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Halloween è finito, ma nel mare i fantasmi restano. Invisibili, silenziosi e devastanti, gli attrezzi da pesca abbandonati o perduti — reti, nasse, lenze, trappole — continuano a imprigionare e uccidere pesci, crostacei, tartarughe e mammiferi marini per anni. È il fenomeno della pesca fantasma, conosciuto a livello internazionale come ghost fishing, una delle forme di inquinamento marino più insidiose e persistenti.
Secondo FAO e UNEP, ogni anno finiscono in mare oltre 600.000 tonnellate di attrezzi da pesca. Una volta dispersi, questi strumenti non vengono più recuperati e continuano a esercitare la loro funzione di cattura in modo incontrollato. Gli animali che vi rimangono intrappolati muoiono senza mai essere recuperati, contribuendo così alla perdita di biodiversità e alla degradazione degli ecosistemi marini.
Si tratta di pesca sprecata, non di risorsa. Nessun beneficio economico, solo danno ambientale.
Nel Mediterraneo, dove la pressione di pesca è tra le più elevate al mondo, la pesca fantasma rappresenta una minaccia crescente. Le reti si impigliano tra le rocce, sui relitti e tra le praterie di posidonia, trasformandosi in trappole permanenti. Spostate dalle correnti, continuano a uccidere a ogni movimento.
Il problema è aggravato dal fatto che i materiali sintetici moderni — nylon, polietilene, polipropilene — si degradano molto lentamente, fino a centinaia di anni, rilasciando microplastiche che contaminano acqua e sedimenti.
Un impatto che va oltre l’ambiente
Il fenomeno del ghost fishing non riguarda solo la conservazione marina.
Ogni attrezzo perduto rappresenta anche un danno economico indiretto per chi vive di pesca: riduce la disponibilità di stock, altera la produttività e aumenta i costi legati alla manutenzione e al recupero.
Secondo la FAO, le perdite ecologiche dovute agli attrezzi abbandonati possono equivalere, in alcune aree del mondo, fino al 30% delle catture potenziali, cioè risorse biologiche distrutte e sottratte alla filiera.
C’è poi un aspetto reputazionale.
In un comparto che negli ultimi anni ha investito molto in sostenibilità, tracciabilità e innovazione, la presenza di reti fantasma sul fondo del mare è una contraddizione che pesa sull’immagine del settore.
Affrontare la pesca fantasma significa anche difendere la credibilità di una filiera che del mare vuole essere custode, non carnefice.
Recuperare per rigenerare
Nel Mediterraneo e in Italia sono attive diverse iniziative per contrastare il fenomeno.
Il progetto Ghost Med, coordinato da ISPRA, monitora le aree più colpite e coordina operazioni di recupero con il supporto di subacquei professionisti.
L’organizzazione Healthy Seas lavora con pescatori e ONG per recuperare le reti abbandonate e rigenerarle in filato ECONYL, una fibra di nylon riciclata impiegata nella moda, nel design e nella produzione industriale.
Anche i FLAG (Fisheries Local Action Groups) italiani stanno promuovendo progetti di prevenzione e sensibilizzazione, installando punti di raccolta nei porti e incentivando la corretta gestione degli attrezzi dismessi.
Laddove i pescatori vengono coinvolti attivamente, i risultati sono immediati: meno attrezzi dispersi, più consapevolezza, maggiore tutela del mare.
Prevenire resta la chiave: una rete che non viene perduta non dovrà mai essere recuperata.
La risposta dell’Unione Europea
L’Unione Europea ha riconosciuto la pesca fantasma come una priorità ambientale.
Il Regolamento (UE) 2019/904 sulla plastica monouso estende la responsabilità del produttore agli attrezzi da pesca, imponendo ai fabbricanti di contribuire ai costi di raccolta e riciclo.
Il FEAMPA 2021–2027 finanzia interventi per migliorare la gestione dei rifiuti marini, sviluppare infrastrutture portuali di conferimento e sostenere tecnologie di tracciabilità.
Resta però un nodo cruciale: la necessità di una filiera stabile del recupero.
Le iniziative locali, pur virtuose, non bastano se non inserite in un sistema logistico e normativo uniforme.
Occorrono protocolli standard, centri di raccolta permanenti e incentivi che rendano la prevenzione e il recupero parte integrante dell’attività di pesca.
Solo così la pesca fantasma potrà essere davvero contrastata, non semplicemente attenuata.
Dal problema all’opportunità
Ogni attrezzo recuperato racconta una storia di impatto, ma anche di rinascita.
Le reti rigenerate diventano nuovi prodotti, e ciò che prima soffocava il mare si trasforma in risorsa.
È la prova che l’economia circolare può trovare nel settore ittico una delle sue applicazioni più concrete.
Halloween è finito, ma nel mare i mostri restano.
Affrontare la pesca fantasma non è un gesto simbolico, ma un dovere collettivo.
Significa difendere la biodiversità, la sicurezza alimentare e il futuro stesso di una filiera che dal mare trae vita e valore.
L’articolo Passato Halloween, i veri mostri restano: la lunga ombra della pesca fantasma proviene da Pesceinrete.
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