Categoria: Pesce In Rete Pagina 13 di 1121

Italian fish and tourism: a missing connection

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In 2024, tourists in Italy spent over €23 billion on dining, a figure that calls for a rethink of the relationship between Italian fish and tourism. According to “The Tourism Power of Dining” report, presented on 8 October 2025 at TTG Rimini by FIPE-Confcommercio and Sociometrica, restaurant spending generated €11 billion in added value across more than 3,300 municipalities, with international tourism accounting for over 67% in the top ten destinations.

The report highlights dining as a key economic and cultural driver of tourism but does not explore its links with production chains—especially fisheries, which form the foundation of Italian cuisine. This gap opens an urgent reflection: how to turn tourist demand into value for coastal communities.

According to Ossermare, in 2023 Italy’s fishing fleet fell by 1% to 11,684 vessels, while production dropped by 9.1% in volume and 4.6% in value. Biologically, FAO-GFCM data show that the share of overexploited stocks in the Mediterranean and Black Sea remains below 60%—a decline, yet still high.

Tourism fuels fish consumption, but the restaurant industry struggles to showcase domestic catches. The result is a market that rewards availability over origin: on tourist tables, Italian seas are too often replaced by imported fish.

Building short supply chains, partnerships between fishing communities and restaurateurs, efficient coastal logistics, and transparent communication about origin are essential. Integrating Italian fish with tourism means keeping value in local economies, supporting sustainable fisheries, and strengthening the authenticity of Italy’s gastronomic image.

As long as the sea remains invisible in the tourism narrative, Italy will keep celebrating its cuisine without restoring its true essence.

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Ristorazione turistica da 23 miliardi, ma il pesce italiano resta fuori dal menu

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Nel 2024 i turisti in Italia hanno speso oltre 23 miliardi di euro in ristorazione, un dato che impone di ripensare il rapporto tra pesce italiano e turismo. Il Rapporto “Il potere turistico della ristorazione”, presentato l’8 ottobre 2025 al TTG di Rimini da FIPE-Confcommercio con Sociometrica, stima 11 miliardi di valore aggiunto generato in oltre 3.300 comuni, con il turismo internazionale che nei primi dieci centri pesa per oltre il 67%.

Il documento mette in luce la ristorazione come motore economico e culturale del turismo, ma non affronta i legami con le filiere produttive, a partire da quella ittica, che rappresenta una delle basi della cucina italiana. È qui che si apre una riflessione necessaria: come trasformare la domanda turistica in valore per chi vive di mare.

Secondo Ossermare, nel 2023 la flotta peschereccia italiana è scesa dell’1% a 11.684 imbarcazioni; nello stesso periodo la produzione ha registrato una contrazione del 9,1% in volume e del 4,6% in valore. Sul piano biologico, la FAO-GFCM indica che la quota di stock sovrasfruttati nel Mediterraneo e Mar Nero resta sotto il 60%, in calo ma ancora elevata.

Il turismo alimenta la domanda di pesce, ma la ristorazione fatica a valorizzare il pescato nazionale. Il risultato è un mercato che premia la disponibilità continua più della provenienza: sulle tavole delle mete turistiche il mare italiano è spesso sostituito da pesce d’importazione.

Servono filiere corte, accordi tra marinerie e ristoratori, logistiche costiere e comunicazione trasparente sulla provenienza. Integrare pesce italiano e turismo significa trattenere valore nelle comunità, sostenere la pesca sostenibile e dare coerenza all’immagine gastronomica dell’Italia.

Finché il mare resterà invisibile nel racconto turistico, l’Italia continuerà a celebrare la propria cucina senza restituirle la sua verità.

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UE-Groenlandia 2025-2030, accordo di pesca in equilibrio tra interessi e sostenibilità

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Nel panorama globale della pesca, l’accordo di pesca UE-Groenlandia è diventato uno strumento essenziale per la presenza marittima dell’Unione europea nell’Artico. Firmato il 12 dicembre 2024 e valido fino al 2030, rinnova una cooperazione iniziata nel 1985 e oggi centrale tanto per la politica marittima quanto per la sicurezza alimentare e la stabilità geopolitica.

L’8 ottobre 2025, davanti al Parlamento europeo, il premier groenlandese Jens-Frederik Nielsen ha ribadito che “la Groenlandia ha bisogno dell’Unione europea e l’Unione europea ha bisogno della Groenlandia”. Un’affermazione che sintetizza il senso dell’intesa: una partnership fondata su interdipendenza economica, sostenibilità e sicurezza nell’area artica.

Un protocollo strategico e multilivello

Il nuovo protocollo dell’accordo di partenariato per una pesca sostenibile (SFPA) definisce un contributo annuale complessivo di 17,3 milioni di euro, di cui 14,1 milioni per i diritti di accesso delle flotte europee e 3,2 milioni destinati al sostegno del settore ittico groenlandese. In cambio, l’UE ottiene la possibilità di pescare fino a 30.906 tonnellate annue di specie come merluzzo, scorfano demersale, ippoglosso e gambero boreale.

Si tratta di un accordo di natura strategica: oltre alla pesca, la Groenlandia è un partner chiave dell’UE anche per le risorse minerarie e la transizione energetica. Tuttavia, il settore ittico resta la principale fonte di reddito per l’isola, con pesce e crostacei che rappresentano oltre il 90% del valore delle esportazioni verso il mercato europeo.

Il Parlamento europeo ha approvato l’intesa con 616 voti a favore, 29 contrari e 36 astensioni, definendola un accordo “geopolitico e sostenibile”, ma richiedendo monitoraggi rigorosi per evitare pressioni sugli stock. L’accordo, già applicato in via provvisoria, diventerà pienamente operativo con la ratifica finale da parte del Consiglio.

Governance e sostenibilità nel cuore dell’intesa

Il protocollo si inserisce nel quadro più ampio degli SFPA, accordi che garantiscono l’accesso regolamentato alle risorse ittiche di Paesi terzi in cambio di contributi economici e cooperazione tecnica. L’obiettivo è assicurare che le attività di pesca europee nelle acque groenlandesi rispettino le raccomandazioni scientifiche e contribuiscano allo sviluppo locale.

I fondi destinati al “sostegno settoriale” finanzieranno progetti di ricerca, formazione, controllo marittimo e infrastrutture, in linea con la politica nazionale della pesca del governo di Nuuk. La priorità dichiarata è rafforzare le capacità delle comunità costiere e ridurre la dipendenza economica da pochi grandi operatori industriali.

Il protocollo introduce anche meccanismi di revisione annuale delle quote in base ai pareri scientifici, consentendo di ridurre le catture in caso di variazioni dello stato degli stock. È previsto inoltre un sistema di tracciabilità condiviso per garantire la piena trasparenza delle catture.

Le criticità e le implicazioni per l’Europa

Non mancano le perplessità. Alcuni analisti e membri del Parlamento europeo hanno segnalato che le quote fissate per alcune specie, in particolare halibut e capelin, potrebbero risultare elevate rispetto ai limiti biologici di sicurezza. La Commissione europea ha chiarito che le quantità potranno essere ridotte se i dati scientifici lo renderanno necessario.

Un altro nodo è rappresentato dagli scambi di quote tra UE, Norvegia e Islanda, previsti dagli accordi di gestione congiunta del Nord Atlantico. Pur legittimi, questi meccanismi richiedono un alto livello di trasparenza per evitare distorsioni competitive o differenze negli standard ambientali.

Il premier Nielsen ha inoltre chiesto una riflessione sul divieto europeo dei prodotti derivati dalle foche, ritenendo che penalizzi ingiustamente la cultura Inuit e le economie locali. Bruxelles, pur mantenendo la normativa, ha riconosciuto la necessità di un dialogo più ampio sul rapporto tra tutela ambientale e tradizioni artiche.

Per la filiera ittica europea, e indirettamente per quella italiana, l’accordo potrebbe incidere sulle dinamiche di mercato. L’aumento delle importazioni di pesce bianco e crostacei groenlandesi potrebbe influenzare i prezzi e spingere verso una maggiore attenzione alla certificazione di sostenibilità, richiesta sempre più spesso da GDO e trasformatori.

Una sfida di credibilità per l’Europa

L’accordo di pesca UE-Groenlandia 2025-2030 rappresenta un test di credibilità per la politica marittima europea. È un’intesa che unisce dimensione commerciale, ambientale e geopolitica in una regione cruciale per il futuro dell’oceano.

Il suo successo dipenderà dalla capacità di applicare realmente i principi di sostenibilità e cooperazione scientifica, evitando che le ambizioni politiche si traducano in uno sfruttamento eccessivo delle risorse. In un Artico in rapido cambiamento, il dialogo tra Bruxelles e Nuuk potrà diventare un modello virtuoso o un banco di prova fallito della governance blu europea.

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Vongole da 22 millimetri, l’Italia difende la sua deroga in Europa

Vongole da 22 millimetri, l’Italia difende la sua deroga in Europa

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L’Italia è pronta a difendere la deroga sulle vongole da 22 millimetri, una misura che consente alle flotte nazionali di pescare molluschi più piccoli rispetto agli standard europei. L’iniziativa è sostenuta dal Partito Democratico, attraverso l’eurodeputato Giuseppe Lupo, componente della commissione pesca del Parlamento europeo, e Camilla Laureti, responsabile nazionale del partito per pesca e agricoltura.

Entrambi hanno ribadito la necessità di sostenere la proroga della deroga introdotta dal Regolamento delegato (UE) 2022/2587, che consente all’Italia, fino al 31 dicembre 2025, di continuare a pescare vongole con taglia minima di 22 millimetri nelle sottozone marittime nazionali 9, 10, 17 e 18. Si tratta di un’eccezione al limite generale dei 25 millimetri applicato nel resto d’Europa, concessa sulla base del parere positivo del Comitato scientifico, tecnico ed economico per la pesca (STECF).

Secondo Lupo, la proroga non rappresenta un vantaggio competitivo ma un adeguamento necessario alle condizioni ambientali dei nostri mari. “Le variazioni climatiche e la presenza crescente del granchio blu mettono a dura prova la produttività e l’equilibrio ecologico dell’Adriatico – ha spiegato –. In questo contesto la deroga garantisce continuità economica e sostenibilità sociale per centinaia di operatori”.

Le parole dell’eurodeputato siciliano arrivano in un momento delicato, perché il dibattito europeo sulla proroga oltre il 2025 è già cominciato e trova l’opposizione di alcuni Paesi, in particolare della Spagna, che temono distorsioni di concorrenza sul mercato comunitario dei molluschi. Madrid spinge per un ritorno alla soglia uniforme dei 25 millimetri, ritenendo che ogni deroga nazionale indebolisca la coerenza delle politiche europee in materia di pesca sostenibile.

La sopravvivenza del comparto molluschicolo

Per l’Italia, invece, la questione è strettamente legata alla sopravvivenza del comparto molluschicolo. Le marinerie adriatiche e tirreniche, soprattutto quelle di Chioggia, Goro, Comacchio e Ancona, sostengono che senza la deroga la produzione calerebbe fino al 30 per cento, con ricadute economiche e occupazionali pesanti. Il Ministero dell’Agricoltura e della Sovranità alimentare, che già nel 2023 ha adottato un piano di gestione nazionale per la specie Venus gallina, continua a monitorare le catture e a valutare l’impatto ecologico della misura.

Le analisi dello STECF, che hanno accompagnato il regolamento del 2022, indicano che la pesca con taglia minima di 22 millimetri non compromette la riproduzione dello stock, a condizione che siano rispettati i limiti di sforzo e che il prelievo avvenga in aree soggette a continuo ricambio naturale. Tuttavia, gli esperti avvertono che eventuali proroghe dovranno basarsi su dati aggiornati e verificabili, per evitare di compromettere il principio di precauzione sancito dalla Politica comune della pesca.

In questo scenario, la battaglia di Lupo e Laureti assume un valore politico più ampio: da un lato difendere un’economia costiera in difficoltà, dall’altro dimostrare che le deroghe possono convivere con la sostenibilità ambientale. La posta in gioco è alta, e la decisione che la Commissione europea dovrà assumere nei prossimi mesi avrà effetti diretti sulla gestione delle risorse nel Mediterraneo e sulla tenuta economica di uno dei settori simbolo della pesca italiana.

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Rinnovato fino al 2029 il protocollo UE–Costa d’Avorio sulla pesca del tonno

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Il Parlamento europeo ha approvato in via definitiva il nuovo protocollo che regola la pesca del tonno in Costa d’Avorio fino al 5 giugno 2029. L’intesa, già applicata provvisoriamente dal 6 giugno 2025, definisce diritti, obblighi e contributi finanziari per entrambe le parti, proseguendo un partenariato avviato oltre trent’anni fa.

Cosa prevede il protocollo

Il protocollo consente a 32 imbarcazioni europee – 25 tonniere con reti a circuizione e 7 pescherecci con palangari di superficie, provenienti da Spagna, Francia e Portogallo – di pescare fino a 6.100 tonnellate di tonno e altre specie migratorie ogni anno nelle acque ivoriane. In cambio, l’Unione europea verserà 740.000 euro l’anno, di cui 305.000 euro per i diritti di accesso e 435.000 euro destinati a sostenere lo sviluppo di una pesca sostenibile in Costa d’Avorio.

I fondi contribuiranno a rafforzare la governance del settore, migliorare le competenze scientifiche e amministrative e potenziare le infrastrutture, in particolare nel porto di Abidjan, snodo essenziale per la filiera del tonno in Africa occidentale. Saranno inoltre finanziati progetti di formazione e di sostegno alla pesca artigianale e all’acquacoltura.

Gli armatori dell’Unione pagheranno 80 euro per tonnellata di pescato nei primi due anni e 85 euro negli ultimi due. Le tonniere verseranno un anticipo annuale di 12.000 euro per licenza nei primi due anni e di 12.750 euro nei successivi, mentre i palangari di superficie pagheranno 4.000 euro fino al 2027 e 4.250 euro negli ultimi due anni del protocollo.

L’accordo prevede l’istituzione di un Comitato misto UE–Costa d’Avorio incaricato di monitorare l’attuazione del protocollo, assegnare i fondi e verificare la conformità agli obiettivi strategici. Entrambe le parti si impegnano a rafforzare i controlli, lo scambio di dati e la lotta alla pesca illegale, non dichiarata e non regolamentata, in linea con le raccomandazioni della Commissione internazionale per la conservazione dei tonnidi dell’Atlantico (ICCAT).

La flotta europea

Per la flotta europea, il protocollo garantisce continuità operativa e certezza giuridica in un’area di pesca storicamente rilevante per l’approvvigionamento di tonno. Per la Costa d’Avorio, rappresenta un’opportunità concreta per consolidare le competenze locali e migliorare la sostenibilità del settore, a condizione che i fondi vengano gestiti con trasparenza e utilizzati per ridurre la dipendenza economica da operatori esterni.

Approvato con 520 voti favorevoli, 97 contrari e 12 astensioni, il protocollo si inserisce nella rete di Accordi di Partenariato per una Pesca Sostenibile (SFPA) che l’Unione mantiene con diversi Paesi africani. Si tratta di strumenti bilaterali che legano l’accesso alle risorse ittiche a impegni concreti in materia di sostenibilità, controllo e rispetto dei diritti dei lavoratori a bordo.

Il relatore Ton Diepeveen ha definito l’accordo “equilibrato e reciprocamente vantaggioso”, sottolineando che garantisce opportunità ai pescatori europei e contribuisce alla sicurezza alimentare e alla resilienza economica della Costa d’Avorio.

La pesca del tonno in Costa d’Avorio resta così una componente strategica della politica comune della pesca europea, ma anche un banco di prova per valutare la coerenza tra sviluppo sostenibile e interessi economici. Nei prossimi quattro anni, la sfida sarà tradurre l’accordo in risultati misurabili, mantenendo l’equilibrio tra tutela degli stock, benefici locali e trasparenza nella gestione dei fondi.

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