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C’è chi lo descrive come un “frankenfish” allevato in vasche segrete, chi lo immagina saturo di mercurio e coloranti artificiali. Poi c’è la realtà: il salmone d’allevamento fa bene alla salute ed è oggi uno degli asset più strategici della filiera ittica globale. Lo dicono le analisi nutrizionali, le autorità sanitarie internazionali e, soprattutto, i numeri di un mercato che cresce perché dietro c’è molto più di quanto le polemiche virali lascino intendere.
In un contesto dove il consumo di proteine animali è al centro di dibattiti ambientali, etici e sanitari, il salmone d’allevamento offre una combinazione rara: apporto elevato di omega-3 EPA e DHA, proteine complete ad alta biodisponibilità e un profilo di sicurezza alimentare costantemente monitorato. In 100 grammi si trovano 20-22 grammi di proteine di qualità, con tutti i nove amminoacidi essenziali. Tradotto: sostanza vera, non slogan salutistici.
Sul fronte sicurezza, le principali autorità mondiali, dall’EFSA alla FDA, lo collocano nella lista delle “migliori scelte” per consumo settimanale. I livelli di mercurio? Molto bassi, ben al di sotto dei limiti di sicurezza. Un dato che dovrebbe chiudere, una volta per tutte, le teorie complottiste sul pesce “pieno di metalli pesanti”. Quanto al colore, non è un artificio cosmetico: è il risultato dell’astaxantina, un carotenoide naturale presente nella dieta dei salmoni allevati per replicare il profilo nutrizionale di quelli selvatici.
A livello globale, Norvegia e Cile guidano la produzione con standard di allevamento sempre più avanzati, dall’uso di mangimi a base vegetale per ridurre la pressione sugli stock selvatici, fino alle tecnologie per il monitoraggio del benessere animale in tempo reale. Questo non solo riduce l’impatto sugli ecosistemi marini, ma garantisce un approvvigionamento costante e programmabile, elemento cruciale per una domanda in crescita.
Per il settore ittico, il salmone allevato è anche un laboratorio di innovazione: filiere corte, tracciabilità digitale, sistemi di acquacoltura a ricircolo (RAS) e sperimentazioni di allevamenti offshore in aree ad alta energia. Innovazioni che, se applicate con rigore, possono diventare un modello replicabile anche per altre specie di valore commerciale.
La questione non è quindi “selvatico o allevato?”, ma come garantire che l’allevamento continui a produrre un pesce sicuro, nutriente e sostenibile. Perché l’alternativa, nella maggior parte dei casi, non è il “salmone puro di fiume”, ma la riduzione dell’accesso globale a fonti proteiche di qualità.
Dietro la narrativa facile c’è un settore complesso, fatto di scelte tecnologiche, controlli rigorosi e investimenti a lungo termine. Il salmone d’allevamento non è il compromesso: è una risposta concreta a una domanda che cresce e a una sfida globale che riguarda tutti, dalla filiera alla tavola.
Il dibattito è aperto: come si può comunicare meglio il valore reale del salmone d’allevamento senza cadere nelle semplificazioni?
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L’articolo Salmone d’allevamento: dal gossip alimentare alla scienza, la verità che non fa rumore proviene da Pesceinrete.
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