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In Sicilia esiste una legge regionale sulla subacquea – la n. 7 del 2016 – che rappresenta un unicum in Italia. Disciplina per la prima volta i percorsi formativi della subacquea industriale secondo standard internazionali riconosciuti, come IDSA e IMCA. Ma se sulla carta costituisce un modello legislativo d’eccellenza, nella realtà è rimasta in larga parte inapplicata, con conseguenze che vanno ben oltre il comparto della formazione professionale. A essere penalizzata è anche una parte importante della filiera ittica: l’acquacoltura offshore.
Lo evidenzia un’interrogazione parlamentare presentata all’Assemblea Regionale Siciliana dall’on. Vincenzo Figuccia (Prima l’Italia – Lega). Il deputato denuncia l’assenza di attuazione di molti articoli del regolamento attuativo (D.P.Reg. n. 31/2018): dal portale informativo pubblico ai descrittori in lingua inglese, dalle card identificative ai collegamenti con il database europeo delle qualifiche. Il risultato è che operatori subacquei formati e certificati secondo la normativa siciliana non vengono valorizzati né promossi, con un danno potenziale per settori che richiedono queste competenze ogni giorno.
Tra questi, l’acquacoltura marina avanzata. Le gabbie galleggianti e i sistemi di allevamento offshore richiedono interventi subacquei regolari per ispezioni, riparazioni, ancoraggi, raccolta dati e monitoraggio ambientale. Secondo il manuale tecnico FAO Aquaculture Operations in Floating HDPE Cages (2005), “la presenza di operatori subacquei esperti è essenziale per garantire la funzionalità, la biosicurezza e la durata degli impianti”. Anche l’Unione Europea, nella comunicazione “Strategic guidelines for a more sustainable and competitive EU aquaculture” (2021), richiama la necessità di rafforzare le competenze tecniche in ambito offshore, tra cui quelle subacquee.
A livello aziendale, realtà come Galaxidi Marine Farm in Grecia o Nordlaks in Norvegia impiegano squadre di subacquei formati per attività quotidiane di supporto agli allevamenti. Il legame tra subacquea e acquacoltura non è teorico, ma operativo.
In Sicilia, però, questo legame resta invisibile. Eppure il “Repertorio telematico della subacquea industriale”, già previsto dalla norma, conta oltre 160 operatori registrati, provenienti anche da Paesi del Mediterraneo (Libia, Tunisia, Grecia, Cipro). Figure che, se valorizzate, potrebbero costituire un vantaggio competitivo per tutte le imprese siciliane coinvolte nella blue economy.
La cronaca recente ha riportato alla ribalta il tema della sicurezza. Il decesso di un subacqueo olandese al largo di Porticello, durante operazioni di recupero marino, ha sollevato interrogativi sulle certificazioni professionali degli operatori. Secondo quanto segnalato da fonti politiche, l’uomo non possedeva qualifiche compatibili con immersioni a quelle profondità. Un tragico esempio che rafforza l’urgenza di rendere pienamente operative norme già esistenti.
La formazione subacquea industriale in Sicilia, se correttamente applicata, potrebbe non solo ridurre i rischi per chi lavora in profondità, ma diventare un asset strategico per settori in forte espansione come l’acquacoltura offshore e il monitoraggio ambientale marino.
La mancata attuazione della legge regionale sulla subacquea industriale non è solo un’occasione persa sul piano formativo. Impatta direttamente sulla sicurezza operativa e sulla competitività del comparto acquacoltura, ostacolando uno sviluppo integrato della blue economy siciliana.
Per costruire un sistema ittico competitivo, serve una filiera subacquea certificata, visibile e pienamente riconosciuta. La normativa c’è: ora va attuata.
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L’articolo Subacquea industriale e acquacoltura: una filiera sommersa proviene da Pesceinrete.
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