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La recente decisione della NOAA di individuare nuove aree di acquacoltura negli Stati Uniti segna un passaggio destinato a incidere sul futuro dell’intero comparto ittico americano. Non si tratta solo di delimitare zone in mare aperto, ma di dare un indirizzo politico ed economico a un settore rimasto troppo a lungo ai margini rispetto al suo potenziale.
21 mila acri di mare
L’agenzia federale ha scelto due aree geografiche chiave: la California meridionale e il Golfo del Messico. Nel primo caso, 16.500 acri sono stati suddivisi in dieci aree, tra il Canale di Santa Barbara e la Baia di Santa Monica. Nel secondo, tre siti al largo del Texas aggiungono altri 4.500 acri. Nel complesso, oltre 21.000 acri di mare sono stati messi a disposizione per sviluppare allevamenti di molluschi, alghe e pesci.
Indagini ambientali
Non è un semplice ampliamento della capacità produttiva. La NOAA ha deciso di finanziare indagini ambientali preliminari per raccogliere dati di base che consentano agli operatori di muoversi su solide fondamenta scientifiche. È un approccio che coniuga programmazione economica e tutela degli ecosistemi, evitando l’improvvisazione che in passato ha spesso frenato la crescita di altri Paesi.
Il quadro politico
Il quadro politico è altrettanto significativo. Gli ordini esecutivi che negli ultimi anni hanno accompagnato il settore ittico statunitense, dal 2020 al più recente del 2025, non nascondono l’obiettivo di ridurre la dipendenza dalle importazioni. Gli Stati Uniti restano infatti al 20° posto nel mondo per produzione di acquacoltura marina, pur essendo leader nella ricerca e nella tecnologia. La contraddizione è evidente: ogni anno il Paese importa prodotti ittici d’allevamento per circa 15 miliardi di dollari, gran parte dei quali provenienti da aree con standard ambientali e sociali meno rigorosi.
Il tentativo della NOAA è quindi duplice: garantire prodotti locali certificati secondo regole chiare e, al tempo stesso, sostenere le comunità costiere con nuove opportunità di lavoro qualificato. L’acquacoltura diventa così non solo un segmento della blue economy, ma un tassello di politica industriale.
Sfide aperte
Restano tuttavia alcune sfide aperte. La competitività internazionale si gioca non soltanto sui volumi, ma anche sulla capacità di proporre modelli produttivi sostenibili e innovativi. Inoltre, il mercato interno dovrà essere pronto a valorizzare questi prodotti rispetto a un’offerta importata spesso più economica.
In prospettiva, le nuove aree di acquacoltura negli Stati Uniti rappresentano un banco di prova: se gestite con coerenza, potrebbero colmare il divario tra scienza e produzione, trasformando un comparto marginale in un pilastro della sicurezza alimentare nazionale.
L’individuazione di oltre 21.000 acri per l’acquacoltura conferma quindi la volontà americana di rafforzare produzione locale e sostenibilità. La sfida sarà tradurre questa visione in una filiera competitiva, capace di ridurre la dipendenza dalle importazioni senza perdere credibilità sul fronte ambientale.
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L’articolo NOAA: 13 aree pronte a diventare hub per l’acquacoltura USA proviene da Pesceinrete.
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