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Nel dibattito sulla transizione ecologica, l’attenzione si concentra spesso su tecnologie e investimenti. Molto più raramente si guarda alla leva fiscale come strumento di sostenibilità. Eppure, secondo uno studio di Benedetta Coluccia e Pasquale Sasso per l’Osservatorio Agrifood Tech & Innovation dell’Università Digitale Pegaso, una parte della svolta verde potrebbe nascere proprio lì: nelle regole che governano le imposte.
L’idea è tanto semplice quanto dirompente.
E se le imposte non fossero soltanto un meccanismo per finanziare la spesa pubblica, ma un mezzo per orientare le scelte economiche e sociali? È l’approccio della fiscalità mission-oriented, ispirato alle teorie dell’economista Mariana Mazzucato, secondo cui gli Stati possono usare il fisco per perseguire obiettivi collettivi. Coluccia e Sasso portano questa prospettiva nel campo della Blue Economy, dimostrando che anche la leva fiscale può stimolare innovazione e pratiche sostenibili, se pensata come parte di una strategia di sviluppo e non solo come vincolo contabile.
Un caso esemplare: il potenziale nascosto delle ostriche
Per spiegare la loro visione, i ricercatori scelgono un esempio inatteso: l’ostricoltura italiana. Un comparto piccolo nei numeri, ma ricchissimo di significato. Le ostriche non sono soltanto un alimento pregiato. Ogni esemplare filtra litri d’acqua ogni ora, depura i fondali, riduce l’inquinamento e favorisce la biodiversità marina. Ogni allevamento, di fatto, rappresenta una piccola infrastruttura ecologica vivente.
Eppure il fisco italiano non riconosce questo valore. Le ostriche sono tassate con un’IVA al 22 per cento, la stessa dei beni di lusso. In Francia, Portogallo o Paesi Bassi l’aliquota oscilla tra il 6 e il 10 per cento. La differenza non è banale: in Italia si producono circa 300 tonnellate l’anno, contro le oltre 90 mila della Francia. Il risultato è che una filiera potenzialmente strategica per l’ambiente e per l’economia costiera rimane ai margini.
Sebbene ancora limitata nei volumi di produzione, l’ostricoltura italiana rappresenta una piccola eccellenza del Made in Italy. Le produzioni si distinguono per qualità, tracciabilità e valore gastronomico, con un valore unitario tra i più alti al mondo, calcolato in rapporto tra prezzo medio di mercato e quantità prodotta. Un primato che riflette l’elevato posizionamento qualitativo del prodotto e la reputazione costruita attorno alle coste italiane, dove la purezza delle acque e le tecniche di allevamento sostenibili fanno dell’ostrica un simbolo di eccellenza agroalimentare.
Nonostante ciò, il sistema fiscale non riconosce né l’impatto ambientale positivo né il valore economico e identitario di questo prodotto. Secondo lo studio, una riduzione dell’IVA – prevista dalla Direttiva europea 2022/542 per i prodotti con valore ambientale – non rappresenterebbe un privilegio, ma un atto di coerenza. Significherebbe riconoscere fiscalmente il contributo positivo dell’ostricoltura alla qualità delle acque e alla salute degli ecosistemi. E trasformare una tassa in uno strumento di politica industriale, capace di premiare chi genera valore collettivo.
Verso una fiscalità blu
La proposta di Coluccia e Sasso non si limita al caso delle ostriche. Indica un nuovo modo di pensare la fiscalità: un sistema capace di integrare economia e ambiente, premiando comportamenti virtuosi e disincentivando pratiche dannose. Una fiscalità “blu”, in grado di accompagnare la transizione ecologica senza scaricarne i costi sui cittadini o sulle imprese più fragili.
Nel loro lavoro, i ricercatori immaginano anche la creazione di un Osservatorio nazionale sulla fiscalità e la Blue Economy, per raccogliere dati, valutare l’impatto delle politiche fiscali e guidare le scelte di governo. Accanto a questo, propongono l’istituzione dell’OysterTech – Blue Resilience Lab, un laboratorio di innovazione dedicato allo sviluppo tecnologico dell’acquacoltura sostenibile. Due strumenti che, insieme, potrebbero aiutare l’Italia a superare la frammentazione delle politiche ambientali e a costruire una governance più coerente della sostenibilità.
Dietro la proposta c’è una convinzione precisa: la fiscalità può essere una leva di competitività, non solo di correzione. Un sistema di imposte orientato a obiettivi ambientali può generare valore pubblico, stimolare ricerca e investimenti, creare occupazione qualificata e attrarre capitale umano. In questo senso, il fisco diventa parte integrante della strategia industriale del Paese.
Dal mare un modello per la crescita sostenibile
Il caso delle ostriche non è dunque un episodio isolato, ma il simbolo di un possibile cambiamento di paradigma. L’Italia, con i suoi ottomila chilometri di coste, un patrimonio marino tra i più ricchi d’Europa e una tradizione di eccellenze produttive, ha tutte le condizioni per guidare la svolta blu del continente. Ciò che serve è una visione che connetta fiscalità, innovazione e sviluppo territoriale.
Nel mondo post-Green Deal, la sostenibilità non è più una voce di spesa, ma una scelta economica. La fiscalità blu rappresenta una delle chiavi per tradurre questa idea in pratica. Riconoscere fiscalmente il valore dei servizi ecosistemici significa rendere la sostenibilità un vantaggio competitivo e non un onere.
Come scrivono Coluccia e Sasso, “la fiscalità non è un vincolo, ma una leva di cambiamento”. Una leva che può spingere il Paese verso un modello di crescita più intelligente, più giusto e più coerente con i tempi. Forse il futuro della Blue Economy italiana parte proprio da qui, da un’ostrica che da lusso diventa simbolo di rigenerazione.
L’articolo Fiscalità blu: come le ostriche possono insegnare all’Italia una nuova idea di sostenibilità e competitività proviene da Pesceinrete.
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