Pesca sostenibile: serve una strategia Ue più equa e condivisa

Pesca sostenibile: serve una strategia Ue più equa e condivisa

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Pesca sostenibile

“Condividiamo la posizione espressa dal sottosegretario Patrizio La Pietra alla Terza Conferenza delle Nazioni Unite sugli Oceani, a Nizza, in merito alla necessità di un cambio di indirizzo dell’Unione europea sul depauperamento degli stock ittici e della biodiversità marina, la cui responsabilità viene interamente scaricata sul settore della pesca e su chi vi lavora, mentre occorrerebbe una strategia a trecentosessanta gradi”. Ad affermarlo è Gennaro Scognamiglio, presidente nazionale di Unci AgroAlimentare.

“La progressiva riduzione – ha proseguito il numero uno dell’associazione del mondo cooperativistico – dei giorni di pesca delle marinerie italiane, decisa a Bruxelles, non ha prodotto i risultati sperati, ma ha creato non poche difficoltà ai pescatori. Vanno pertanto affrontati nelle sedi istituzionali i nodi centrali del problema dell’inquinamento delle acque: dagli scarichi industriali e civili abusivi, alla presenza di rifiuti provenienti da terra, a cominciare dai materiali plastici che hanno effetti devastanti sulla flora e sulla fauna marina, all’intenso traffico marittimo, per i quali occorrono interventi mirati, dei quali debbano farsi carico tutte le filiere produttive e l’intera società.

Senza contare criticità come l’innalzamento del livello delle acque, l’aumento delle temperature causato dai cambiamenti climatici, la presenza di specie aliene invasive, il basso livello di ossigenazione delle acque, in alcune aree e in specifici periodi dell’anno.

Occorre pertanto, come ha sostenuto La Pietra, stabilire un’equa ripartizione delle aree ristrette alla pesca tra tutti i Paesi Ue interessati, che non riguardi, come succede adesso, solo aree limitrofe al territorio degli Stati membri. Contemporaneamente serve un maggiore impegno sul fronte del contrasto alla pesca illegale, facendo rispettare le regole in vigore, più che rendendo più burocratico il quadro normativo, anche con il coinvolgimento degli altri Paesi del Mediterraneo, definendo standard condivisi. Particolare attenzione e tutela richiede anche l’acquacoltura, che attraversa una fase delicata, per vari motivi”. “E’ questa –  ha concluso Scognamiglio – la direzione da seguire per salvaguardare l’ambiente marino, promuovendo una pesca realmente sostenibile, anche sotto il profilo socio-economico, considerandola una risorsa per le zone costiere e non un fattore di squilibrio, abbandonando con indifferenza al proprio destino le imprese e i lavoratori costantemente penalizzati”.

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Un patto per il futuro blu: l’Europa ridisegna la governance oceanica

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È fissata per domani, martedì 17 giugno, la discussione in Parlamento europeo del nuovo Patto europeo per gli oceani, la strategia che la Commissione ha lanciato lo scorso 5 giugno e presentato ufficialmente alla Conferenza ONU sugli oceani di Nizza. L’iniziativa si propone di riorientare in modo integrato le politiche europee verso una maggiore tutela degli ecosistemi marini e una più solida competitività dell’economia blu, con attenzione esplicita a pesca, acquacoltura e trasformazione.

Il documento, che ha già raccolto reazioni diversificate tra gli eurodeputati, rappresenta un’evoluzione rispetto ai precedenti strumenti normativi: introduce sei priorità d’azione e prefigura due strumenti chiave — una Visione per la pesca e l’acquacoltura 2040 e una futura Legge sugli oceani. Per un settore che da anni chiede stabilità regolatoria e visione a lungo termine, la proposta può aprire un nuovo ciclo.

Tra i punti più rilevanti per gli operatori della filiera c’è il riconoscimento della centralità della produzione alimentare acquatica per la sovranità alimentare europea. Attualmente, infatti, oltre il 70% degli alimenti di origine acquatica consumati nell’UE proviene da importazioni. Per questo, il Patto individua come priorità l’innalzamento della competitività e della resilienza dei settori della pesca, dell’acquacoltura e della trasformazione, integrando questi obiettivi con quelli ambientali.

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Particolare attenzione sarà data all’acquacoltura: la Commissione annuncia una nuova iniziativa europea sull’acquacoltura sostenibile, che coinvolgerà istituzioni, imprese, centri di ricerca, acceleratori e investitori. L’obiettivo è favorire l’innovazione, migliorare la gestione dello spazio marittimo — anche attraverso progetti multiuso — e affrontare criticità come l’impatto delle specie invasive e la gestione dei predatori.

Per la prima volta in un documento di questa portata, viene anche sottolineata l’urgenza di una valutazione completa della Politica Comune della Pesca (PCP), compresa l’Organizzazione Comune di Mercato (OCM), come passo necessario per adeguare il quadro normativo alle sfide attuali. L’eventuale revisione è vista come “una pietra miliare significativa” nel percorso verso una filiera più solida, autonoma e competitiva.

Se da un lato il Patto rilancia con convinzione i principi della sostenibilità ambientale, dall’altro tenta di offrire una narrazione più concreta e attenta alle esigenze economiche e sociali delle comunità costiere e insulari. La dimensione sociale del lavoro nei settori blu è riconosciuta come elemento da rafforzare, con misure dedicate che tengano conto della realtà quotidiana di operatori e lavoratori del comparto.

In attesa del dibattito parlamentare di domani, resta da vedere quanto ampio sarà il consenso politico sulle misure previste e quali azioni legislative effettive verranno messe in campo. La credibilità del Patto, infatti, si misurerà nella sua capacità di passare da visione a implementazione.

In questo contesto, le imprese del settore ittico possono iniziare da subito a interrogarsi su come allineare i propri modelli produttivi, logistici e commerciali alle nuove priorità europee. Investire in tracciabilità, sostenibilità certificata, tecnologie green e partenariati internazionali potrebbe diventare non solo un requisito di conformità, ma anche un vantaggio competitivo concreto nei prossimi anni.

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Krill nei mangimi: la svolta sostenibile per l’acquacoltura

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Nel delicato equilibrio tra nutrizione, sostenibilità e performance produttiva, l’acquacoltura europea guarda con crescente interesse a nuove fonti proteiche per i mangimi. Una revisione scientifica firmata dai ricercatori Kiranpreet Kaur e Silvia Torrecillas, evidenzia come l’inclusione del krill nei mangimi per acquacoltura rappresenti una soluzione promettente, in particolare per le specie non salmonidi come orata, spigola, sarago e tilapia.

In un contesto globale in cui la disponibilità di farina e olio di pesce è minacciata da fattori climatici ed economici — basti pensare al crollo produttivo in Perù legato a El Niño — i prodotti derivati dal krill antartico (Euphausia superba) si distinguono per profilo nutrizionale, appetibilità e sostenibilità. Proteine di alta qualità, fosfolipidi ricchi di EPA e DHA, astaxantina e peptidi bioattivi si combinano in un ingrediente funzionale capace di stimolare la crescita, rafforzare il sistema immunitario e migliorare la qualità del filetto.

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Secondo la revisione, l’integrazione del krill in percentuali comprese tra il 3% e il 9% nelle diete di spigole, orate e passere di mare ha mostrato un significativo miglioramento dell’indice di conversione alimentare (FCR), dell’assunzione di mangime e della digeribilità dei nutrienti. Anche in condizioni ambientali stressanti, come l’affollamento o la riduzione del contenuto di farina di pesce, l’inclusione del krill ha garantito risultati paragonabili — se non superiori — ai mangimi convenzionali.

Un risultato particolarmente rilevante riguarda la qualità del filetto: il mantenimento del contenuto di omega-3 nei tessuti e l’apporto antiossidante dell’astaxantina migliorano il profilo nutrizionale e la conservabilità del prodotto finale.

Dal punto di vista ambientale, la pesca del krill è rigidamente regolamentata dalla Commissione per la conservazione delle risorse marine viventi dell’Antartide (CCAMLR), con limiti precauzionali di cattura e zone interdette. Il 75% del krill pescato nel 2021 è stato certificato secondo lo standard MSC, confermando la coerenza di questo ingrediente con i criteri di sostenibilità riconosciuti a livello internazionale.

Resta, tuttavia, un nodo aperto: il costo. I prodotti a base di krill, pur offrendo eccellenti prestazioni nutrizionali e funzionali, hanno ancora un prezzo più elevato rispetto a farine vegetali o sottoprodotti ittici. Per questo, Kaur e Torrecillas sottolineano l’urgenza di ulteriori studi economici: solo una valutazione costi-benefici completa potrà orientare con precisione le scelte dei formulisti, specie per produzioni destinate a mercati di alta gamma o a etichette a valore aggiunto.

Nel quadro di una transizione sempre più strategica verso formulazioni circolari, tracciabili ed efficaci, il krill si candida a diventare un alleato credibile per la filiera dell’acquacoltura mediterranea. Le sue caratteristiche lo rendono adatto a un uso combinato con altre proteine emergenti e, se dosato correttamente, può contribuire a rafforzare la redditività e la qualità dei prodotti senza compromettere la sostenibilità. Una prospettiva concreta per chi formula, produce e commercializza nell’ittico del futuro.

Chi si occupa di nutrizione, produzione o trasformazione ittica dovrebbe iniziare a valutare con maggiore attenzione il potenziale del krill. In un’epoca in cui ogni scelta nella catena alimentare fa la differenza, anche il dettaglio può diventare strategico.

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Salmone coltivato in laboratorio: l’approvazione USA che cambia la partita

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Il mondo della produzione ittica entra in una nuova era con l’approvazione ufficiale, da parte della Food and Drug Administration statunitense, del salmone coltivato in laboratorio sviluppato dalla startup californiana Wildtype. Un traguardo atteso da anni che non solo legittima la tecnologia della coltura cellulare, ma la posiziona finalmente tra le soluzioni praticabili per la ristorazione di qualità.

Il salmone Wildtype, ottenuto a partire da cellule del salmone coho del Pacifico, è già presente nel menu del ristorante Kann di Portland, Oregon, celebre per la sua cucina haitiana a fuoco vivo e guidato dallo chef Gregory Gourdet, vincitore del James Beard Award. Si tratta di una svolta concreta, non di una semplice sperimentazione: il prodotto è servito ogni giovedì per tutto giugno, e tutti i giorni a partire da luglio.

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La startup, supportata da figure come Leonardo DiCaprio, Jeff Bezos e Robert Downey Jr., ha dichiarato l’intenzione di espandere la propria presenza in altri quattro ristoranti entro i prossimi mesi, prima di avviare la distribuzione nel retail. La scelta di partire dalla ristorazione d’eccellenza non è casuale: rappresenta un banco di prova sia per la qualità del prodotto sia per la sua accettazione da parte dei consumatori più esigenti.

Il processo produttivo, trasparente e minuzioso, avviene in bioreattori simili a quelli utilizzati per la birra o il kombucha. Le cellule vengono coltivate in un ambiente controllato, nutrite con una miscela bilanciata di proteine, zuccheri, minerali e grassi. Il prodotto finale, arricchito con ingredienti vegetali, replica fedelmente struttura e sapore del salmone tradizionale, risultando idoneo alla preparazione di piatti crudi come sashimi e maki.

Nel 2021, Wildtype ha avviato un impianto pilota a San Francisco con una capacità iniziale di 22.000 kg annui, espandibile fino a 90.000 kg. La scalabilità è già insita nel modello, ma il vero salto è politico e culturale. La decisione della FDA arriva in un momento critico: mentre diversi Stati americani (e Paesi europei come l’Italia) hanno optato per il divieto delle carni coltivate, l’agenzia federale ha scelto un approccio scientifico e basato sull’evidenza, dichiarando che il prodotto Wildtype è “sicuro quanto alimenti comparabili prodotti con altri metodi”.

Il segnale per la filiera ittica tradizionale è chiaro. Se il segmento delle proteine coltivate può entrare nei ristoranti di fascia alta, nulla vieta che possa gradualmente penetrare anche nella distribuzione organizzata, trasformando i paradigmi di approvvigionamento, logistica e comunicazione del valore.

L’esempio di Wildtype impone alle imprese del settore ittico – dalla produzione primaria alla trasformazione e alla GDO – una riflessione concreta: come valorizzare il proprio vantaggio competitivo legato alla tracciabilità, alla pesca responsabile e alla qualità organolettica, in un contesto in cui si affacciano prodotti alternativi, sostenibili e sempre più convincenti anche dal punto di vista sensoriale?

L’approvazione del salmone coltivato in laboratorio da parte della FDA (Food and Drug Administration), non è solo una pietra miliare per la tecnologia alimentare, ma un invito a tutta la filiera ittica a rinnovarsi e anticipare il cambiamento. I modelli ibridi, che integrano innovazione e identità territoriale, potrebbero rappresentare la vera risposta competitiva.

Segui su Pesceinrete gli sviluppi dell’itticoltura cellulare e le strategie più intelligenti per affrontare l’evoluzione del mercato alimentare globale.

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Scognamiglio: bene La Pietra, serve nuova strategia pesca UE

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Ad affermarlo è Gennaro Scognamiglio, presidente nazionale di Unci AgroAlimentare.

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Senza contare criticità come l’innalzamento del livello delle acque, l’aumento delle temperature causato dai cambiamenti climatici, la presenza di specie aliene invasive, il basso livello di ossigenazione delle acque, in alcune aree e in specifici periodi dell’anno.

Occorre pertanto, come ha sostenuto La Pietra, stabilire un’equa ripartizione delle aree ristrette alla pesca tra tutti i Paesi Ue interessati, che non riguardi, come succede adesso, solo aree limitrofe al territorio degli Stati membri. Contemporaneamente serve un maggiore impegno sul fronte del contrasto alla pesca illegale, facendo rispettare le regole in vigore, più che rendendo più burocratico il quadro normativo, anche con il coinvolgimento degli altri Paesi del Mediterraneo, definendo standard condivisi. Particolare attenzione e tutela richiede anche l’acquacoltura, che attraversa una fase delicata, per vari motivi”.

“È questa – ha concluso Scognamiglio – la direzione da seguire per salvaguardare l’ambiente marino, promuovendo una pesca realmente sostenibile, anche sotto il profilo socio-economico, considerandola una risorsa per le zone costiere e non un fattore di squilibrio, abbandonando con indifferenza al proprio destino le imprese e i lavoratori costantemente penalizzati”.

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