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Nel vivace mercato globale dove i margini competitivi si misurano sempre più sulla capacità di gestire normative e piattaforme digitali complesse, la formazione nel settore ittico per l’export non rappresenta più un aspetto accessorio ma una vera leva strategica. In particolare, quando il mercato di destinazione è altamente regolamentato – come nel caso dell’Unione Europea – l’adeguamento ai requisiti sanitari e l’interoperabilità con i sistemi ufficiali richiedono operatori qualificati, aggiornati e perfettamente consapevoli delle procedure necessarie per garantire la conformità dei prodotti.
Il Perù
Il Perù lo ha compreso in modo pragmatico. Il Ministero della Produzione peruviano (Produce), in collaborazione con l’Autorità nazionale per la salute e la sicurezza nella pesca e nell’acquacoltura (Sanipes), ha avviato un piano di formazione destinato agli operatori della pesca e dell’acquacoltura che intendono esportare verso l’UE. Solo nella regione di Piura sono stati coinvolti 80 professionisti, formati sull’utilizzo del sistema Traces NT per la gestione della certificazione sanitaria e sulle procedure per il rilascio dei certificati TUPA 38 e TUPA 39, indispensabili per la movimentazione commerciale dei prodotti ittici.
L’investimento nelle competenze tecniche consente alle imprese di evitare errori formali, ridurre i tempi di validazione delle pratiche doganali e posizionarsi come fornitori credibili agli occhi delle autorità europee, che da tempo richiedono standard stringenti in termini di tracciabilità, sicurezza alimentare e autenticità dei certificati. Le sessioni formative promosse da Sanipes includono anche aspetti operativi poco visibili ma fondamentali, come l’autenticazione a due fattori per l’accesso sicuro alla piattaforma e la gestione di eventuali restituzioni o riesportazioni.
È un approccio sistemico, esteso ad altre regioni del Paese con il coinvolgimento di circa 50 operatori a evento e ulteriori sessioni già pianificate per i prossimi mesi. La stessa autorità sanitaria stima per il 2025 l’emissione di circa 1.200 certificati TUPA 38 e oltre 300 TUPA 39, a beneficio delle imprese esportatrici e della loro capacità di consolidare relazioni commerciali con l’Europa.
L’Europa
Questo approccio non è isolato. Anche alcuni Paesi europei che esportano fuori dal proprio perimetro – dalla Norvegia, che ha costruito un sistema di formazione continua per preparare le imprese ittiche ad affrontare la complessità normativa dei mercati asiatici (Giappone, Corea del Sud, Singapore), alla Spagna, che in collaborazione con l’agenzia per il commercio estero ha attivato moduli formativi specifici sulle procedure di esportazione verso Stati Uniti e America Latina – dimostrano che la formazione nel settore ittico per l’export è ormai considerata un investimento strategico di politica industriale. Non si tratta solo di trasmettere informazioni tecniche, ma di accompagnare concretamente le aziende nella gestione dei certificati sanitari, nell’uso dei sistemi digitali di tracciabilità e nell’interpretazione delle normative locali, evitando blocchi alla dogana, rigetti della merce o contestazioni sulle certificazioni. In questo modo, la formazione diventa una leva per aumentare la reputazione del Paese e facilitare l’ingresso in mercati ad alto valore aggiunto.
L’Italia?
Di fronte a questi esempi, una domanda sorge spontanea: l’Italia sta davvero investendo abbastanza nella formazione degli operatori ittici per affrontare mercati complessi e distanti, oppure continua a muoversi con approcci poco coordinati, rischiando di perdere terreno rispetto ai concorrenti internazionali?
Al momento, le iniziative formative presenti nel nostro Paese tendono a concentrarsi sugli aspetti tecnico-produttivi e sulla conformità ai requisiti europei, mentre risultano ancora sporadiche – e spesso affidate alla buona volontà delle singole imprese – le attività orientate alla preparazione delle aziende per l’export verso mercati extra-UE.
In assenza di un percorso strutturato e condiviso, le imprese italiane rischiano di trovarsi impreparate davanti a requisiti sanitari, documentali o digitali sempre più articolati, con tempi di accesso ai mercati più lunghi e un posizionamento meno competitivo. Non è soltanto un tema tecnico: è una vera scelta di politica industriale. Investire in formazione significa trasformare la conoscenza in valore, sostenere l’intera filiera sui mercati globali e preservare il ruolo internazionale dell’Italia nel settore ittico.
Il caso Perù e l’esperienza di Paesi europei come Norvegia e Spagna dimostrano che solo con un investimento sistematico in formazione nel settore ittico per l’export è possibile competere in mercati regolamentati e lontani. Ed è su questo punto che l’Italia è chiamata oggi a interrogarsi.
Se siete a conoscenza di corsi o iniziative di formazione nel settore ittico in Italia dedicate all’export, segnalateli alla redazione di Pesceinrete scrivendo a redazione@pesceinrete.com: contribuire alla diffusione delle buone pratiche significa rafforzare l’intera filiera.
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