Nel Regno Unito cresce l’interesse per specie ittiche alternativa

Nel Regno Unito cresce l’interesse per specie ittiche alternativa

 [[{“value”:”

La crescente domanda di pesce alternativo nel Regno Unito sta ridisegnando il panorama del consumo ittico. Aldi, tra i principali protagonisti di questo cambiamento, ha registrato un aumento del 50% nelle vendite di basa (Pangasius bocourti), specie d’acqua dolce originaria del Vietnam, simile al pangasio. Il dato riflette la volontà dei consumatori di esplorare nuovi sapori, preferendo varietà meno comuni ma più sostenibili e accessibili.

Anche sgombro e tonno pinna gialla mostrano un incremento a doppia cifra, mentre il merluzzo e il salmone, per anni dominatori dei banchi pescheria, perdono terreno. Con una quota del 12,9% del mercato del pesce fresco, in crescita dell’11% rispetto all’anno precedente, Aldi è oggi il terzo rivenditore del Regno Unito per volume di vendite.

Più varietà, stesso budget

Ciò che si registra è un’espansione culturale del gusto. Il consumatore britannico medio non spende di più, ma sceglie in modo più consapevole. Il basa, per esempio, offre una carne bianca delicata e un prezzo competitivo, mentre lo sgombro si afferma come opzione locale, ricca di omega-3 e con un profilo ambientale favorevole.

Aldi ha compreso la direzione del mercato, introducendo referenze “Specially Selected” che abbinano qualità e convenienza. Tra queste, anche l’aragosta, inserita come elemento d’attrazione stagionale nella gamma natalizia, ma in un contesto di offerta complessiva accessibile.

Un consumatore giovane e attento alla salute

Secondo Lumina Intelligence, la crescita del consumo di pesce, carne e pollame freschi è trainata soprattutto da acquirenti tra i 25 e i 34 anni. Giovani coppie con figli, più propense a cucinare in casa e a sperimentare. La loro scelta si orienta su alimenti proteici, leggeri e tracciabili, percepiti come parte di uno stile di vita equilibrato.

La salute resta il principale driver di acquisto, ma si afferma anche la ricerca di esperienze culinarie domestiche più varie. Il pesce diventa così il simbolo di una dieta evoluta, in cui gusto e responsabilità si incontrano.

Un segnale anche per la filiera europea

L’esperienza di Aldi in UK rappresenta un caso di studio per tutta la filiera ittica europea. Il futuro sembra dipendere dalla capacità di proporre pesce alternativo di qualità, sostenibile e facilmente riconoscibile dal consumatore.

Per i produttori italiani ed europei, questa evoluzione suggerisce l’importanza di diversificare l’offerta, puntare sulla tracciabilità e comunicare in modo chiaro l’origine e il valore nutrizionale del prodotto. L’innovazione, unita alla capacità di raccontare la qualità, può essere la chiave per intercettare la nuova generazione di consumatori consapevoli.

La crescita del basa e di altre specie meno comuni segna  la maturità del mercato. Il Regno Unito diventa il laboratorio di una tendenza che parla all’Europa: rendere il pesce più accessibile, vario e sostenibile, senza sacrificare la qualità.

L’articolo Nel Regno Unito cresce l’interesse per specie ittiche alternativa proviene da Pesceinrete.

“}]] ​ 

Scognamiglio: “L’Europa punisce chi vive di mare. Serve una cabina di regia stabile tra Roma e Bruxelles”

Scognamiglio: “L’Europa punisce chi vive di mare. Serve una cabina di regia stabile tra Roma e Bruxelles”

 [[{“value”:”

Dopo il comunicato diffuso nei giorni scorsi, in cui ha denunciato come “l’Unione europea ancora una volta penalizzi la pesca italiana con il prolungamento del fermo temporaneo nel Tirreno”, il presidente nazionale di UNCI AgroAlimentare, Gennaro Scognamiglio, approfondisce con Pesceinrete — in questa intervista esclusiva — le conseguenze economiche e politiche del provvedimento europeo.

Nel comunicato, Scognamiglio aveva evidenziato come solo la mediazione del Governo italiano abbia evitato che il blocco si protraesse fino al nuovo anno, consentendo la ripresa dell’attività nel mese di dicembre. Una decisione che, pur limitando i danni, lascia aperto il tema del rapporto tra Bruxelles e il comparto della pesca mediterranea, sempre più esposto a politiche uniformi e penalizzanti.

Parallelamente, il 30 ottobre scorso, UNCI AgroAlimentare ha inviato un documento ufficiale al Ministero dell’Agricoltura, alle Commissioni parlamentari competenti e alle Regioni costiere, chiedendo l’attivazione di misure di compensazione socio-economica a valere sul FEAMPA.

La proposta, legata all’attuazione del Regolamento UE 2025/219, riguarda oltre 700 unità da pesca con palangaro e reti da posta, distribuite in otto regioni italiane, e stima un fabbisogno complessivo di circa 5 milioni di euro. L’obiettivo è garantire sostegno al reddito e continuità di impresa, superando la logica emergenziale e avviando una risposta strutturale che integri sostenibilità, innovazione e coesione sociale.

In questo quadro, Scognamiglio delinea la sua visione per il futuro della pesca italiana.

Presidente, il prolungamento del fermo pesca nel Tirreno rappresenta un nuovo colpo per la flotta italiana. Qual è la reale portata economica e occupazionale di questa misura e quanto può incidere sull’equilibrio già precario delle imprese cooperative del comparto?

Il prolungamento del fermo, anche se ridotto grazie alla mediazione, resta un colpo durissimo per la nostra flotta, in particolare per le imprese cooperative. Sono oltre duemila i pescatori coinvolti e le perdite dirette si stimano in decine di milioni di euro, senza contare gli effetti sull’intera filiera: lavorazione, commercializzazione, servizi portuali e logistica.
Le cooperative e gli armatori, già alle prese con margini operativi ridotti, si trovano ora a gestire gravi tensioni di liquidità, difficoltà nel coprire i costi fissi e nel mantenere gli investimenti.
L’impatto occupazionale è pesante: migliaia di marittimi e operatori a terra sono senza stipendio, con periodi di disoccupazione forzata che minacciano la tenuta delle comunità costiere. Il rischio maggiore è la fuga dei giovani, scoraggiati da un contesto instabile e da una mancanza di prospettive.
Questo genera un effetto domino sull’intero sistema: meno prodotto fresco nei mercati, ritardi nei pagamenti e crescente dipendenza da indennizzi pubblici.

Lei parla di una deriva punitiva delle politiche comunitarie nei confronti della pesca italiana. È una mancanza di conoscenza o una precisa scelta ideologica che trascura la sostenibilità sociale?

Non è solo mancanza di conoscenza – che pure esiste – ma una scelta ideologica che guarda al Mediterraneo con schemi pensati per altre aree europee.
L’Unione europea continua ad applicare modelli di conservazione astratti, spesso calibrati sull’Atlantico, che non tengono conto delle peculiarità di un mare semichiuso, multiespecie e fortemente artigianale come il nostro.
Questo approccio ignora le buone pratiche già adottate in Italia e finisce per colpire le marinerie più fragili. La sostenibilità, invece, deve essere ambientale, economica e sociale insieme.
Oggi si tende a individuare nella pesca la causa principale del degrado marino, trascurando fattori ben più rilevanti: inquinamento terrestre, sversamenti di rifiuti e cambiamento climatico.
Non si tutela l’ambiente demolendo il tessuto sociale che lo presidia. La pesca italiana, per tradizione e necessità, è custode del mare e merita di essere riconosciuta come tale.

La mediazione del governo ha ridotto la durata del blocco e consentirà di tornare in mare a dicembre. È un segnale politico di rinnovata attenzione o un episodio isolato?

È un segnale politico importante, frutto della determinazione del ministro Lollobrigida, del sottosegretario La Pietra e della dirigenza del MASAF.
Questa mediazione dimostra che una trattativa fondata su competenze tecniche e dati scientifici può incidere sulle decisioni di Bruxelles. Ma non basta: serve una cabina di regia permanente tra Roma e Bruxelles, che riunisca rappresentanti istituzionali, scientifici e del settore, con il compito di definire una linea italiana unitaria.
Solo così potremo passare dalla logica della penalità a quella della coprogrammazione, presentando soluzioni alternative basate su selettività degli attrezzi, innovazione tecnologica, piani di gestione locali e valorizzazione della ricerca nazionale.
Il settore non chiede deroghe, ma regole equilibrate, che riconoscano le differenze territoriali e garantiscano continuità di lavoro e di reddito.

Lei ha più volte indicato le vere cause del degrado marino: inquinamento, sversamenti e cambiamento climatico. In che direzione dovrebbero cambiare le politiche ambientali europee?

Le principali cause del degrado non sono nella pesca, ma nell’inquinamento di origine terrestre, negli sversamenti chimici e plastici e negli effetti del cambiamento climatico.
Per affrontarle serve una Gestione Ecosistemica Integrata, che valuti l’impatto cumulativo di tutti i fattori e non si limiti a misurare lo sforzo di pesca.
Le priorità sono tre: investire in depurazione efficiente e gestione dei rifiuti costieri e portuali, promuovere una ricerca scientifica inclusiva e multidisciplinare, e applicare con rigore il principio “chi inquina paga”, coinvolgendo industria, agricoltura e turismo.
La pesca non può continuare a essere l’unico settore a sostenere il prezzo della conservazione ambientale. Serve equilibrio tra tutela del mare e diritto al lavoro.

Quali direttrici strategiche indica per restituire competitività alle imprese ittiche italiane e dignità sociale ai lavoratori del mare?

Le direttrici sono chiare e devono essere sostenute da scelte politiche coerenti.
Innovazione e transizione 4.0: destinare in modo mirato i fondi del FEAMPA per ammodernare attrezzature, migliorare la selettività e sostenere la transizione energetica delle imbarcazioni.
Valorizzazione della filiera: puntare su tracciabilità, certificazioni e marchi di qualità, aumentando il valore aggiunto del prodotto italiano. Le De.Co., se ben coordinate con le politiche locali, possono diventare strumenti efficaci di identità e promozione territoriale.
Formazione e ricambio generazionale: rendere il mestiere del pescatore attrattivo, sicuro e stabile, con percorsi professionali aggiornati e un sistema di welfare e previdenza adeguato.
Riconoscimento sociale: attribuire al pescatore il ruolo di custode del mare, valorizzando il contributo che già offre nella raccolta dei rifiuti marini e nella tutela dell’ambiente.

La pesca non è un problema da contenere, ma una risorsa da governare con intelligenza. Come diceva Parmenide, “Ciò che è, è.”
Il mare è eterno e generativo, ma l’essenza della pesca non è solo prelievo: è equilibrio tra necessità e limite, tra nutrimento e rispetto. Negare la pesca significa negare la vita stessa delle comunità costiere. La vera sostenibilità non è l’assenza dell’uomo, ma la sapienza del suo abitare il mare.

L’articolo Scognamiglio: “L’Europa punisce chi vive di mare. Serve una cabina di regia stabile tra Roma e Bruxelles” proviene da Pesceinrete.

“}]] ​ 

Borriello: “Serve un tavolo tecnico per garantire continuità e futuro alla flotta a strascico”

Borriello: “Serve un tavolo tecnico per garantire continuità e futuro alla flotta a strascico”

 [[{“value”:”

Dopo la conferma delle giornate di pesca per il 2025, Coldiretti Pesca guarda già al 2026 e chiede l’attivazione urgente di un tavolo tecnico per la pesca a strascico con il Ministero competente. L’obiettivo è arrivare al prossimo Consiglio Agrifish di dicembre con una posizione condivisa, in grado di tutelare la flotta nazionale senza compromettere gli obiettivi di sostenibilità ambientale.
La pesca a strascico, che assicura oltre il 70% del pescato nazionale, continua a muoversi in equilibrio tra vincoli europei e sostenibilità economica. Dopo anni segnati da aumenti dei costi, restrizioni e fermi temporanei, il settore attende una programmazione più stabile, capace di coniugare tutela dell’ambiente e continuità produttiva.
Ne abbiamo parlato con Daniela Borriello, responsabile nazionale di Coldiretti Pesca, che ha argomentato le priorità dell’associazione in vista del 2026.

Coldiretti Pesca ha chiesto l’attivazione urgente di un tavolo tecnico sulla pesca a strascico per arrivare al Consiglio Agrifish di dicembre con una posizione condivisa. Quali sono, a suo avviso, le priorità tecniche e politiche che l’Italia dovrebbe portare al tavolo europeo per tutelare la flotta nazionale senza compromettere gli obiettivi di sostenibilità ambientale?

La questione nasce dal Consiglio Agrifish di dicembre 2024, quando grazie alle misure di compensazione siamo riusciti ad azzerare la riduzione delle giornate di pesca per il 2025. Dovevamo subire un taglio del 38%, ma con l’intervento del Ministero e il nostro lavoro congiunto le giornate del 2025 sono rimaste uguali a quelle del 2024.
Con il nuovo anno il Ministero ha poi adottato le prime misure di compensazione e le abbiamo comunicate a marzo alla Commissione Europea, che però a luglio ne ha respinte alcune. A quel punto i nostri pescatori hanno potuto continuare a lavorare, ma si è reso necessario individuare soluzioni alternative. L’obiettivo ora è definire per il 2026 un sistema più razionale, che assegni a ciascuna imbarcazione un proprio quantitativo di giornate da gestire, evitando nuovi stop imposti dall’alto.

Negli ultimi anni il comparto ha dovuto affrontare aumenti dei costi di gestione, limitazioni normative e fermi temporanei che hanno inciso sulla redditività. In questo contesto, quanto è ancora sostenibile l’attività della flotta a strascico italiana e quali interventi ritiene prioritari per garantirne la continuità operativa?

L’arrivo di un ulteriore mese di fermo a novembre è stato sicuramente un problema. Le alternative, però, sarebbero state ancora più penalizzanti: da un lato la sospensione totale dell’attività fino a fine anno, dall’altro l’obbligo di aumentare la distanza minima di pesca da 3 a 4 miglia, che per le nostre imbarcazioni sarebbe insostenibile nei mesi invernali.
Dopo un confronto con le marinerie, l’ulteriore fermo di novembre è stato considerato il male minore: un mese di fermo biologico aggiuntivo, comunque retribuito come quello di ottobre. In parallelo, le Regioni hanno manifestato la disponibilità a sostenere ulteriormente le imprese attraverso i fondi FEAMPA. Non si tratta della soluzione definitiva, ma di un passaggio necessario in attesa di un sistema più equo e sostenibile.

La programmazione della pesca nel Mediterraneo è sempre più orientata alla sostenibilità, ma spesso con misure percepite come penalizzanti dalle marinerie. Quali strumenti di pianificazione o modelli gestionali potrebbero consentire di conciliare tutela ambientale e redditività, superando la logica dei fermi generalizzati?

Chiediamo di avviare un confronto tecnico vero, che porti a una gestione basata su criteri oggettivi, scientifici ma anche economici. La proposta di calcolare le giornate di pesca su base individuale per imbarcazione va proprio in questa direzione.
Ogni barca potrebbe gestire le proprie giornate in modo autonomo, pianificando l’attività in base alle condizioni meteo e al mercato, evitando fermi collettivi che penalizzano tutti indistintamente. È una richiesta di buon senso, che consente di coniugare sostenibilità ambientale e continuità produttiva.

La flotta italiana continua a ridursi, ma resta un presidio economico e sociale per molte comunità costiere. Quali leve — economiche, formative o normative — possono restituire fiducia agli operatori e favorire un ricambio generazionale stabile nel settore?

I nostri pescatori non vogliono vivere di sussidi, ma semplicemente poter lavorare. È questo il messaggio principale.
Le imprese hanno bisogno di regole chiare, di tempi certi e di una programmazione pluriennale che permetta loro di investire e di garantire un futuro ai giovani. Per questo chiediamo che il Ministero convochi quanto prima il tavolo tecnico, così da costruire insieme un modello gestionale per il 2026 che assicuri equilibrio tra ambiente, economia e occupazione.

L’articolo Borriello: “Serve un tavolo tecnico per garantire continuità e futuro alla flotta a strascico” proviene da Pesceinrete.

“}]] ​ 

Italy’s Fishing Fleet Shrinks but Still Holds the Line

 [[{“value”:”

There’s a thin line connecting the cold figures of the MASAF Annual Report on Italy’s 2024 efforts toward a sustainable balance between fishing capacity and opportunities, released on October 29.
Behind those numbers lies the fatigue of an ancient trade — resilient yet struggling to reinvent itself. The Italian fishing fleet keeps shrinking, but the sea remains its necessary horizon.

A Downsizing That’s More Than Numbers

By the end of 2024, Italy’s registered fishing vessels totaled 9,642, with a gross tonnage of 137,438 and 908,086 kW of engine power.
Few numbers, but rich in meaning: the fleet lost 73 more vessels in a single year. It’s no longer just a statistic — it’s the sign of a contracting economy, of a missing generational handover, of a profession fading without heirs.
Yet, Italian fishing still stands as a social and economic stronghold in dozens of harbors, especially in the South, where a region’s identity still beats with the rhythm of the tides.

An Aging, Energy-Hungry Heritage

More than 60% of Italian fishing boats are over thirty years old.
This snapshot reveals much more than a technical issue — it tells the story of investment difficulties, slow bureaucracy that makes replacing engines nearly impossible, and the lack of effective tools to drive innovation.
The most modern vessels operate in small-scale fishing, but trawlers, representing just 16% of all boats, still hold over half of the nation’s fishing capacity.
It’s a heavy, costly, and energy-intensive fleet, still operating in waters fragile both biologically and socially.

The South Keeps Fishing Afloat — Barely

57% of Italy’s fleet sails between Sicily, Puglia, and Campania.
The South remains the beating heart of Italian fishing, but fatigue shows clearly there.
In many coastal communities, artisanal fishing survives only through the persistence of families who have never left the sea, while younger generations look elsewhere.
In contrast, Northern Adriatic enterprises are more structured, better organized, and more adept at accessing EU funds.
Italian fishing is increasingly divided between those able to innovate — and those who, despite the will, simply cannot.

The Cost of Energy — and of Time

Fuel remains the true economic tipping point.
In 2024, price volatility directly affected profitability, forcing many vessel owners to limit their time at sea.
MASAF’s report doesn’t say it outright, but between the lines emerges a clear truth: without an energy plan for the fishing sector, ecological transition risks staying just words on paper.
The sea is expensive, and without targeted incentives for engine replacement and fuel efficiency, sustainability remains a distant horizon.

A Trade Without Heirs

The report dedicates an important section to a critical and often overlooked issue: generational turnover.
Each year, the number of fishers over fifty grows, while those under thirty decline.
Even FEAMPA funds are not enough to reverse this trend. What’s missing are technical training paths — and above all, a vision that restores dignity and modern appeal to fishing.
The Italian fleet cannot renew itself until the narrative of the sea itself is renewed.

Building the Future

MASAF’s analysis paints a complex picture, but not without hope: fishing capacity now aligns with the condition of fish stocks, showing that management efforts are working.
The challenge now is to turn biological sustainability into economic sustainability.
Italian fishing needs simpler rules, real incentives, and an industrial plan that recognizes it as part of the blue economy, not a marginal sector.
Because in 2024 — and in 2030 and beyond — one cannot speak of the Italian sea without speaking of those who live it every day.

Stay updated with the most relevant news in the seafood industry—subscribe to our weekly newsletter.

NEWSLETTER

L’articolo Italy’s Fishing Fleet Shrinks but Still Holds the Line proviene da Pesceinrete.

“}]] ​ 

Al via il Pnt 2025 -27, Agripesca presente con “custodi del mare”

Le dichiarazioni del Presidente all’avvio del Pnt

“Viviamo con orgoglio l’inizio delle attività del Programma Nazionale Triennale della pesca 2025 – 2027, cui parteciperemo con il nostro progetto Custodi del mare”; lo afferma Mario Serpillo, presidente di Agripesca.

Il PNT si propone di promuovere la sostenibilità della pesca e dell’acquacoltura attraverso un approccio integrato che unisce ricerca scientifica, innovazione tecnologica, formazione degli operatori e azioni di sensibilizzazione della società civile. “Le sfide globali come i cambiamenti climatici, l’inquinamento da microplastiche, l’acidificazione degli oceani e il sovrasfruttamento degli stock ittici – richiedono nuove strategie di gestione delle risorse marine, ed è ciò che andremo a proporre”.

Il programma proposto da Agripesca sviluppa azioni progressive che intercettano cittadini di varie età e sensibilità. Nello specifico, saranno messi in campo, laboratori didattici nelle scuole primarie, secondarie e superiori su sostenibilità, filiera ittica ed economia circolare ed anche hackathon con studenti e giovani innovatori, in collaborazione con pescatori. Prevediamo la reaòizzazione di un documentario e alcune video interviste per raccontare il ruolo dei pescatori come custodi del mare, secondo lo spirito del progetto.

Non mancheranno attività di educazione alimentare e percorsi tematici nelle scuole; svolgeremo convegni territoriali in 5 Regioni (Lazio, Campania, Calabria, Sardegna, Sicilia) e 14 città (Roma, Palmi, Sapri, Tortolì, Mazara del Vallo, Siniscola, Castellabate, Crotone, Siracusa, Catanzaro, Sciacca, Sapri, Arbatax, Trapani) tra dicembre 2025 e e settembre 2027.

Agripesca porta avanti con tutte le sue forze il messaggio che dà vita al progetto, per sostenere un nuovo modo di vivere il nostro rapporto con il Mare Nostrum, un modo finalmente integrato”, conclude Mario Serpillo.

Pagina 36 di 1689

Made with & by Matacotti Design

Privacy & Cookie Policy