamente lunga per i tempi della diplomazia internazionale, che segna una svolta nella gestione congiunta delle risorse marine e nella stabilità per le flotte.

L’accordo pesca UE Regno Unito, raggiunto in vista del recente vertice bilaterale del 19 maggio a Londra, rappresenta un traguardo strutturale. A beneficiare di questa intesa non sono soltanto le autorità centrali, ma tutta la filiera ittica: armatori, cooperative di pesca, operatori della trasformazione, logistica e distribuzione. La certezza normativa e l’accesso garantito alle Zone Economiche Esclusive (ZEE) su entrambe le sponde della Manica permettono ora di pianificare con maggiore sicurezza investimenti e strategie di lungo termine.

Secondo quanto dichiarato dal Commissario europeo per la pesca, Costas Kadis, si tratta di un accordo che va “oltre il semplice passo avanti”: consolida le relazioni e dimostra cosa sia possibile ottenere in un contesto di collaborazione strutturata. Ma c’è di più: il valore strategico di questa decisione sta anche nell’effetto domino che può innescare. Il modello cooperativo rafforzato potrebbe diventare un riferimento per altre relazioni bilaterali su scala europea e globale, in un contesto di risorse sempre più contese.

Dal punto di vista operativo, l’intesa copre sia gli stock soggetti a quote che quelli non regolamentati da contingenti. Si garantisce così continuità alle attività di pesca che rappresentano un pilastro economico e sociale per molte comunità marittime, dall’Atlantico alla Manica. Per chi opera nella trasformazione e distribuzione, la stabilità delle forniture ittiche rappresenta un elemento essenziale: consente programmazione, contrattualistica e gestione dei volumi con meno volatilità.

Sul piano geopolitico, il rafforzamento del partenariato UE-Regno Unito in materia di pesca arriva dopo anni di tensioni e ridefinizioni, molte delle quali legate proprio all’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea. Oggi, la creazione di una cornice duratura ribadisce che la cooperazione può prevalere sugli antagonismi, quando il focus è rivolto alla sostenibilità, alla sicurezza alimentare e all’equilibrio delle risorse marine condivise.

Il messaggio, silenzioso ma chiaro, per gli operatori della filiera è uno solo: la stabilità normativa non è più un miraggio. Pianificare, diversificare, investire, anche nell’ambito dell’export o della lavorazione di specie provenienti dalle acque britanniche, torna a essere una possibilità concreta e legittimata dal quadro normativo.

L’accordo tra UE e Regno Unito sulla pesca non è soltanto un atto diplomatico, ma una nuova base di gioco per tutta la filiera ittica europea. Dalla programmazione industriale alla gestione delle risorse, si apre una finestra di opportunità che premia chi saprà guardare oltre la contingenza.

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Consumi, identità e digitale: la nuova cultura dell’acquisto sfida anche l’ittico

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Non si compra più solo per soddisfare un bisogno. Sempre più spesso, si acquista per esprimere sé stessi, scegliere in base a ciò che si è e che si desidera diventare. È questa la nuova traiettoria dei consumi, confermata da ricerche come quella presentata da Amazon per i suoi 15 anni in Italia, realizzata in collaborazione con AstraRicerche e la docente Patrizia Martello, che mostra come l’evoluzione degli acquisti online in Italia sia diventata specchio di una trasformazione culturale più ampia.

Non sorprende, quindi, che anche nel 2025 – secondo le previsioni Coop – i consumi possano crescere del 6%, pur in un contesto in cui la spesa viene vissuta con cautela. Perché la spinta all’acquisto oggi è soprattutto valoriale, identitaria, relazionale. E chi produce, trasforma o commercializza prodotti – pesce incluso – non può che prenderne atto.

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Dall’efficienza all’emozione: i consumatori cambiano rotta

Dal 2010 a oggi, lo scenario si è capovolto. All’inizio, l’eCommerce si è imposto per la sua efficienza: velocità, comodità, convenienza. Poi, a partire dal 2022, si è manifestata una nuova domanda: quella di autenticità. Cresce l’interesse verso prodotti che raccontano storie, che aiutano ad affermare la propria identità e che diventano strumenti di benessere personale.

È in questa direzione che anche il settore ittico può ritrovare un terreno fertile. Il pesce non è solo un alimento: può essere racconto di sostenibilità, testimonianza di qualità artigianale, scelta consapevole per la salute. Ma tutto questo richiede visione, narrazione, connessione col consumatore.

Una sfida culturale e strategica per la filiera

La pandemia ha accelerato la digitalizzazione e la normalizzazione degli acquisti online, anche per i beni alimentari. L’ittico trasformato – conserve, surgelati, affumicati – è oggi una categoria sempre più presente nelle piattaforme di eCommerce. Ma la vera partita si gioca sulla percezione. Chi acquista online non cerca più solo prodotti: cerca rassicurazione, valore, corrispondenza con i propri obiettivi.

Ed è qui che si inserisce la possibilità per i player della filiera di ripensare la propria comunicazione e la propria offerta. Non bastano i numeri o le etichette: servono contenuti, packaging parlanti, una customer experience capace di trasmettere valori coerenti e riconoscibili.

Benessere, famiglia, individualismo: i nuovi driver

Secondo le analisi Coop, gli italiani del 2025 rimettono la famiglia al centro, ma lo fanno con un approccio più intimo e individualista. Cresce il bisogno di sicurezza, tranquillità, autenticità. In vetta alle attività desiderate ci sono camminate, sport, lettura, natura. Tutti segnali di una ricerca di equilibrio, salute e semplificazione.

In questo scenario, il pesce – specie se proposto come alimento leggero, ricco di omega-3, facile da preparare e sostenibile – ha tutte le carte per diventare protagonista. A condizione, però, che venga comunicato nel modo giusto: come parte di uno stile di vita, non solo come referenza da scaffale.

Un’opportunità per chi guarda oltre il prodotto

L’analisi dei nuovi consumi ci consegna un messaggio chiaro: per restare rilevanti, serve più che mai integrare prodotto, racconto e servizio. I consumatori evolvono, e con loro cambiano le aspettative, i criteri di scelta, le piattaforme di acquisto.

Per il comparto ittico, è il momento di superare le logiche difensive e abbracciare una visione più ampia, che parta dal prodotto ma guardi alle persone.

Non si tratta solo di vendere pesce, ma di entrare nelle scelte di vita quotidiana dei consumatori.

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Il Mediterraneo che cambia: nuove specie ittiche e un mare sempre più tropicale

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Lo sguardo scientifico lanciato dal recente studio di Davinia Torreblanca e José Carlos Báez, ricercatori del Instituto Español de Oceanografía (IEO-CSIC), è netto e inquietante: le acque del Mediterraneo occidentale, in particolare nella zona dello Stretto di Gibilterra e del Mar di Alborán, stanno registrando un incremento significativo nella presenza di specie ittiche tipiche di climi tropicali. Un processo definito tropicalizzazione del Mar Mediterraneo, che sta riscrivendo – e riscaldando – le coordinate biologiche del nostro mare.

Il lavoro, pubblicato il 3 giugno 2025 sul Journal of Marine Science and Engineering, si basa sull’analisi comparata delle preferenze termiche delle nuove specie registrate nelle acque spagnole rispetto a quelle storicamente presenti. Il risultato più eclatante riguarda l’area ESAL (Stretto di Gibilterra e Mar di Alborán), dove i nuovi arrivi mostrano preferenze termiche superiori di oltre 6 °C rispetto alle specie già note. Un dato che parla chiaro: qualcosa sta cambiando velocemente.

Le implicazioni per la filiera ittica sono profonde. In primo luogo, l’arrivo di specie termofile — come il pesce leone (Pterois miles), lo sgombro tropicale o il pesce pappagallo — porta con sé nuovi equilibri trofici, interazioni sconosciute, sfide gestionali e commerciali. In secondo luogo, come evidenziato dagli autori, la tropicalizzazione non è uniforme: se nella fascia LEBA (Levante-Baleari) l’effetto è ancora contenuto, nell’area ESAL si avvicina a una vera trasformazione ecologica.

A rendere più complesso il quadro, la sovrapposizione con altri fattori: l’invasione della macroalga Rugulopteryx okamurae, l’impatto del traffico marittimo, l’aumento del turismo costiero e l’inquinamento crescente. A questi si sommano i cambiamenti climatici globali, che rendono sempre più calde, stratificate e soggette a eventi estremi le acque superficiali mediterranee.

Torreblanca e Báez suggeriscono tre meccanismi principali alla base dei nuovi avvistamenti: migrazione naturale favorita dal riscaldamento, introduzione antropica (trasporto marittimo, acquacoltura), e identificazione tardiva di specie già presenti ma sfuggite alla classificazione per via del comportamento criptico. Per gli operatori della filiera, questo significa una sola cosa: serve un aggiornamento costante e proattivo delle conoscenze, delle tecniche di monitoraggio e delle strategie di adattamento.

L’impatto potenziale sulla pesca, sull’acquacoltura, sulla trasformazione e persino sulla logistica è tutt’altro che trascurabile. Nuove specie possono diventare risorsa — come accaduto in altri mari — ma solo se gestite con visione. Al contrario, senza strumenti adeguati, potrebbero minacciare habitat, risorse tradizionali e mercati consolidati.

Il Mediterraneo non è più quello di ieri. La sua identità biologica sta evolvendo sotto la spinta di forze climatiche e antropiche che travalicano i confini nazionali. La capacità della filiera di leggere, interpretare e reagire a questi segnali sarà decisiva per garantirsi un futuro competitivo e sostenibile in un contesto ambientale in rapido mutamento.

Il processo di tropicalizzazione nel Mediterraneo, reso evidente dallo studio spagnolo, non è più ipotesi scientifica ma fenomeno in atto. Per la filiera ittica mediterranea è il momento di prendere atto dei segnali e trasformare l’incertezza in strategia.

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