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La scena è semplice: un telefono sul tavolo, la conversazione che scivola tra gusti diversi, il menù che scorre sullo schermo e quel momento quasi solenne in cui si clicca su “ordina”. Non è più una soluzione dell’ultimo minuto, né un ripiego per chi torna tardi da lavoro. Con una media di 1,5 ordini a settimana, il delivery è entrato nella vita degli italiani come un gesto quotidiano, un rituale ormai radicato nella socialità tanto quanto le serate fuori o le cene in casa. E dentro questo nuovo rito, il pesce – soprattutto nelle sue forme contemporanee – ha trovato uno spazio privilegiato.
Il delivery come specchio della vita reale
L’ultimo Osservatorio Just Eat, realizzato con Toluna su un campione rappresentativo di 1.000 italiani, descrive un panorama chiaro: ordinare a domicilio non è più una questione di comodità, ma di identità.
C’è chi sceglie un poke per sentirsi leggero e in sintonia con il proprio benessere; chi opta per il sushi come simbolo di apertura al mondo; e chi, in piena onestà, sceglie semplicemente ciò che lo fa stare bene. Il delivery diventa così una lente che ingrandisce emozioni, dinamiche sociali, relazioni familiari e piccoli momenti di piacere quotidiano.
Il 92% degli ordini avviene in compagnia: in coppia, in famiglia, tra amici. E se per la Gen Z è quasi un rito collettivo – spesso con ordini diversi pur di accontentare tutti – la Gen X tende a rimanere fedele ai propri riferimenti, ai locali “di sempre”. In ogni caso, la consegna a domicilio è diventata un modo per ritagliarsi del tempo: condiviso quando si può, solitario quando serve.
Dentro le scelte: gusto, umore, estetica
La motivazione primaria resta il gusto. Ma non è l’unica.
Il desiderio di qualcosa che sazi, l’estetica del piatto, perfino l’umore del momento orientano la decisione. E c’è un fenomeno sempre più evidente: la ricerca di una esperienza sensoriale completa, che coinvolga vista, tatto… e soprattutto udito.
Negli ultimi anni è esplosa la tendenza ASMR (Autonomous Sensory Meridian Response): un interesse crescente per i suoni del cibo, che genera un piacere quasi fisico. Il rumore della tempura che si spezza, la croccantezza di un tacos di pesce, il taglio netto di un sashimi ben affilato o il fruscio del riso che si compatta nella mani dello chef: sono dettagli che, per una fascia sempre più ampia di consumatori, rendono il pasto più coinvolgente.
E non è un fenomeno marginale. Secondo le ultime rilevazioni, quasi un quinto degli italiani presta attenzione alle texture e oltre il 20% si lascia influenzare dall’estetica sonora e visiva del piatto. Il pesce – tra crostacei croccanti, fritti leggeri e tartare delicate – si presta particolarmente bene a questo nuovo modo di vivere il cibo.
La scelta, poi, passa per criteri molto pragmatici: velocità della consegna, costi e prezzo. E se per la Gen X chiamare per ordinare non è un problema, Millennials e Gen Z considerano le app l’unico canale accettabile.
L’onda lunga del pesce: sushi, poke e nuove abitudini
Se c’è un settore che ha trovato nel delivery un acceleratore potente, è quello del pesce.
Il sushi è ormai una presenza stabile nelle classifiche delle cucine più ordinate in Italia: non è solo una tendenza, ma una forma di consumo che ha ridisegnato l’immaginario gastronomico urbano. A questo si aggiunge il boom del poke, dei piatti freddi ready-to-eat, delle tartare, dei filetti cotti a bassa temperatura e degli affumicati premium.
Il pesce è diventato il simbolo di un’alimentazione percepita come sana, moderna, sostenibile. E il delivery ha svolto un ruolo determinante nel renderlo accessibile anche a chi, fino a pochi anni fa, avrebbe considerato impossibile ordinare a domicilio una porzione di salmone marinato o un nigiri ben fatto.
Parallelamente, le cloud kitchen hanno permesso a ristoratori e imprenditori del settore ittico di testare nuovi format senza rischi eccessivi: cucine dedicate solo al delivery che sfornano piatti di mare pensati per arrivare a tavola nella forma migliore possibile.
Quando il delivery diventa performance
Non tutti, però, vivono il delivery a carte scoperte. Quasi quattro italiani su dieci confessano di aver spacciato almeno una volta un piatto ordinato per una propria creazione casalinga.
Le lasagne o la pasta al forno sono i travestimenti più gettonati: piatti credibili, ma impegnativi. E se qualcuno chiede la ricetta, parte la manovra diversiva: sorriso, pausa strategica, nuovo argomento. Il resto lo fa il profumo che invade la cucina.
Anche qui il pesce ha un suo spazio, soprattutto nei piatti più “da effetto”: una tartare perfetta, una crema di salmone lavorata alla perfezione, un taco di tonno ben equilibrato. Preparazioni che richiedono manualità e sicurezza in cucina: terreno fertile per il camouflage gastronomico.
Un ecosistema ormai maturo
La ricerca conferma un dato che vale anche per tutto l’universo ittico: il delivery non è più un servizio. È un ecosistema culturale, emotivo ed economico. Un luogo dove si incrociano:
- tecnologia e logistica avanzata,
- nuove forme di consumo e di socialità,
- scelte alimentari più consapevoli,
- e un mercato in crescita costante (stimato da Grand View Research in aumento da 1,3 miliardi di dollari nel 2024 a 1,8 miliardi nel 2030).
Il pesce viaggia perfettamente dentro questa trasformazione.
Perché racconta uno stile di vita, si presta alla sperimentazione, dialoga con la sostenibilità, ed è ormai parte integrante di un rituale settimanale che milioni di italiani vivono senza più alcun senso di eccezionalità.
Il delivery oggi è questo: un modo ordinario – e profondamente umano – di mettere in tavola ciò che ci rappresenta. Anche quando a cucinarlo non siamo noi.
L’articolo Il rito del delivery e il ruolo crescente del pesce nelle abitudini degli italiani proviene da Pesceinrete.
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