Categoria: Pesce In Rete Pagina 57 di 1121

Italy’s Bluefin Tuna Farming Faces Transparency Scandal

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Ghost Farms, Offshore Links and Public Funds: Greenpeace Report Uncovers Alarming Irregularities in Bluefin Tuna Farming in Italy

Despite signs of stock recovery, bluefin tuna farming in Italy continues to raise serious environmental and institutional concerns. According to a new investigative report released by Greenpeace Italy in July 2025, the industry is undergoing a new phase of expansion, driven by rising global demand—particularly from Japan. But alongside this renewed race for “red gold” come troubling revelations: nonexistent farms registered under the Ministry of Agriculture, public concessions granted to inactive companies, and EU funds managed with alarming laxity.

At the heart of Greenpeace’s allegations lies a systemic lack of transparency. According to data from ICCAT—the international body overseeing bluefin tuna fishing—Italy currently has thirteen registered fattening farms. However, only three have known geographic coordinates, and just six report actual production capacities. Even more concerning, four facilities—which alone would represent 80% of the country’s farmed tuna—are formally listed as property of the Ministry of Agriculture. Yet these sites are non-operational, lack geolocation data, and, as confirmed by the Ministry itself, exist solely “for internal organizational purposes.” In other words: phantom farms used to maintain paper quotas that are then redistributed to private entities.

Meanwhile, in Battipaglia, a company with no employees and zero revenue—Tuna Sud Srl—was granted a permit for a new offshore bluefin tuna farm just 7 km from the coastline, skirting the legal threshold that would require an environmental impact assessment. The location is already notorious for marine pollution, and the risk of further environmental degradation is high. Adding to the controversy, the local official who approved the concession is currently under investigation for corruption.

But the issues run deeper. Tuna Sud is part of a larger corporate network operating under the Producer Organization O.P. V.ITA TONNO, which includes recurring surnames such as De Crescenzo and Ferrigno. Some individuals within this structure are even named in the Paradise Papers, with links to offshore companies in Malta. While not illegal per se, such arrangements raise red flags—especially in a sector receiving substantial public funding. Between 2014 and 2020, companies affiliated with O.P. V.ITA TONNO received over €915,000 in public subsidies, mostly for vessel upgrades.

Greenpeace is not merely sounding the alarm. The NGO is calling for increased transparency in ICCAT data, mandatory environmental impact assessments for all new farming sites, tighter controls over EU EMFAF (FEAMPA) funding, and the long-overdue approval of Italy’s national decree on the environmental impacts of aquaculture facilities. Despite being in the works since 2006, this regulatory framework still does not exist, allowing farms to operate without clear limits on density, waste discharge or animal welfare standards.

While many of the issues raised are not new, the current mix of regulatory gaps, institutional opacity, and rapidly growing financial interests makes the situation particularly dangerous. What some trade groups tout as Italy’s “bluefin tuna route” for development may quickly become a regulatory boomerang unless serious reforms are introduced.

Greenpeace’s report paints a troubling picture: an opaque system where inactive farms are registered under government ownership, permits are granted under dubious conditions, and public funds are funneled to a tightly-knit group of players. The need for reform is urgent. The sector must be governed by transparency, accountability, and firm environmental standards.

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Dal nulla al primato mondiale: la rivoluzione cilena delle cozze

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La sorprendente ascesa dell’industria cilena delle cozze è oggi uno dei casi più emblematici al mondo di sviluppo strategico del settore acquacolturale. A metterlo nero su bianco è un nuovo studio condotto dal Centro interdisciplinare per la ricerca sull’acquacoltura (INCAR), che ricostruisce come il Paese sia passato da esportare 2.000 tonnellate di mitili nei primi anni ’90 a 400.000 tonnellate nel 2020, diventando il più grande esportatore al mondo e il secondo produttore dopo la Cina.

Il successo dell’industria cilena delle cozze non è frutto del caso. Secondo i ricercatori, è l’esito di un processo lungo, pianificato e multilivello, avviato grazie a una convergenza virtuosa di fattori: risorse naturali favorevoli, politiche pubbliche lungimiranti, investimenti esteri, infrastrutture logistiche, forza lavoro qualificata e una crescente domanda globale per prodotti più elaborati e certificati.

Lo studio, firmato da Marjorie Baquedano, Carlos Chávez, Jorge Dresdner e Håkan Eggert, analizza gli impatti economici, ambientali e sociali di questa crescita attraverso una metodologia rigorosa, integrando interviste sul campo nella regione di Los Lagos, revisione della letteratura e indicatori di performance.

La spinta iniziale è arrivata dalle condizioni geografiche e ambientali della regione di Los Lagos, dove si concentra quasi l’intera produzione nazionale. Ma senza una governance attiva, il potenziale naturale non si sarebbe mai tradotto in una filiera industriale competitiva. Decisiva, ad esempio, è stata la scelta di trasferire centri pilota di allevamento a operatori non statali, favorendo il know-how diffuso. Allo stesso modo, gli accordi di libero scambio e la riduzione delle tariffe doganali hanno ampliato i mercati di sbocco, mentre gli investimenti in ricerca e promozione hanno elevato la qualità del prodotto e la sua riconoscibilità.

L’industria cilena delle cozze ha saputo intercettare il cambiamento della domanda internazionale, puntando su un’offerta più lavorata, refrigerata e adatta ai mercati europei. Anche i costi di trasporto marittimo hanno giocato un ruolo, grazie alla maggiore efficienza logistica e al miglioramento delle catene del freddo.

Ma il messaggio più forte che arriva dallo studio è di tipo politico: lo sviluppo industriale dell’acquacoltura richiede una strategia di lungo periodo, fondata su collaborazione pubblico-privato, politiche di sostegno, formazione e apertura commerciale. Senza questi ingredienti, le risorse naturali restano sottoutilizzate.

Le sfide per il futuro non mancano. Secondo lo studio INCAR, la sostenibilità dell’industria cilena delle cozze dipenderà dalla capacità di mantenere relazioni commerciali stabili con mercati chiave come l’UE e l’Asia emergente, ma anche dall’inclusione dei piccoli produttori attraverso incentivi mirati per l’adozione di certificazioni ambientali e sociali.

In sintesi, la traiettoria del Cile offre spunti preziosi per i paesi che vogliono rafforzare la propria mitilicoltura, compresa l’Italia, dove il potenziale dell’acquacoltura resta in parte inespresso. Se ben accompagnata da politiche industriali coerenti, l’acquacoltura può diventare un motore di sviluppo costiero, innovazione e export.

Guardare al Cile significa comprendere che lo sviluppo dell’acquacoltura non è un automatismo, ma una scelta politica e industriale da costruire nel tempo.

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Tonno rosso, Greenpeace denuncia anomalie e impianti fantasma in Italia

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Nonostante i segnali di ripresa degli stock, l’allevamento del tonno rosso continua a sollevare gravi interrogativi sul piano ambientale e istituzionale. Secondo il nuovo dossier investigativo pubblicato da Greenpeace Italia nel luglio 2025, il comparto sta vivendo una nuova espansione, favorita da una domanda globale in costante crescita, soprattutto in Giappone. Ma a questa corsa all’“oro rosso” si affiancano allarmi inquietanti: impianti inesistenti registrati a nome del Ministero, concessioni demaniali a società inattive e fondi europei gestiti con troppa leggerezza.

Il cuore della denuncia è la mancanza di trasparenza. Secondo i dati ICCAT – l’organismo internazionale che monitora la pesca del tonno rosso – in Italia esistono tredici impianti di ingrasso, ma solo tre hanno coordinate note, e solo sei indicano una capacità produttiva effettiva. Quattro strutture, che da sole conterrebbero l’80% del tonno allevato nel Paese, sono formalmente “di proprietà” del Ministero dell’Agricoltura: ma non risultano operative, non sono geolocalizzabili e, come ha confermato lo stesso Ministero, esistono solo “per esigenze di organizzazione interna”. In altre parole: impianti fantasma, usati per mantenere su carta una capacità che viene poi redistribuita ad altri soggetti privati.

Nel frattempo, a Battipaglia, una società senza dipendenti né fatturato – la Tuna Sud Srl – ha ottenuto una concessione per un nuovo allevamento del tonno rosso a 7 km dalla costa, appena al di sotto della soglia che impone la valutazione d’impatto ambientale. La località è già nota per problemi di inquinamento marino, e il rischio di peggioramento è concreto. Inoltre, il dirigente comunale che ha firmato la concessione è coinvolto in un’inchiesta per corruzione.

Il problema, però, non si ferma qui. Tuna Sud è parte di un’articolata rete societaria, riunita nell’Organizzazione di Produttori O.P. V.ITA TONNO, in cui compaiono sempre gli stessi cognomi: De Crescenzo e Ferrigno. Alcuni dei membri di questa struttura risultano citati anche nei Paradise Papers, con legami a società offshore maltesi. Non illegali di per sé, ma certo discutibili per un comparto che riceve consistenti finanziamenti pubblici. Tra il 2014 e il 2020, infatti, le società aderenti all’O.P. V.ITA TONNO hanno ottenuto oltre 915.000 euro in contributi pubblici, soprattutto per l’ammodernamento delle imbarcazioni.

Greenpeace non si limita alla denuncia. Chiede maggiore trasparenza nei dati ICCAT, obblighi reali di valutazione ambientale per ogni nuovo impianto, controlli stringenti sui fondi FEAMPA e l’approvazione – attesa dal 2006 – del decreto nazionale sugli impatti ambientali degli impianti di acquacoltura. A oggi, quel testo non esiste, e le strutture possono operare senza limiti chiari su densità, scarichi o benessere animale.

Le criticità sollevate nel report non sono nuove, ma l’intreccio attuale tra lacune normative, opacità istituzionali e interessi economici in forte espansione rende lo scenario particolarmente pericoloso. La “rotta italiana del tonno rosso”, promossa da alcune associazioni di categoria come motore di sviluppo, rischia di trasformarsi in un boomerang se non regolata con serietà.

Il dossier di Greenpeace rivela un sistema opaco nell’allevamento del tonno rosso in Italia, tra impianti non attivi ma registrati al Ministero, concessioni discutibili e fondi pubblici concentrati in poche mani. Urge una riforma vera: servono norme, trasparenza e controllo.

 

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Fermo pesca e maltempo agitano i listini: volano i prezzi del pesce

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Il fermo pesca e le perturbazioni meteo delle ultime settimane stanno modificando in modo significativo l’andamento dei prezzi del pesce all’ingrosso, creando nuove tensioni nei mercati italiani. A darne conto è l’ultima analisi della Borsa Merci Telematica Italiana (Bmti), che ha monitorato le dinamiche nei principali centri della Rete Italmercati.

Nonostante una domanda tradizionalmente più contenuta nei centri urbani durante il periodo estivo, i rincari toccano punte record in prossimità del Ferragosto, soprattutto lungo le coste, dove la pressione commerciale resta elevata. A subire gli effetti più evidenti sono le specie più richieste, ma l’impennata riguarda anche varietà generalmente meno sensibili alla stagionalità.

Il caso più eclatante è quello delle cozze, che registrano un incremento del 70% rispetto allo stesso periodo del 2024, con un prezzo medio all’ingrosso passato da 3,20 a 5 euro al chilo. Ma non si tratta di un fenomeno isolato. Le alici, storicamente considerate tra i pesci “popolari” per eccellenza, scarseggiano visibilmente e toccano un +27% rispetto all’anno scorso.

Merluzzi, polpi e totani: aumenti a doppia cifra

Se per le alici si segnala una contrazione evidente dell’offerta, dovuta in parte al mare mosso che ha ostacolato le attività di pesca in più aree italiane, la stessa dinamica si riflette anche su altre specie. I merluzzi, ad esempio, aumentano tra il 10% e il 20%, con un passaggio di prezzo da 12 a 15 euro al chilo.

Il polpo, sempre molto ricercato nella stagione estiva, sale da 15 a 19 euro/kg, segnando un +15%, mentre il totano balza da 8 a 15 euro/kg, quasi raddoppiando il proprio valore. Anche i gamberi, tra i protagonisti della tavola di Ferragosto, fanno segnare un +10%.

Questi dati confermano che i prezzi del pesce all’ingrosso stanno seguendo una curva ascendente spinta non solo dalla scarsità di prodotto, ma anche da una previsione di crescita della domanda nelle zone turistiche, proprio in concomitanza con le festività.

Il fermo pesca estivo pesa sulla disponibilità

Il 31 luglio ha preso il via il fermo pesca lungo l’Adriatico, da Trieste ad Ancona, e a partire dal 15 agosto interesserà l’intero versante. Questo blocco delle attività ha già ridotto in maniera consistente la disponibilità di prodotto fresco proveniente dall’area, amplificando l’effetto del maltempo. Il doppio freno – naturale e normativo – sta condizionando pesantemente le dinamiche di approvvigionamento e sta producendo un effetto domino sui listini.

In queste condizioni, l’industria della trasformazione e la distribuzione devono confrontarsi con listini sempre più volatili, mentre i consumatori finali si trovano di fronte a prezzi più elevati anche nei mercati al dettaglio.

La congiuntura tra fermo pesca e condizioni meteo avverse sta facendo lievitare i prezzi del pesce all’ingrosso su scala nazionale. I rincari, in alcuni casi eccezionali come per le cozze, sono la manifestazione di un sistema vulnerabile agli shock esterni e all’assenza di misure di compensazione immediate. Con l’avvicinarsi di Ferragosto, la pressione sulla filiera è destinata ad aumentare ulteriormente.

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Trawl Fishing Regulations in the Mediterranean: AIC Pesca’s President Calls for Updated, Contextualized Data

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“Protecting our seas and preserving biodiversity are fundamental values and goals in the fishing industry. However, raising alarm today by promoting studies that are five years old cannot be considered a reliable point of reference or reflection,” states Natale Amoroso, National President of AIC Pesca, with conviction. Amoroso was born into the sector and has long supported training initiatives for young people aspiring to become entrepreneurs in one of the world’s oldest professions.

“Over the past few years, trawl fishing regulations in the Mediterranean have become significantly stricter,” Amoroso points out. “From the mandatory mesh size of nets, to the minimum seabed depth, the required distance from the coastline, and the seasonal fishing bans — which have increased from 30 to even 55 days in some cases — the rules have evolved considerably. On top of these constraints, the sector is also facing a sharp decline in both vessels and fishers.”

Referring to a recent publication in Scientific Reports citing data from the European Commission about damaged seabeds and endangered fish species, Amoroso clarifies: “We’re not denying the importance of such research, but it must be based on updated and contextualized data to be truly useful and relevant.”

He adds a final warning: “While our Mediterranean fishers are rightly held to strict EU rules, the same waters are shared with non-EU vessels that are not subject to these same standards. It’s time to manage this sector with true competence and to engage those who actually understand the work being done out at sea.”

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