Rapporto Censis-Camst: nella corsa quotidiana degli italiani, il cibo resta un rifugio

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Nella quotidianità digitalizzata e iperconnessa che caratterizza il presente, il tempo dedicato ai pasti si sta assottigliando fino a diventare un lusso. È uno dei dati più eloquenti emersi dal Rapporto Camst-Censis 2025, che indaga il nesso tra produttività digitale, qualità della vita e pratiche alimentari degli italiani. Un’analisi che, seppur generalista, offre spunti di valore per chi opera lungo la filiera del cibo, dal mare alla tavola.

Secondo il report, nei giorni feriali gli italiani dedicano in media appena 28 minuti al pranzo e 32 minuti alla cena. In tutto, un’ora al giorno. Nei weekend va un po’ meglio – 75 minuti in media – ma resta evidente una progressiva erosione del tempo dedicato a mangiare e condividere. Il paradosso? Quasi il 90% degli italiani dichiara di desiderare più tempo per la convivialità a tavola.

Questa frattura tra desiderio e pratica concreta apre una riflessione urgente, anche per il comparto ittico. Perché se il tempo si contrae, a vincere saranno i prodotti e i format che sapranno coniugare qualità, velocità e benessere. In questo scenario, la filiera del pesce ha molte carte da giocare: dalla ristorazione veloce ma di alto profilo, ai prodotti ready-to-eat sani e sostenibili, fino alle mense aziendali e agli spazi horeca concepiti come veri luoghi di benessere e relazione.

Non è un caso se l’86,7% degli occupati valuta la pausa pranzo come un momento essenziale di benessere personale e l’87,7% la collega direttamente alla produttività. È qui che si apre uno spazio strategico per la ristorazione collettiva, la trasformazione alimentare e persino la distribuzione. Il cibo diventa il tramite per migliorare la qualità del tempo vissuto, dentro e fuori il lavoro. E chi saprà presidiare questo territorio con intelligenza – selezionando referenze ittiche versatili, sicure, gratificanti – potrà distinguersi.

Non si tratta solo di intercettare una domanda latente, ma di contribuire a ripensare l’offerta alimentare come risposta concreta al malessere diffuso. Il 52,8% degli italiani ritiene che l’accelerazione digitale non abbia migliorato la propria qualità della vita. Di fronte a vite sempre più frenetiche, è il cibo il primo argine di senso e benessere. La tavola resta, per gli italiani, un luogo simbolico e reale dove recuperare centralità, gusto e relazioni.

Per il mondo ittico, significa non soltanto puntare su prodotti sani, sostenibili e buoni da mangiare, ma anche facilitarne la fruizione in contesti dove il tempo è diventato scarso. Packaging intelligenti, ricettazioni agili, educazione alimentare, ristorazione aziendale di qualità: sono tutte leve attivabili.

Il Rapporto Censis-Camst 2025 disegna un’Italia in corsa, affamata di tempo e di pause autentiche. Per il settore ittico, è un’occasione preziosa per offrire soluzioni coerenti con i nuovi bisogni: meno tempo, più qualità, più senso. Perché il cibo, anche quando si consuma in fretta, può restare un momento di benessere. A patto che sia pensato, scelto e raccontato con cura.

Riflettere su come e dove mangiamo è oggi più che mai un esercizio strategico. E chi lavora nel settore agroalimentare può – e deve – contribuire a rendere ogni minuto a tavola più significativo.

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Novità a scaffale: trionfa il salutismo. E convince giovani e senior

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Il 7,8% degli oltre 145 mila prodotti di largo consumo monitorati dal servizio Immagino di GS1 Italy Servizi non erano a scaffale nel 2023, ma vi sono arrivati tra gennaio e dicembre 2024, periodo in cui hanno contribuito per il 3,2% al fatturato totale di quest’ampio paniere. A rilevarlo è la diciassettesima edizione dell’Osservatorio Immagino di GS1 Italy1, lo studio semestrale che ha analizzato le abitudini di consumo degli italiani nel corso dell’intero anno 2024.

Il 73,6% di queste 11.343 novità riguarda il mondo alimentare: si tratta soprattutto di prodotti “rich-in” (ricchi di elementi benefici), referenze “free-from” (senza o con meno di certi ingredienti), alimenti realizzati con ingredienti tradizionali o benefici, e di prodotti con certificazioni di responsabilità sociale d’impresa (CSR).
Nel carrello dei prodotti “rich-in” monitorato dall’Osservatorio Immagino, il 9,9% dell’assortimento e il 3,1% del fatturato si devono a prodotti lanciati nel corso del 2024. Qui l’innovazione si è focalizzata su prodotti ricchi di proteine, potassio, fermenti lattici, vitamine e calcio.

Nel carrello “free from” le novità apparse nel 2024 coprono l’8,9% dell’assortimento e il 2,2% del fatturato totale, e i claim utilizzati più frequentemente sulle loro etichette sono “pochi grassi”, “poche calorie”, “senza zuccheri aggiunti”, “pochi zuccheri” e “senza conservanti”. Da sottolineare inoltre le alte percentuali di nuovi prodotti nei panieri della sicurezza alimentare che indicano l’assenza di antibiotici, residui o pesticidi. Anche l’8,1% dei prodotti per intolleranze venduti in super e ipermercati sono arrivati in vendita nel 2024, con un’incidenza maggiore per quelli “senza lattosio” (10,5%).

L’Osservatorio Immagino ha inoltre “letto” l’innovazione anche dal punto di vista del consumatore, scoprendo che il 65% delle vendite di nuovi prodotti è generato dal 30% dei loro acquirenti. Si tratta di shopper giovani (meno di 34 anni), single e con reddito medio-alto. Questi consumatori preferiscono prodotti “free from”, “rich-in”, vegani, biologici, arricchiti con semi e con caratteristiche green e di sostenibilità.
Diversi segmenti di consumatori mostrano preferenze specifiche in base ai claim e al posizionamento di prezzo. Ad esempio, i prodotti “senza zuccheri”, “fonte di proteine”, vegani e sostenibili attraggono consumatori giovani e con reddito medio-alto, mentre i prodotti “a ridotto contenuto di grassi” sono preferiti da famiglie con figli e anziani con reddito medio-basso.

Per scaricare gratuitamente la diciassettesima edizione dell’Osservatorio Immagino: osservatorioimmagino.it.
Per seguirlo sui social #OsservatorioImmagino

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Irlanda, l’acquacoltura cresce ma resta sbilanciata: salmone driver, bivalvi in affanno

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Nel 2024, l’acquacoltura in Irlanda ha registrato uno dei suoi risultati migliori degli ultimi anni, con un incremento del 25% in valore e del 6% in volume, toccando quota 211 milioni di euro. A determinare questa performance positiva è stato soprattutto il salmone, la cui produzione è cresciuta del 51%, raggiungendo le 14.000 tonnellate: un livello record, il più alto dal 2017. È quanto emerge dal rapporto The Business of Seafood 2024 dell’Ireland’s Seafood Development Agency (BIM), che fotografa con chiarezza il momento di forza – ma anche di squilibrio – del comparto.

Il dato salta subito agli occhi: da solo, il salmone continua a rappresentare il motore principale della redditività del settore, influenzando in modo determinante le prestazioni complessive anno dopo anno. Un risultato che offre prospettive incoraggianti soprattutto per le comunità costiere del Nord e dell’Ovest del Paese, dove la crescita dell’occupazione – stabile nel complesso nonostante un lieve calo del 4% – è sostenuta proprio da questo segmento produttivo.

Tuttavia, secondo BIM, il successo del salmone rischia di offuscare criticità strutturali che permangono in altre aree dell’acquacoltura irlandese. I produttori di ostriche e cozze su corda, infatti, hanno dovuto fronteggiare un anno complesso, segnato da una scarsa disponibilità di semi, elevata mortalità e mercati di esportazione deboli, in particolare verso la Francia. Nel Sud-Ovest del Paese, la comparsa dei vermi tubicoli ha ulteriormente aggravato la situazione, riducendo la commercializzazione di una parte significativa della produzione.

Le cozze di fondale hanno offerto una parziale eccezione, facendo segnare un aumento del 39% in valore grazie a prezzi favorevoli e migliori rese. Tuttavia, anche in questo caso, le prospettive per i prossimi due anni restano incerte: le carenze nei semi di cozze nel biennio 2023–2024 fanno prevedere una contrazione della produzione a breve termine.

BIM, nel suo rapporto, invita a guardare oltre il salmone, delineando un obiettivo strategico chiaro: costruire un settore dell’acquacoltura più bilanciato, in cui bivalvi, alghe e nuove specie possano affiancare la produzione principale senza subirne le fluttuazioni. Per questo, l’Agenzia continua a supportare il comparto con programmi mirati e sovvenzioni, nella convinzione che l’accesso stabile a semi e la tenuta delle condizioni ambientali siano fattori imprescindibili per garantire una crescita sana e sostenibile.

Il caso irlandese – per chi osserva il panorama europeo – offre più di un semplice bilancio annuale. È un richiamo alla necessità, anche altrove, di diversificare le produzioni, consolidare filiere vulnerabili, e progettare modelli che sappiano resistere alle fluttuazioni del mercato e ai cambiamenti climatici. Una logica industriale lungimirante, che guarda oltre le cifre dell’anno in corso, e che può ispirare nuove strategie anche per i territori che puntano sull’acquacoltura come risorsa economica e occupazionale.

Il boom del salmone ha rilanciato l’acquacoltura in Irlanda nel 2024, ma le fragilità delle produzioni di bivalvi impongono una riflessione strategica. L’equilibrio tra specie, l’accesso a risorse biologiche e la resilienza delle filiere restano le chiavi per uno sviluppo sostenibile e duraturo.

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Internet advertising e retail media: un orizzonte da esplorare per la filiera ittica

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Il mercato pubblicitario italiano sta vivendo una stagione di rinnovato dinamismo. Secondo i dati dell’Osservatorio Internet Media del Politecnico di Milano, nel 2024 ha raggiunto quota 11,1 miliardi di euro (+8% su base annua), trainato in larga parte dall’internet advertising, che da solo vale oggi la metà del totale e continua a crescere a doppia cifra.

In questo contesto di accelerazione digitale, si affacciano scenari che potrebbero trasformare anche le logiche di comunicazione delle filiere agroalimentari, compresa quella ittica, spesso rimasta ai margini delle dinamiche pubblicitarie evolute. Tra i modelli emergenti, il retail media nel settore ittico si profila come un’opportunità concreta, sebbene ancora poco esplorata.

La pubblicità dove si compra

Il retail media, in sintesi, è la pubblicità che si attiva direttamente nei canali di vendita, fisici o digitali. È il contenuto sponsorizzato che si inserisce nella piattaforma eCommerce di una catena GDO, il banner tra i risultati di ricerca di un marketplace, la promozione integrata nell’esperienza d’acquisto.

Non si tratta semplicemente di visibilità. Il vero valore risiede nella possibilità di raggiungere l’utente nel momento esatto in cui sta per acquistare, sfruttando dati di prima parte, profilazione contestuale e metriche di performance dettagliate. È un cambio di paradigma che sta ridefinendo il ruolo dei retailer: non più meri distributori, ma attori editoriali capaci di monetizzare gli spazi digitali e abilitare comunicazioni personalizzate.

Un modello ancora acerbo, ma strategico

Se nei mercati anglosassoni il retail media rappresenta già una voce significativa negli investimenti pubblicitari, in Italia il fenomeno è ancora agli inizi. Tuttavia, le proiezioni per il 2025 parlano chiaro: l’eCommerce advertising crescerà del +13%, proprio grazie alla spinta del retail media.

Per chi opera nella filiera ittica — dai produttori ai trasformatori, dai consorzi alle imprese che forniscono la GDO — questo modello apre spazi di manovra nuovi, tanto sul piano commerciale quanto su quello strategico. Promuovere un prodotto ittico ready-to-eat direttamente sul sito di un’insegna distributiva, oppure nei risultati interni di un grande marketplace, significa unire comunicazione, posizionamento e vendite in un’unica azione coordinata.

Video e audio, contenuti che convertono

Il successo del retail media è legato anche alla qualità dei formati. Nel 2025, si stima che il video advertising digitale supererà i 2,4 miliardi di euro, attestandosi al 41% dell’intero internet advertising. Il contenuto video, se ben realizzato, si conferma il mezzo più efficace per raccontare l’origine, la lavorazione e la sostenibilità di un prodotto ittico.

Parallelamente, cresce anche l’audio advertising (+15% nel 2025), supportato dall’adozione crescente di podcast, musica e audiolibri su piattaforme gratuite. Anche in questo caso, la sfida è creativa: integrare il messaggio commerciale in modo coerente, non invasivo, ma rilevante.

Misurabilità, dati e ritorno sull’investimento

L’elemento di maggiore interesse per le imprese è la possibilità di misurare le performance in modo puntuale. Il retail media permette di accedere ai dati comportamentali degli utenti — sempre nel rispetto della privacy — e ottimizzare le campagne in tempo reale.

Per una piccola o media impresa ittica, questo può significare allocare meglio le risorse di marketing, capire quali referenze funzionano su quali canali, in quale momento dell’anno, con quale formato. È una rivoluzione silenziosa, ma profonda.

Il retail media nel settore ittico non è ancora una realtà strutturata, ma rappresenta uno scenario credibile e ricco di potenziale. Chi saprà sperimentare oggi, anche con piccoli budget, sarà in grado domani di occupare posizioni di vantaggio nei nuovi ecosistemi digitali della distribuzione alimentare.

La comunicazione commerciale non può più essere disgiunta dalla logica dei dati e della misurazione. L’advertising non è più solo un costo, ma un investimento misurabile e integrabile nella strategia complessiva d’impresa.

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Primi segnali di svolta? L’Italia in affanno sui volumi, ma i prezzi tengono

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Nel primo trimestre del 2025, secondo gli ultimi dati pubblicati da EUMOFA, le vendite del pescato italiano hanno registrato una flessione significativa nei volumi. Si parla di una contrazione del 14% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, accompagnata da un calo del 9% in valore. Un segnale che, letto superficialmente, potrebbe destare preoccupazione. Tuttavia, un’analisi più approfondita offre spunti preziosi per la filiera.

Il dato grezzo parla chiaro: tra gennaio e marzo sono stati commercializzati 11.430 tonnellate di prodotto, per un valore complessivo di 58,26 milioni di euro. Marzo in particolare ha visto una riduzione dei volumi del 21% e un calo del valore del 24% rispetto allo stesso mese del 2024. Le specie più colpite? Acciuga, gamberi, sogliola e scampo. Ma non è tutta una frenata.

In un contesto europeo dove molti Paesi registrano contrazioni anche più severe – basti pensare a Germania e Svezia – l’Italia mostra una certa resilienza in termini di valore medio per chilo. E nonostante i numeri in calo, l’interesse per alcune referenze ad alto valore aggiunto, come lo scampo o la sogliola, resta stabile. È una chiave di lettura che suggerisce come la filiera italiana, nonostante le difficoltà strutturali, mantenga un posizionamento commerciale interessante, soprattutto su segmenti premium.

A spingere verso il basso i volumi ci sono diversi fattori: condizioni meteo avverse, fluttuazioni dei prezzi del gasolio marittimo e difficoltà operative legate alle normative ambientali. Ma il calo di offerta potrebbe, paradossalmente, rappresentare un’occasione per ripensare le strategie. Lavorare su stagionalità, qualità e tracciabilità può rendere l’offerta più attrattiva anche nei confronti della GDO e dell’Horeca, che sempre più ricercano storie di prodotto oltre alla mera disponibilità quantitativa.

Un altro aspetto rilevante riguarda la logistica e la programmazione della distribuzione: in un contesto di scarsità, chi riesce ad anticipare i fabbisogni o a proporre alternative valide, anche da acquacoltura o da produzioni estere certificate, può guadagnare quote di mercato. È un momento in cui il dato, se ben interpretato, può diventare leva strategica.

La flessione delle vendite del pescato italiano nel primo trimestre 2025 non è solo un segnale d’allarme, ma anche un’opportunità per ripensare le dinamiche della filiera. Puntare sulla qualità, differenziare l’offerta e investire in programmazione potrebbero fare la differenza in un mercato sempre più competitivo e selettivo.

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