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Emergenza Mar Rosso: il Vice Presidente Confitarma Cesare d’Amico in diretta su Il Sole 24 Ore

Emergenza Mar Rosso: il Vice Presidente Confitarma Cesare d’Amico in diretta su Il Sole 24 Ore

Il Vice Presidente di Confitarma Cesare d’Amico è intervenuto oggi in diretta alla puntata della trasmissione Morning call de Il Sole 24 Ore dedicata all’Emergenza Houthi sul Mar Rosso.

Ospiti, moderati da Marco Lo Conte, anche il Presidente di Assoporti Rodolfo Giampieri, il Presidente di Assarmatori Stefano Messina, il Direttore del Master in Economia e management dei Trasporti, della Logistica e delle Infrastrutture dell’Università Bocconi Oliviero Baccelli e il giornalista del Sole 24 Ore Raoul De Forcade.

Al centro del confronto le potenziali conseguenze e i rischi della guerra sulle rotte commerciali verso Suez.

Cesare d’Amico ha ricordato come il fenomeno della pirateria e, conseguentemente, quello della sicurezza degli equipaggi e dei traffici, sia centrale nelle attività di Confitarma, anche grazie al lavoro svolto dal Gruppo di Lavoro Cyber/Maritime Security da lui presieduto.

“Nel 2007 il primo attacco da parte dei pirati somali è stato effettuato a una nostra nave, la Cielo di Parigi, per fortuna non abbordata. Da lì in poi abbiamo seguito tutta l’evoluzione del fenomeno e, grazie al grande contributo della Marina Militare e dei Governi italiani, siamo riusciti a incrementare la sicurezza a bordo in varie aree del mondo”, ha sottolineato d’Amico.

“Oggi la situazione è purtroppo diventata più complessa”, ha aggiunto d’Amico, ripercorrendo sinteticamente la storia della pirateria marittima e gli effetti sui traffici globali.

Nel 2007 il pericolo era rappresentato dai barchini di pirati che cercavano di attaccare le navi a 90-120 miglia dalla costa. Allora abbiamo dovuto allargare la rotta, deviarla, pur se non con grande impatto.

Poi abbiamo assistito anche a navi che sono state attaccate in pieno Oceano Indiano con barchini portati da falsi pescherecci.

Con l’Operazione Atalanta e la possibilità di imbarcare personale armato a bordo – nel caso italiano prima i Nuclei Militari di Protezione e oggi i contractor privati – siamo riusciti a limitare, e praticamente azzerare, attacchi e sequestri delle navi, ma abbiamo mantenuto alta l’attenzione, tant’è che le navi mercantili, tra cui quelle del Gruppo d’Amico per esempio, continuano sempre a transitare con protezione a bordo, quando le navi passano nel Mar Rosso e procedono nell’Oceano indiano.

Ora, con questa situazione, molte navi militari si sono spostate per presidiare il Mar Rosso, attualmente indicato come zona più pericolosa, ma gli attacchi più recenti di pirateria stanno avvenendo nell’Oceano Indiano oppure nel Golfo di Guinea, dove le navi devono stare in sosta, aspettare diversi giorni, a volte settimane prima di andare a scaricare.

La problematica, quindi, non riguarda solo il Mar Rosso e si sta allargando.

“Speriamo che si riesca a trovare una soluzione, innanzitutto diplomatica, che possa dare più certezza ai traffici in transito di questa area, fermo restando che il Canale di Suez è assolutamente vitale”, ha ribadito d’Amico, sottolineando che laddove non c’è la circumnavigazione, l’aumento dei costi è essenzialmente concentrato sugli aspetti assicurativi che continuano a variare all’evolversi della situazione, come non c’è stato nel 2021 con l’episodio dell’incaglio dell’Ever Given, quando l’aumento dei prezzi era di carattere speculativo.

“Non dimentichiamoci” – ha proseguito d’Amico – “che altri due fattori hanno reso questa rotta ancora più importante e delicata in questo momento.

1) L’embargo sull’importazione di prodotti raffinati dalla Russia: prima circa un 30% del traffico di raffinati veniva dal nord della Russia e arrivava direttamente in Nord Europa. Da quando c’è stato l’embargo, tutti i prodotti raffinati vengono in parte dagli Stati Uniti o dal Golfo Persico o, addirittura, dalle raffinerie del Mar Rosso. 

Il Canale di Suez diventa quindi ancora più essenziale ed anche da questo è derivato l’aumento di traffico registrato nel 2023. 

2) La riduzione del pescaggio nel Canale di Panama, a causa della siccità, che consente transiti inferiori e che obbliga molte navi a cambiare rotta. Alcune di queste si sono indirizzate proprio verso Suez”.

“Ringraziamo la Marina Militare e il Governo italiano” – ha concluso Cesare d’Amico – “che hanno risposto con immediata tempestività alle richieste di Confitarma e degli armatori inviando Nave Fasan nel Mar Rosso, supportandoci come sempre con grandissima professionalità.

Proprio due nostre navi, insieme ad una posacavi di Prysmian, sono state scortate a Capodanno nella rotta verso Suez, dando ancora maggiore tranquillità all’ottimo lavoro che viene già svolto dai nostri equipaggi”.

RIVEDI LA PUNTATA INTEGRALE QUI: https://stream24.ilsole24ore.com/video/mondo/emergenza-houthi-mar-rosso-conseguenze-e-rischi-guerra-rotte-commerciali-suez/AFt37mIC

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FAO-GFCM: un piano di gestione coordinato per promuovere il recupero della popolazione di anguille nel Mediterraneo

FAO-GFCM: un piano di gestione coordinato per promuovere il recupero della popolazione di anguille nel Mediterraneo

Il futuro dell’anguilla (Anguilla anguilla), una specie iconica molto apprezzata anche nella cucina mediterranea, è attualmente a rischio. Ma un piano di gestione che prevede, ogni anno, una parziale chiusura della pesca dell’anguilla, il divieto assoluto della pesca ricreativa dell’anguilla e la creazione di una rete di monitoraggio per individuare misure di gestione efficaci, potrebbe contribuire a invertire questa tendenza.

Le anguille sono in pericolo critico, esposte a minacce come i cambiamenti climatici, la perdita di habitat, l’inquinamento e la pesca eccessiva lungo le loro rotte migratorie, che hanno origine nel Mar dei Sargassi e raggiungono varie destinazioni, dal Mediterraneo all’Europa settentrionale. Nel 2020, la migrazione delle giovani anguille fino agli habitat di acqua dolce, che rappresenta una fase cruciale del loro ciclo vitale, ha raggiunto il minimo storico.

Adeiano Deiana (eel fisher) supports researchers in the survey

La Commissione generale per la pesca nel Mediterraneo (CGPM) dell’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura (FAO) è intervenuta lanciando un approfondito programma di ricerca in nove paesi del Mediterraneo tra il 2020 e il 2022.

I risultati di questo lavoro, pubblicati nel rapporto L’ Anguilla nel Mar Mediterraneo: Risultati del programma di ricerca della CGPM (disponibile solo in lingua inglese), forniscono una panoramica dettagliata della pesca dell’anguilla, degli habitat e delle caratteristiche biologiche ed ecologiche degli stock locali. Offrono, inoltre, uno sguardo esaustivo sulle attuali misure di gestione e conservazione e propongono una valutazione basata su modelli delle misure fondamentali.

Il rapporto ha individuato nelle lagune uno degli habitat essenziali per le anguille nel Mar Mediterraneo. Queste aree, tuttavia, sono interessate da importanti criticità, tra cui i cambiamenti climatici, la pressione della pesca e l’inquinamento.

La perdita degli habitat, la scarsa qualità delle acque e l’inquinamento sono evidenti anche in altre zone di riferimento per le anguille, tra cui fiumi ed estuari.

Lo studio ha appurato, inoltre, che alcune delle numerose misure di gestione della pesca adottate, come i periodi di chiusura e i divieti di pesca legati ai diversi stadi vitali dell’anguilla, erano poco armonizzate e spesso non sufficientemente allineate alle condizioni locali.

Il declino delle anguille ha conseguenze negative per i pescatori, che registrano un calo esponenziale delle catture.

Prima di me, qui pescava mio padre e anche mio nonno. Tutti peschiamo per guadagnare da mangiare. Purtroppo, adesso, si pesca pochissimo. Una volta, si pescava tanto,” racconta Adriano Deiana, un pescatore di anguille sardo.

Il declino di questa risorsa sta anche inducendo i pescatori ad abbandonare il proprio lavoro, con una conseguente perdita delle conoscenze tradizionali e delle forme di gestione e salvaguardia dell’ambiente garantite dai pescatori stessi.

Un piano di gestione coordinato per il recupero

Questa situazione allarmante richiede un intervento a più livelli.

Per preservare l’anguilla, gli habitat che ospitano i suoi cicli di vita e i mezzi di sussistenza che questa specie garantisce, è necessario intervenire con misure di tutela su tutti i fronti: biologico, ambientale e socioeconomico,” ha dichiarato Elisabetta Betulla Morello, tra gli autori del rapporto e Funzionario per le risorse della pesca della CGPM. “Per individuare e mettere in atto misure adeguate, non solo per gestire la pesca, ma anche per proteggere l’ambiente e il contesto socioeconomico che ruota attorno a questa specie, è indispensabile collaborare,” ha aggiunto.

Basandosi sulle misure transitorie già in atto dal 2021 e sui risultati del programma di ricerca, nel 2022, la CGPM ha adottato un piano di gestione pluriennale per l’anguilla nel Mar Mediterraneo, che prevede una parziale chiusura della pesca delle anguille per sei mesi all’anno, con opzioni alternative per l’applicazione di tale provvedimento. Il piano, inoltre, impone un divieto totale e permanente sulla pesca ricreativa dell’anguilla in tutti gli stadi vitali (cieca, anguilla gialla e anguilla argentina) e in tutti gli habitat, dall’acqua dolce all’acqua salmastra, fino all’acqua marina. Tali misure sono state rafforzate nel 2023, con l’adozione di ulteriori interventi precauzionali per la protezione dell’anguilla cieca.

Un’altra parte fondamentale del piano è la creazione di una rete di monitoraggio costituita da pescatori e scienziati di tutto il Mediterraneo, con il compito di individuare misure di gestione efficaci, concepite per situazioni specifiche e messe in atto da tutti i soggetti interessati. Sono già stati organizzati workshop tra pescatori, scienziati e amministratori, che hanno condiviso casi studio e buone pratiche con lo scopo di replicarli altrove.

Esplorare gli impatti socioeconomici: la seconda fase del programma di ricerca

La prossima fase del programma di ricerca prevede, tra le altre cose, la realizzazione di uno studio socioeconomico, che contribuirà anche ad alimentare le banche dati esistenti sugli habitat e a raccogliere informazioni utili per valutare le misure di gestione.

L’obiettivo finale è garantire la conservazione della specie e preservare il patrimonio della pesca artigianale delle comunità costiere del Mediterraneo.

CREDITI FOTO ©FAO/Claudia Amico

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Allarme moria delle vongole nell’Adriatico: per la Commissione Europea potrebbe essere il non buono stato ecologico

Allarme moria delle vongole nell’Adriatico: per la Commissione Europea potrebbe essere il non buono stato ecologico

Il 26 ottobre è stata presentata dall’europarlamentare Massimo Casanova una interrogazione parlamentare, al Parlamento europeo, con richiesta di risposta scritta dal titolo “Moria diffusa e anomala di vongole nel mar Adriatico”.

“Dalla fine di luglio scorso, è stato riscontrato un esteso fenomeno di moria di vongole, iniziato già in primavera. L’ultima segnalazione giunge dal Molise, dove il settore quantifica in circa l’80% l’entità di tale fenomeno. Va altresì segnalato che il ciclo della riproduzione naturale della specie, negli ultimi due anni, è stato molto scarso, se non irrilevante. I pescatori della zona, al fine di non compromettere il futuro del comparto, hanno messo in atto una diminuzione volontaria dei giorni lavorativi previsti, che alla fine del mese di agosto ammontano a solo 16 giorni per tutto l’anno in corso. Dopo aver osservato il periodo di due mesi di fermo pesca obbligatorio (non retribuito) previsto dalle norme di legge, i pescatori hanno anche attuato un ulteriore mese di fermo volontario, dal 15 settembre al 15 ottobre scorsi. Tutto ciò non ha cambiato la situazione e la moria non accenna a diminuire”.

Il 4 gennaio è giunta la risposta scritta di Virginijus Sinkevičius a nome della Commissione europea.

“Nel 2023 la temperatura superficiale del Mare Adriatico è stata superiore rispetto alla media a lungo termine e gli elevati scarichi fluviali (dovuti alle forti precipitazioni) hanno ridotto la salinità costiera all’inizio dell’estate. Tali variazioni dei parametri oceanografici potrebbero costituire fattori di stress ambientale aggiuntivi per le vongole. Non sono stati notificati alla Commissione livelli eccezionali di mortalità di vongole in altre zone negli ultimi mesi.

Ai sensi della direttiva quadro sulla strategia per l’ambiente marino, gli Stati membri sono tenuti a mettere in atto strategie per l’ambiente marino per conseguire un buono stato ecologico, garantendo in tal modo che le acque dell’UE e le specie che esse ospitano siano in buono stato di salute. Le strategie dovrebbero essere elaborate sulla base di 11 “descrittori”, che comprendono pesci e molluschi sfruttati a fini commerciali, tra cui le vongole.

L’ultima relazione disponibile sulle acque italiane del Mare Adriatico (programma di misure) si basa su informazioni raccolte prima del 2023 e non affronta la questione della recente moria di vongole.

La precedente relazione disponibile indica che nelle acque italiane del Mare Adriatico non è stato raggiunto il buono stato ecologico in relazione a questo descrittore.

La prossima relazione sullo stato dell’ambiente marino dovrebbe essere trasmessa alla Commissione entro il 15 ottobre 2024.

Il regolamento relativo al Fondo europeo per gli affari marittimi, la pesca e l’acquacoltura (FEAMPA) consente agli Stati membri di attivare, nell’ambito dei loro programmi FEAMPA, interventi di protezione e stabilizzazione del reddito delle imprese acquicole attraverso compensazioni e regimi assicurativi. Inoltre nell’ambito di tali programmi gli Stati membri possono anche fornire sostegno all’acquacoltura che fornisce servizi ambientali e a interventi che garantiscano la salute e il benessere degli animali nell’acquacoltura”.

Massimo Casanova

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Piano di gestione dei piccoli pelagici per il rilancio della pesca in Campania

Piano di gestione dei piccoli pelagici per il rilancio della pesca in Campania

Individuare soluzioni efficaci alla crisi che ha colpito il settore della pesca di alici e sardine in Campania, migliorando le condizioni degli stock ittici e tutelando gli operatori. E’ questo il principale obiettivo del progetto “Piano di gestione dei piccoli pelagici”, promosso dall’Unci AgroAlimentare, in collaborazione con Confcooperative, Agci e Federpesca, finanziato dalla Regione, con i fondi del programma Feamp dell’Unione europea.

Piano di gestione dei piccoli pelagici: se ne parlerà il 15 gennaio a Napoli

Gli esiti del lavoro svolto sul campo dalle associazioni di settore, insieme ai pescatori e ai tecnci impegnati nelle azioni, saranno presentati durante l’evento conclusivo del progetto, che si terrà a Napoli, lunedì 15 gennaio, dalle 10,30 alle 13,30, presso il Grand Hotel Oriente, in via Armando Diaz, 44, alla presenza dei protagonisti delle iniziative, dei dirigenti delle organizzazioni coinvolte e dei vertici di Palazzo Santa Lucia.

Nonostante i piccoli pelagici rappresentino il prodotto ittico più importante del comparto in Italia, che caratterizza soprattutto la piccola pesca costiera, a basso impatto ambientale, e costituiscano un alimento dalle significative qualità nutrizionali, acquistabile a prezzi contenuti, la crisi che ha coinvolto il segmento, generata dalla riduzione delle catture e della taglia dei pesci, ha reso necessaria la redazione di un piano di gestione.

La definizione di una strategia di intervento, quindi, non poteva che prendere le mosse da un monitoraggio sullo stock ittico, per la raccolta scientifica di informazioni quantitative e qualitative ad esso inerenti, con ricercatori dell’Università Parthenope di Napoli, che si è concentrato su Cilento, Golfo di Salerno, Golfo di Napoli, Golfo di Gaeta.

A fianco ai campionamenti biologici, alle rilevazioni acustiche e al processamento dei dati, si è provveduto alla mappatura delle imbarcazioni che operano con rete a circuizione meccanica e rete “menaide” nell’area campana, alla formazione dei pescatori e alla costruzione di una rete di “facilitatori territoriali”. Un articolato percorso che si è concluso con la stesura di un piano di gestione dei piccoli pelagici.

Piano di gestione dei piccoli pelagici: le dichiarazioni di Unci AgroAlimentare

“Per l’Unci AgroAlimentare – ha sottolineato il presidente nazionale dell’associazione di settore del mondo cooperativistico, Gennaro Scognamiglio – è stato un notevole impegno di energie, dalla fase progettuale a quella attuativa, volto alla piena riuscita ed affidabilità del piano di gestione, con il più ampio coinvolgimento degli addetti ai lavori e delle loro rappresentanze campane, consapevoli dell’importanza dell’obiettivo prefissato e delle ricadute che ha per il futuro di un segmento fondamentale della pesca, che attraversa una fase delicata, e che soprattutto in Campania, alimenta anche attività della filiera di trasformazione dei prodotti, rinomati per la loro qualità e tipicità. Non possiamo quindi che esprimere apprezzamento alla Regione, per l’attenzione dimostrata e per il sostegno concreto fornito al progetto, che potrà costituire l’asse portante di una strategia istituzionale di intervento, ispirata a criteri di sostenibilità”.

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Cooperazione decisiva per la sostenibilità e la salvaguardia di agricoltura e pesca

Cooperazione decisiva per la sostenibilità e la salvaguardia di agricoltura e pesca

«A causa dei cambiamenti climatici, dell’invasione delle specie aliene e dell’antropizzazione, il settore agricolo e quello agro-alimentare saranno soggetti ad un generale calo delle capacità produttive, con una probabile diminuzione delle caratteristiche qualitative dei prodotti. Ma le cooperative sono pronte a fare le loro parte per salvare un settore così importante per l’uomo».

A dirlo è Cristian Maretti, presidente nazionale di Legacoop Agroalimentare, nel commentare il Pnacc (Piano Nazionale di Adattamento ai Cambiamenti Climatici) approvato dal ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica (Mase) Gilberto Pichetto Fratin.

Maretti si dice «soddisfatto del Piano», e sottolinea come «la nostra associazione e le cooperative che vi aderiscono da anni hanno fatto della sostenibilità (ambientale, economica e sociale) il loro obiettivo principale. Sia per il segmento dell’agricoltura, sia della pesca». Per Maretti, infatti, «la cooperazione, proprio per le sue caratteristiche intrinseche, di modello di integrazione lungo tutta la filiera, è in prima linea per lavorare per un mondo più sostenibile dove l’agricoltura e la produzione del cibo giocano un ruolo fondamentale. Sentiamo la responsabilità verso le nuove generazioni molto preoccupate e attente al valore della sostenibilità».

Quello appena approvato dal Mase è, come ha detto il ministro Pichetto Fratin, «un passo importante per la pianificazione e l’attuazione di azioni di adattamento ai cambiamenti climatici nel nostro paese». In quelle che sono le finalità del piano, ovvero «contenere la vulnerabilità dei sistemi naturali, sociali ed economici agli impatti dei cambiamenti climatici e aumentarne la resilienza», l’agricoltura è chiamata a svolgere un ruolo determinante.

Certo, continua Maretti, «non possiamo giocare questa sfida da soli. Sappiamo dell’importanza del valore agroalimentare e delle produzioni dei nostri territori, abbiamo riscoperto la bellezza di vivere in un paese ricco di biodiversità e di prodotti di alta qualità. La cooperazione è impegnata anche nella nuova sfida della sostenibilità ambientale, insieme a quella sociale ed economica. Ma la sostenibilità ha un costo ed è inimmaginabile che questo debba ricadere completamente nell’anello debole della filiera, quello primario».

Il Pnacc evidenzia come la combinazione di cambiamenti climatici e abbandono delle aree rurali e forestali, se non affrontato correttamente, porta al problema degli incendi, alla siccità, alla mancanza di fertilità dei suoli. «Occorre ricerca per ridurre i prodotti fitosanitari e antibiotici e sostituirli con altri altrettanto efficaci, accessibili e sostenibili. Occorre lavorare sulle Tea per tutelare la nostra biodiversità con varietà resistenti al cambiamento climatico e agli attacchi di nuove malattie. Abbiamo bisogno di introdurre innovazione e di fare aggregazione, di costruire una filiera sempre più solida», continua Maretti. E proprio per questo «la cooperazione ha un ruolo determinante, propositiva con proposte per essere protagonista grandi mutamenti. La cooperazione per evitare di andare verso un’agricoltura che rischia di veder smarrire la quantità prodotta e i redditi».

Un ruolo importante sono chiamate a svolgerlo la foreste per la capacità che hanno di attutire gli effetti di caldo torrido e piogge torrenziali sempre più frequenti. «In questo campo le cooperative forestali di Legacoop Agroalimentare hanno dimostrato di essere soggettio particolarmente virtuosi visto il successo nei bandi di filiera con progetti multiregionali che puntano alla valorizzazione di nuove filiere e al rilancio della vivaistica forestale», spiega Maretti.

A risentire dei cambiamenti climatici saranno le colture in termini di resa, ma anche di qualità sia per l’agricoltura sia per l’allevamento, e come riduzione del valore della produzione aggregata che è stata stimata dal Pnacc pari a 12,5 miliardi di euro nel 2050. «Il cambiamento climatico rappresenta un fattore di rischio e quindi non possiamo non trovare soluzioni che coinvolgano tutti gli attori. Un ruolo che la cooperazione vuole continuare a svolgere da protagonista come ha sempre fatto da almeno 20 anni».

Pesca e cambiamenti climatici

Non è immune dagli effetti neppure la pesca dove si prevedono cali della produttività e della consistenza e distribuzione delle risorse sfruttate, ma soprattutto danni irreparabili agli ecosistemi. La vicenda tristemente nota del granchio blu è solo un esempio degli effetti devastanti del cambiamento climatico. «È necessario continuare con il lavoro che Legacoop Agroalimentare ha intrapreso di valorizzare la ricerca universitaria e metterla al servizio del settore con proposte legate alla multifuzionalità come il pescaturismo e l’ittiturismo», conclude Maretti.

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