Sicilia, la pesca del futuro tra identità e innovazione

Sicilia, la pesca del futuro tra identità e innovazione

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La pesca siciliana non è solo un comparto produttivo: è identità, cultura, economia costiera. Ma oggi, per restare vitale, deve affrontare transizioni decisive – sul piano infrastrutturale, ambientale, tecnologico e commerciale. Il Dipartimento della Pesca Mediterranea, guidato dall’Arch. Giovanni Cucchiara, è al centro di questo processo, chiamato a trasformare i fondi europei in interventi concreti e accessibili, a sostenere l’innovazione lungo la filiera e a rafforzare il valore del pescato siciliano nei mercati.

In questa intervista, il Dirigente Generale, traccia le direttrici della strategia regionale: dalla modernizzazione dei porti alla digitalizzazione, dalla promozione dell’acquacoltura sostenibile alla valorizzazione multifunzionale del lavoro dei pescatori. Una visione operativa che punta a rafforzare il ruolo della Sicilia come protagonista del Mediterraneo.

Il recente bando da 6 milioni di euro per interventi infrastrutturali nei porti e nei luoghi di sbarco rappresenta un primo passo concreto nell’attuazione del FEAMPA. Qual è la visione complessiva del Dipartimento su come questi fondi devono incidere, a terra e a mare, sulla competitività del comparto siciliano?
Il bando a cui fa riferimento rappresenta, senza dubbio, un primo e significativo passo nell’attuazione concreta del FEAMPA in Sicilia. Questa dotazione finanziaria è un’opportunità preziosa per rafforzare e modernizzare le infrastrutture costiere, che costituiscono il cuore pulsante dell’intero comparto della pesca mediterranea nella nostra regione. La visione complessiva del Dipartimento della Pesca Mediterranea si fonda sull’idea che questi investimenti debbano incidere in modo tangibile sia a terra che a mare, per migliorare la competitività e la sostenibilità del settore. A terra, intendiamo favorire la realizzazione e l’ammodernamento di strutture portuali funzionali, sicure e tecnologicamente avanzate, capaci di garantire migliori condizioni per le attività di sbarco, conservazione e commercializzazione del pescato. Migliori infrastrutture significano anche maggiore sicurezza per gli operatori e una più efficiente gestione delle risorse. A mare, la modernizzazione delle infrastrutture di supporto è fondamentale per incentivare la transizione verso pratiche di pesca sostenibili e innovazioni tecnologiche, in linea con gli obiettivi del FEAMPA e della politica comune della pesca. Il nostro obiettivo è quello di creare un sistema integrato, in cui l’adeguamento delle infrastrutture costiere si traduca in un miglioramento complessivo della filiera ittica, dalla cattura alla commercializzazione. Questi interventi non solo contribuiscono a preservare e valorizzare la tradizione marittima siciliana, ma rappresentano anche un fattore strategico per rilanciare la competitività del comparto, favorendo la crescita economica delle comunità costiere e promuovendo l’occupazione nel settore.

Quali strumenti concreti state adottando per garantire che anche le realtà più piccole possano beneficiare dei finanziamenti?
Siamo pienamente consapevoli delle difficoltà che molte microimprese della pesca incontrano nell’accesso ai finanziamenti pubblici, in particolare a quelli derivanti dai fondi europei come il FEAMPA. Queste difficoltà spesso derivano dalla complessità delle procedure amministrative e dalla mancanza di risorse interne dedicate alla gestione dei bandi. Per questo motivo, il Dipartimento della Pesca Mediterranea, ha adottato una serie di misure concrete volte a facilitare l’accesso ai finanziamenti anche per le realtà più piccole e meno strutturate. In primo luogo, stiamo rafforzando il supporto tecnico e informativo e promuoviamo iniziative di formazione specifica per migliorare la capacità amministrativa delle imprese. Oltre a semplificare il più possibile le procedure di presentazione delle domande, al fine di ridurre gli oneri amministrativi e rendere più accessibili le opportunità di finanziamento. Questi interventi rappresentano un impegno concreto del Dipartimento per garantire equità nell’accesso ai fondi e sostenere lo sviluppo delle microimprese della pesca, che costituiscono un patrimonio economico e sociale fondamentale per le nostre comunità costiere.

Tracciabilità, gestione dei dati, aste digitali: come la Regione intende sostenere concretamente l’innovazione lungo tutta la filiera ittica, dalla barca al mercato?
L’innovazione tecnologica e la digitalizzazione stanno diventando strumenti fondamentali per rendere più efficiente, trasparente e sostenibile l’intera filiera ittica, dalla fase della cattura fino alla commercializzazione sul mercato. In questo contesto, la Regione Siciliana si impegna concretamente a favorire queste trasformazioni attraverso una strategia integrata che tocca diversi ambiti chiave. Un aspetto centrale riguarda la tracciabilità: stiamo infatti pian piano promuovendo l’adozione di sistemi digitali avanzati che consentono di monitorare ogni passaggio del pescato, garantendo così una maggiore trasparenza e sicurezza alimentare per i consumatori, oltre a migliorare la gestione delle risorse marine. Parallelamente, l’idea è quella di programmare investimenti nello sviluppo di piattaforme digitali condivise, che facilitano lo scambio di informazioni tra operatori, enti di controllo e autorità di gestione, ottimizzando le attività di pesca, riducendo gli sprechi e supportando decisioni basate su dati affidabili, ma che siano allo stesso tempo utili per incentivare l’introduzione di aste digitali innovative che permettono agli operatori di vendere il pescato in modo più rapido, trasparente e competitivo, ampliando così l’accesso ai mercati anche al di fuori dei confini locali. In sintesi, il nostro obiettivo è accompagnare l’intera filiera ittica siciliana in un percorso di modernizzazione digitale che valorizzi le peculiarità del territorio, rafforzi la competitività delle imprese e garantisca uno sviluppo sostenibile e duraturo nel tempo.

Come si sta preparando il Dipartimento a garantire una gestione adattiva delle risorse senza compromettere la tenuta socioeconomica delle marinerie?
La Sicilia, per la sua posizione strategica nel Mediterraneo, è particolarmente esposta agli impatti dei cambiamenti climatici e alle variazioni degli stock ittici, fenomeni che richiedono un approccio dinamico e flessibile alla gestione delle risorse marine. Il Dipartimento della Pesca Mediterranea è impegnato a promuovere una gestione adattiva degli stock ittici, basata su dati scientifici aggiornati e sul monitoraggio costante delle risorse. Collaboriamo con istituti di ricerca e università per acquisire informazioni precise e tempestive che guidino le decisioni gestionali. Parallelamente, riconosciamo l’importanza di tutelare la tenuta socioeconomica delle marinerie, che rappresentano il tessuto vitale delle nostre comunità costiere. Per questo adottiamo misure di accompagnamento e sostegno rivolte agli operatori della pesca, quali incentivi per pratiche di pesca sostenibile, programmi di diversificazione economica e formazione specifica per favorire la resilienza delle imprese. Inoltre, stiamo integrando politiche di adattamento climatico nelle strategie di sviluppo del settore, con interventi infrastrutturali mirati e piani di gestione che tengano conto degli scenari futuri legati al clima. In sintesi, il nostro approccio punta a coniugare la conservazione delle risorse marine con la valorizzazione del capitale umano e sociale delle marinerie siciliane, garantendo così uno sviluppo sostenibile e duraturo nel tempo.

Quali priorità definite nel Piano Regionale si stanno già traducendo in misure operative per il settore?
L’acquacoltura rappresenta un settore strategico per la Regione Siciliana, fondamentale non solo per garantire l’approvvigionamento di prodotti ittici di qualità, ma anche per contribuire alla sicurezza alimentare regionale e nazionale. Nel nostro Piano Regionale per lo sviluppo dell’acquacoltura abbiamo individuato alcune priorità che stanno già traducendosi in azioni concrete e misure operative. In primo luogo, stiamo promuovendo la sostenibilità ambientale attraverso l’adozione di tecniche produttive a basso impatto e il monitoraggio costante delle aree di allevamento, per garantire il rispetto degli ecosistemi marini e costieri. Vengono incentivati progetti che favoriscono l’uso di tecnologie innovative volte a ridurre l’inquinamento e migliorare l’efficienza delle risorse. Particolare attenzione è inoltre rivolta al rafforzamento delle infrastrutture dedicate all’acquacoltura, con interventi mirati a migliorare i punti di sbarco, le strutture logistiche e gli impianti di lavorazione, per aumentare la competitività del settore e favorire l’accesso ai mercati. Il Dipartimento della Pesca Mediterranea della Regione Siciliana inoltre, supporta le imprese nel percorso di certificazione e valorizzazione dei prodotti, puntando su qualità, tracciabilità e promozione territoriale, elementi essenziali per rispondere alle esigenze di un mercato sempre più esigente che mira a fare dell’acquacoltura un settore moderno, sostenibile e capace di contribuire in modo significativo allo sviluppo socioeconomico della Sicilia.

Quali strategie intende mettere in campo la Regione per valorizzarlo, differenziarlo sul mercato e comunicarne l’identità territoriale anche fuori dai confini regionali?
La valorizzazione del pescato siciliano è una priorità strategica per la Regione, in quanto rappresenta non solo un elemento chiave per la competitività del settore ma anche un patrimonio culturale e identitario da preservare e promuovere. Per questo motivo, la Regione intende adottare un approccio integrato che agisca su più fronti. Innanzitutto, si lavorerà per favorire la differenziazione e la certificazione dei prodotti ittici attraverso strumenti quali marchi di qualità, certificazioni DOP/IGP e sistemi di tracciabilità che ne garantiscano l’origine, la sostenibilità e la freschezza. Parallelamente, la promozione commerciale sarà rafforzata mediante campagne di comunicazione mirate, sia a livello regionale che nazionale e internazionale, per far conoscere le peculiarità del pescato siciliano e raccontarne la storia, le tradizioni e il legame con il territorio. Un altro ambito di intervento riguarda il supporto alla filiera corta e ai mercati locali, con iniziative volte a valorizzare la vendita diretta e a promuovere nuove forme di commercializzazione, che consentano un miglior riconoscimento economico agli operatori. In questo percorso di valorizzazione si inserisce anche il REIMAR – Registro delle Identità della Pesca Mediterranea e dei Borghi Marinari – istituito dalla Regione Siciliana per tutelare e promuovere l’identità culturale e storica delle comunità marinare dell’isola. Il REIMAR rappresenta uno strumento strategico per riconoscere e valorizzare saperi, luoghi, pratiche tradizionali e architetture legate al mondo della pesca, contribuendo a costruire una narrazione autentica e distintiva del pescato siciliano. Infine, la Regione sostiene la partecipazione a fiere e eventi di settore, nonché la collaborazione con ristoratori, chef e operatori turistici, per creare una rete virtuosa che faccia del pescato siciliano un prodotto simbolo della Sicilia nel mondo.
In sintesi, l’obiettivo è costruire un sistema di valorizzazione che non solo aumenti il valore economico del pescato, ma rafforzi anche l’identità e la riconoscibilità della nostra tradizione marinara, contribuendo così allo sviluppo sostenibile delle comunità costiere.

Quali opportunità sono aperte, concretamente, per quei pescatori che vogliono integrare l’attività di pesca con trasformazione, vendita diretta, pescaturismo, ittiturismo ed educazione ambientale?
Oggi parlare di pesca non significa più solo parlare di cattura del pesce. Significa parlare di comunità, di cultura del mare, di sostenibilità ambientale ed economica. In questo contesto, la diversificazione delle attività rappresenta una risposta concreta alle difficoltà che molti pescatori vivono quotidianamente. Per noi, è anche un’opportunità per riconoscere e valorizzare il ruolo multifunzionale che il pescatore può e deve svolgere. Come Dipartimento, stiamo lavorando affinché i pescatori siciliani possano aprirsi a nuove forme di attività che integrino, e in alcuni casi trasformino, il loro mestiere. Pensiamo al pescaturismo e all’ittiturismo: esperienze che permettono ai pescatori di accogliere a bordo i turisti, di raccontare il mare, le tecniche tradizionali, e di mostrare, in prima persona, cosa significa vivere del mare nel rispetto delle sue regole. Sono attività che non solo generano un reddito alternativo, ma rafforzano anche il legame tra le comunità costiere e il territorio. Allo stesso tempo, stiamo sostenendo anche chi vuole investire nella trasformazione del pescato, nella vendita diretta o nella creazione di piccoli laboratori artigianali. Questo consente ai pescatori di controllare una parte più ampia della filiera, aumentando il valore del proprio prodotto e migliorandone la riconoscibilità sul mercato. Un’altra frontiera che ci sta particolarmente a cuore è quella dei servizi ecosistemici e dell’educazione ambientale. Sempre più pescatori vogliono partecipare attivamente alla tutela dell’ambiente marino: raccogliendo i rifiuti, monitorando la biodiversità, spiegando ai più giovani – magari attraverso percorsi didattici – quanto è fragile e prezioso l’equilibrio del nostro mare. Noi intendiamo accompagnare e sostenere questo cambiamento, perché siamo convinti che il pescatore del futuro non sarà solo un produttore, ma anche un custode del patrimonio ambientale e culturale del Mediterraneo. Per rendere tutto questo possibile, mettiamo a disposizione strumenti concreti: bandi dedicati, semplificazioni amministrative, percorsi formativi, supporto tecnico. La nostra visione è chiara: vogliamo che la pesca in Sicilia sia una leva di sviluppo sostenibile, in cui le tradizioni si uniscano all’innovazione, e in cui il pescatore possa continuare a vivere del mare, senza dover scegliere tra la propria identità e il proprio futuro.

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Pesci e ormoni: quello che c’è da sapere sull’acquacoltura moderna

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Negli allevamenti si usano sostanze ormonali per favorire la riproduzione dei pesci. Una scelta tecnica che porta vantaggi, ma che merita attenzione per le sue implicazioni ambientali e sanitarie.

Quando si parla di pesce allevato, si pensa spesso alla qualità dell’alimentazione, alla provenienza o alla sostenibilità dell’allevamento. Pochi sanno, però, che in molti impianti di acquacoltura vengono utilizzati ormoni sintetici per stimolare la riproduzione dei pesci. Si tratta di sostanze che imitano gli ormoni naturali, tra cui il più usato è un analogo del GnRH, l’ormone che regola l’attività riproduttiva.

Questa pratica è comune in allevamenti di orate, branzini, salmoni e altre specie, dove serve a indurre artificialmente la maturazione sessuale, facilitando la produzione di uova e spermatozoi.

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In natura, i pesci si riproducono in periodi precisi dell’anno, seguendo i cicli stagionali. In un allevamento, però, questa tempistica può creare difficoltà: lunghi tempi d’attesa, difficoltà nel sincronizzare la produzione e imprevedibilità nei risultati.

Gli allevatori, per ovviare a questi limiti, ricorrono quindi a iniezioni ormonali che “spingono” i riproduttori ad attivare il processo riproduttivo anche fuori stagione. Questo consente una maggiore programmazione delle nascite, ottimizzando i tempi e migliorando la resa economica dell’allevamento.
Questi ormoni non vengono somministrati ai pesci da macellare, ma solo ai riproduttori. Non si accumulano nei tessuti muscolari, cioè la parte che normalmente si mangia.

Quando le pratiche vengono eseguite correttamente e in conformità con le normative europee, non c’è alcun rischio noto per la salute umana. Tuttavia, i problemi possono nascere in caso di irregolarità allorquando si fa uso scorretto dei dosaggi, mancato rispetto dei tempi di sospensione o impiego di prodotti non autorizzati. In questi casi, esiste il rischio che residui ormonali possano rimanere nel pesce.

L’uso di ormoni nell’acquacoltura può avere ripercussioni anche sugli ecosistemi acquatici, soprattutto se i pesci trattati o le acque di scarico non vengono gestiti correttamente. Alcuni studi hanno segnalato che tracce di ormoni rilasciate nell’ambiente potrebbero interferire con la riproduzione di altre specie, alterando il delicato equilibrio degli habitat marini.

C’è poi un aspetto etico da considerare: forzare i pesci alla riproduzione può causare loro stress fisiologico, ed è importante che ogni intervento sia il più possibile rispettoso del loro benessere.
In un’epoca in cui la domanda di pesce è in costante crescita e le risorse del mare si fanno sempre più scarse, l’acquacoltura può rappresentare una soluzione. Ma deve essere una soluzione intelligente, etica e responsabile.
Tuttavia, i consumatori, hanno il diritto di essere informati e pretendere che la filiera del pesce sia trasparente, tracciabile e controllata. Solo così si può garantire un’alimentazione sicura e sostenibile, nel rispetto dell’ambiente e del benessere animale.

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Subacquea industriale e acquacoltura: una filiera sommersa

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In Sicilia esiste una legge regionale sulla subacquea – la n. 7 del 2016 – che rappresenta un unicum in Italia. Disciplina per la prima volta i percorsi formativi della subacquea industriale secondo standard internazionali riconosciuti, come IDSA e IMCA. Ma se sulla carta costituisce un modello legislativo d’eccellenza, nella realtà è rimasta in larga parte inapplicata, con conseguenze che vanno ben oltre il comparto della formazione professionale. A essere penalizzata è anche una parte importante della filiera ittica: l’acquacoltura offshore.

Lo evidenzia un’interrogazione parlamentare presentata all’Assemblea Regionale Siciliana dall’on. Vincenzo Figuccia (Prima l’Italia – Lega). Il deputato denuncia l’assenza di attuazione di molti articoli del regolamento attuativo (D.P.Reg. n. 31/2018): dal portale informativo pubblico ai descrittori in lingua inglese, dalle card identificative ai collegamenti con il database europeo delle qualifiche. Il risultato è che operatori subacquei formati e certificati secondo la normativa siciliana non vengono valorizzati né promossi, con un danno potenziale per settori che richiedono queste competenze ogni giorno.

Tra questi, l’acquacoltura marina avanzata. Le gabbie galleggianti e i sistemi di allevamento offshore richiedono interventi subacquei regolari per ispezioni, riparazioni, ancoraggi, raccolta dati e monitoraggio ambientale. Secondo il manuale tecnico FAO Aquaculture Operations in Floating HDPE Cages (2005), “la presenza di operatori subacquei esperti è essenziale per garantire la funzionalità, la biosicurezza e la durata degli impianti”. Anche l’Unione Europea, nella comunicazione “Strategic guidelines for a more sustainable and competitive EU aquaculture” (2021), richiama la necessità di rafforzare le competenze tecniche in ambito offshore, tra cui quelle subacquee.

A livello aziendale, realtà come Galaxidi Marine Farm in Grecia o Nordlaks in Norvegia impiegano squadre di subacquei formati per attività quotidiane di supporto agli allevamenti. Il legame tra subacquea e acquacoltura non è teorico, ma operativo.

In Sicilia, però, questo legame resta invisibile. Eppure il “Repertorio telematico della subacquea industriale”, già previsto dalla norma, conta oltre 160 operatori registrati, provenienti anche da Paesi del Mediterraneo (Libia, Tunisia, Grecia, Cipro). Figure che, se valorizzate, potrebbero costituire un vantaggio competitivo per tutte le imprese siciliane coinvolte nella blue economy.

La cronaca recente ha riportato alla ribalta il tema della sicurezza. Il decesso di un subacqueo olandese al largo di Porticello, durante operazioni di recupero marino, ha sollevato interrogativi sulle certificazioni professionali degli operatori. Secondo quanto segnalato da fonti politiche, l’uomo non possedeva qualifiche compatibili con immersioni a quelle profondità. Un tragico esempio che rafforza l’urgenza di rendere pienamente operative norme già esistenti.

La formazione subacquea industriale in Sicilia, se correttamente applicata, potrebbe non solo ridurre i rischi per chi lavora in profondità, ma diventare un asset strategico per settori in forte espansione come l’acquacoltura offshore e il monitoraggio ambientale marino.

La mancata attuazione della legge regionale sulla subacquea industriale non è solo un’occasione persa sul piano formativo. Impatta direttamente sulla sicurezza operativa e sulla competitività del comparto acquacoltura, ostacolando uno sviluppo integrato della blue economy siciliana.

Per costruire un sistema ittico competitivo, serve una filiera subacquea certificata, visibile e pienamente riconosciuta. La normativa c’è: ora va attuata.

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Tecnica, resistenza e mare: il valore delle reti giuste

Tecnica, resistenza e mare: il valore delle reti giuste

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Le reti professionali per la pesca e l’acquacoltura sono oggi strumenti strategici per lavorare meglio e rispettare la risorsa marina. Nel settore ittico, ogni dettaglio operativo può influire sul rendimento complessivo. Le reti, elemento tecnico per eccellenza nella pesca e nell’acquacoltura, restano un fattore chiave spesso sottovalutato. Ma scegliere la rete giusta non è solo una questione di resistenza: è una decisione che incide su costi, sicurezza e sostenibilità.

Lo dimostra Mediterranea Reti, azienda specializzata nella produzione di reti professionali per la pesca e gabbie per l’acquacoltura. Il suo approccio parte dalla funzionalità, si adatta alle condizioni reali — ambientali e operative — e si traduce in soluzioni su misura, collaudate, documentate. Ogni rete è progettata per durare e per lavorare, non per essere sostituita in fretta.

La qualità tecnica si abbina a una selezione rigorosa dei materiali: fibre come Dyneema e nylon ad alta densità, trattamenti resistenti ai raggi UV, soluzioni leggere o ultra-tenaci in base all’impiego. L’attenzione ai dettagli non è accessoria: consente di ridurre rotture, sprechi e sostituzioni anticipate. In breve, meno rifiuti in mare, meno interruzioni operative.

Oggi la sostenibilità non è più un principio astratto: è una leva concreta per lavorare meglio. E anche un’attrezzatura apparentemente semplice può contribuire a definire buone pratiche. Una rete progettata con intelligenza non solo regge meglio lo sforzo, ma accompagna il lavoro giorno dopo giorno, senza diventare un problema.
Per chi opera in mare o gestisce impianti di acquacoltura, affidarsi a reti progettate con precisione significa ridurre gli imprevisti, contenere i costi e lavorare con maggiore controllo. È una scelta operativa, non accessoria. E può fare davvero la differenza. Meno fermi, più affidabilità, impatto ambientale più controllato.

Mediterranea Reti non reinventa la pesca, ma offre un modo intelligente per sostenerla, proponendo un modello produttivo che unisce efficienza tecnica, durabilità e adattamento operativo. Una visione concreta e utile per tutta la filiera del mare, dalla cattura all’allevamento.

Le reti non sono tutte uguali. Quelle progettate con competenza e pensate per durare aiutano la filiera a lavorare meglio, con meno sprechi e più consapevolezza. Mediterranea Reti lo dimostra ogni giorno, con scelte semplici, funzionali e sostenibili.

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Chi orienta davvero le politiche UE sulla pesca? Una radiografia dei gruppi di interesse

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Nel fitto intreccio delle decisioni che definiscono il futuro della pesca in Europa, i veri protagonisti non siedono solo nei palazzi istituzionali. Un recente studio della Fundación MarInnLeg, centro giuridico con sede a Vigo, getta luce sui gruppi di interesse nella pesca europea, offrendo una mappa dettagliata delle organizzazioni che influenzano direttamente le scelte dell’Unione in materia di pesca, trasformazione e sostenibilità.

Il focus è sui Consigli Consultivi della Commissione Europea – in particolare il MAC (Market Advisory Council) e il LDAC (Long Distance Advisory Council) – che vedono la partecipazione attiva di associazioni industriali, ONG ambientaliste e fondazioni internazionali. È lì che si confrontano interessi divergenti, si negoziano priorità e si modellano gli indirizzi normativi che ricadono su tutta la filiera ittica.

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Tra gli attori economici, il report identifica realtà strutturate come Europêche, EAPO e AIPCE-CEP, che rappresentano armatori, cooperative e aziende della trasformazione in tutta Europa, Italia compresa. Sul fronte conservazionista, emergono invece giganti come WWF European Policy Office, Oceana e la Pew Charitable Trusts, sostenuti da fondazioni americane e attivi nel definire obiettivi ambientali, spesso in chiave restrittiva rispetto all’attività di pesca.

Ciò che colpisce è la concentrazione di influenza: un numero ristretto ma altamente strutturato di organizzazioni – sia industriali che ambientalisti – riesce a occupare in modo sistematico i tavoli decisionali europei, grazie a risorse economiche, presenza tecnica e capacità di lobbying. Il report documenta anche i finanziamenti ricevuti da molte di queste organizzazioni, evidenziando come gran parte dei fondi provenga da fonti extraeuropee, con obiettivi che non sempre coincidono con le esigenze del comparto produttivo.

Per l’Italia, lo scenario descritto apre spazi di riflessione strategica. In un contesto europeo dove le decisioni si orientano anche grazie alla partecipazione tecnica e continuativa dei gruppi di interesse, rafforzare la presenza italiana nei consessi consultivi può diventare un passo decisivo per difendere e valorizzare la specificità della filiera nazionale.

La posta in gioco è alta: normative sulle quote, regole tecniche, accesso ai fondi europei, etichettatura, export. Tutti ambiti dove una rappresentanza attiva e ben strutturata può fare la differenza per la competitività del sistema Italia. Ed è proprio la capacità di anticipare queste dinamiche, anziché subirle, a determinare un posizionamento forte e lungimirante della nostra filiera.

Il report della Fundación MarInnLeg è uno strumento prezioso per comprendere chi detta davvero le regole del gioco nella pesca europea. Per la filiera italiana, non è solo un’analisi da leggere: è un invito ad agire con strategia, visione e spirito unitario.

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