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Negli allevamenti si usano sostanze ormonali per favorire la riproduzione dei pesci. Una scelta tecnica che porta vantaggi, ma che merita attenzione per le sue implicazioni ambientali e sanitarie.
Quando si parla di pesce allevato, si pensa spesso alla qualità dell’alimentazione, alla provenienza o alla sostenibilità dell’allevamento. Pochi sanno, però, che in molti impianti di acquacoltura vengono utilizzati ormoni sintetici per stimolare la riproduzione dei pesci. Si tratta di sostanze che imitano gli ormoni naturali, tra cui il più usato è un analogo del GnRH, l’ormone che regola l’attività riproduttiva.
Questa pratica è comune in allevamenti di orate, branzini, salmoni e altre specie, dove serve a indurre artificialmente la maturazione sessuale, facilitando la produzione di uova e spermatozoi.
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In natura, i pesci si riproducono in periodi precisi dell’anno, seguendo i cicli stagionali. In un allevamento, però, questa tempistica può creare difficoltà: lunghi tempi d’attesa, difficoltà nel sincronizzare la produzione e imprevedibilità nei risultati.
Gli allevatori, per ovviare a questi limiti, ricorrono quindi a iniezioni ormonali che “spingono” i riproduttori ad attivare il processo riproduttivo anche fuori stagione. Questo consente una maggiore programmazione delle nascite, ottimizzando i tempi e migliorando la resa economica dell’allevamento.
Questi ormoni non vengono somministrati ai pesci da macellare, ma solo ai riproduttori. Non si accumulano nei tessuti muscolari, cioè la parte che normalmente si mangia.
Quando le pratiche vengono eseguite correttamente e in conformità con le normative europee, non c’è alcun rischio noto per la salute umana. Tuttavia, i problemi possono nascere in caso di irregolarità allorquando si fa uso scorretto dei dosaggi, mancato rispetto dei tempi di sospensione o impiego di prodotti non autorizzati. In questi casi, esiste il rischio che residui ormonali possano rimanere nel pesce.
L’uso di ormoni nell’acquacoltura può avere ripercussioni anche sugli ecosistemi acquatici, soprattutto se i pesci trattati o le acque di scarico non vengono gestiti correttamente. Alcuni studi hanno segnalato che tracce di ormoni rilasciate nell’ambiente potrebbero interferire con la riproduzione di altre specie, alterando il delicato equilibrio degli habitat marini.
C’è poi un aspetto etico da considerare: forzare i pesci alla riproduzione può causare loro stress fisiologico, ed è importante che ogni intervento sia il più possibile rispettoso del loro benessere.
In un’epoca in cui la domanda di pesce è in costante crescita e le risorse del mare si fanno sempre più scarse, l’acquacoltura può rappresentare una soluzione. Ma deve essere una soluzione intelligente, etica e responsabile.
Tuttavia, i consumatori, hanno il diritto di essere informati e pretendere che la filiera del pesce sia trasparente, tracciabile e controllata. Solo così si può garantire un’alimentazione sicura e sostenibile, nel rispetto dell’ambiente e del benessere animale.
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L’articolo Pesci e ormoni: quello che c’è da sapere sull’acquacoltura moderna proviene da Pesceinrete.
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