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OHissa nel Sustainability rating EcoVadis: conferma dell’impegno concreto dell’azienda

OHissa nel Sustainability rating EcoVadis: conferma dell’impegno concreto dell’azienda

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OHissa, azienda toscana specializzata nella trasformazione e valorizzazione del pescato di alta qualità, ha ottenuto il Sustainability Rating Bronzo di EcoVadis, posizionandosi ufficialmente nel miglior 35% delle aziende valutate dall’ente in ambito ambientale, etico e sociale.

EcoVadis, piattaforma leader nella valutazione della sostenibilità aziendale, ha esaminato oltre 3 milioni di imprese a livello globale sulla base di criteri stringenti in quattro aree: ambiente, lavoro e diritti umani, etica e acquisti sostenibili. Il risultato ottenuto da OHissa conferma l’impegno concreto dell’azienda su tutti questi fronti.

“È un traguardo importante che premia la nostra coerenza e il lavoro quotidiano di tutto il team. – Commenta Maurizio Manno, titolare dell’azienda –  Ma è anche uno stimolo a fare ancora meglio. Il nostro obiettivo è chiaro: rendere la sostenibilità una pratica diffusa, misurabile e duratura, in ogni fase della nostra attività.”

Un sistema certificato, trasparente e controllato

Il riconoscimento EcoVadis si affianca a un sistema già solido di certificazioni nazionali e internazionali che garantiscono la qualità, la sicurezza e l’equità dell’intera filiera OHissa. L’azienda è infatti in possesso di:
• MSC (Marine Stewardship Council): certificazione che garantisce la provenienza del pesce da pesca sostenibile e ben gestita, rispettosa degli stock marini e dell’ecosistema.
• ASC (Aquaculture Stewardship Council): riconoscimento dedicato alle pratiche di acquacoltura responsabile, che assicura il rispetto dell’ambiente e il benessere animale negli allevamenti.
• IFS Food: certificazione internazionale che attesta la conformità ai più alti standard di sicurezza e qualità alimentare per la trasformazione e il confezionamento dei prodotti.
• ISO 14001:2015: norma che certifica un sistema efficace di gestione ambientale, mirato alla riduzione dell’impatto delle attività produttive su suolo, acqua e aria.
• ISO 45001:2018: standard per la gestione della salute e sicurezza sul lavoro, che promuove ambienti lavorativi sicuri, efficienti e rispettosi delle persone.
• UNI/PdR 125:2022: certificazione dedicata alla promozione della parità di genere in azienda, attraverso politiche concrete di inclusione, equità e valorizzazione delle competenze.
Queste certificazioni rappresentano l’impegno quotidiano dell’azienda: ogni processo, dalla selezione della materia prima fino alla consegna, è strutturato secondo logiche trasparenti, tracciabili e verificate.

Una visione che guarda avanti

Il percorso di OHissa è chiaro: continuare a crescere investendo in qualità, sostenibilità e innovazione, senza mai perdere di vista il valore artigianale che contraddistingue l’azienda. L’obiettivo è consolidare un modello di produzione che sia al tempo stesso competitivo e responsabile, capace di rispondere alle esigenze del mercato e alle sfide ambientali.

 

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Il Mediterraneo che cambia: nuove specie ittiche e un mare sempre più tropicale

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Lo sguardo scientifico lanciato dal recente studio di Davinia Torreblanca e José Carlos Báez, ricercatori del Instituto Español de Oceanografía (IEO-CSIC), è netto e inquietante: le acque del Mediterraneo occidentale, in particolare nella zona dello Stretto di Gibilterra e del Mar di Alborán, stanno registrando un incremento significativo nella presenza di specie ittiche tipiche di climi tropicali. Un processo definito tropicalizzazione del Mar Mediterraneo, che sta riscrivendo – e riscaldando – le coordinate biologiche del nostro mare.

Il lavoro, pubblicato il 3 giugno 2025 sul Journal of Marine Science and Engineering, si basa sull’analisi comparata delle preferenze termiche delle nuove specie registrate nelle acque spagnole rispetto a quelle storicamente presenti. Il risultato più eclatante riguarda l’area ESAL (Stretto di Gibilterra e Mar di Alborán), dove i nuovi arrivi mostrano preferenze termiche superiori di oltre 6 °C rispetto alle specie già note. Un dato che parla chiaro: qualcosa sta cambiando velocemente.

Le implicazioni per la filiera ittica sono profonde. In primo luogo, l’arrivo di specie termofile — come il pesce leone (Pterois miles), lo sgombro tropicale o il pesce pappagallo — porta con sé nuovi equilibri trofici, interazioni sconosciute, sfide gestionali e commerciali. In secondo luogo, come evidenziato dagli autori, la tropicalizzazione non è uniforme: se nella fascia LEBA (Levante-Baleari) l’effetto è ancora contenuto, nell’area ESAL si avvicina a una vera trasformazione ecologica.

A rendere più complesso il quadro, la sovrapposizione con altri fattori: l’invasione della macroalga Rugulopteryx okamurae, l’impatto del traffico marittimo, l’aumento del turismo costiero e l’inquinamento crescente. A questi si sommano i cambiamenti climatici globali, che rendono sempre più calde, stratificate e soggette a eventi estremi le acque superficiali mediterranee.

Torreblanca e Báez suggeriscono tre meccanismi principali alla base dei nuovi avvistamenti: migrazione naturale favorita dal riscaldamento, introduzione antropica (trasporto marittimo, acquacoltura), e identificazione tardiva di specie già presenti ma sfuggite alla classificazione per via del comportamento criptico. Per gli operatori della filiera, questo significa una sola cosa: serve un aggiornamento costante e proattivo delle conoscenze, delle tecniche di monitoraggio e delle strategie di adattamento.

L’impatto potenziale sulla pesca, sull’acquacoltura, sulla trasformazione e persino sulla logistica è tutt’altro che trascurabile. Nuove specie possono diventare risorsa — come accaduto in altri mari — ma solo se gestite con visione. Al contrario, senza strumenti adeguati, potrebbero minacciare habitat, risorse tradizionali e mercati consolidati.

Il Mediterraneo non è più quello di ieri. La sua identità biologica sta evolvendo sotto la spinta di forze climatiche e antropiche che travalicano i confini nazionali. La capacità della filiera di leggere, interpretare e reagire a questi segnali sarà decisiva per garantirsi un futuro competitivo e sostenibile in un contesto ambientale in rapido mutamento.

Il processo di tropicalizzazione nel Mediterraneo, reso evidente dallo studio spagnolo, non è più ipotesi scientifica ma fenomeno in atto. Per la filiera ittica mediterranea è il momento di prendere atto dei segnali e trasformare l’incertezza in strategia.

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Consumi, identità e digitale: la nuova cultura dell’acquisto sfida anche l’ittico

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Non si compra più solo per soddisfare un bisogno. Sempre più spesso, si acquista per esprimere sé stessi, scegliere in base a ciò che si è e che si desidera diventare. È questa la nuova traiettoria dei consumi, confermata da ricerche come quella presentata da Amazon per i suoi 15 anni in Italia, realizzata in collaborazione con AstraRicerche e la docente Patrizia Martello, che mostra come l’evoluzione degli acquisti online in Italia sia diventata specchio di una trasformazione culturale più ampia.

Non sorprende, quindi, che anche nel 2025 – secondo le previsioni Coop – i consumi possano crescere del 6%, pur in un contesto in cui la spesa viene vissuta con cautela. Perché la spinta all’acquisto oggi è soprattutto valoriale, identitaria, relazionale. E chi produce, trasforma o commercializza prodotti – pesce incluso – non può che prenderne atto.

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Dall’efficienza all’emozione: i consumatori cambiano rotta

Dal 2010 a oggi, lo scenario si è capovolto. All’inizio, l’eCommerce si è imposto per la sua efficienza: velocità, comodità, convenienza. Poi, a partire dal 2022, si è manifestata una nuova domanda: quella di autenticità. Cresce l’interesse verso prodotti che raccontano storie, che aiutano ad affermare la propria identità e che diventano strumenti di benessere personale.

È in questa direzione che anche il settore ittico può ritrovare un terreno fertile. Il pesce non è solo un alimento: può essere racconto di sostenibilità, testimonianza di qualità artigianale, scelta consapevole per la salute. Ma tutto questo richiede visione, narrazione, connessione col consumatore.

Una sfida culturale e strategica per la filiera

La pandemia ha accelerato la digitalizzazione e la normalizzazione degli acquisti online, anche per i beni alimentari. L’ittico trasformato – conserve, surgelati, affumicati – è oggi una categoria sempre più presente nelle piattaforme di eCommerce. Ma la vera partita si gioca sulla percezione. Chi acquista online non cerca più solo prodotti: cerca rassicurazione, valore, corrispondenza con i propri obiettivi.

Ed è qui che si inserisce la possibilità per i player della filiera di ripensare la propria comunicazione e la propria offerta. Non bastano i numeri o le etichette: servono contenuti, packaging parlanti, una customer experience capace di trasmettere valori coerenti e riconoscibili.

Benessere, famiglia, individualismo: i nuovi driver

Secondo le analisi Coop, gli italiani del 2025 rimettono la famiglia al centro, ma lo fanno con un approccio più intimo e individualista. Cresce il bisogno di sicurezza, tranquillità, autenticità. In vetta alle attività desiderate ci sono camminate, sport, lettura, natura. Tutti segnali di una ricerca di equilibrio, salute e semplificazione.

In questo scenario, il pesce – specie se proposto come alimento leggero, ricco di omega-3, facile da preparare e sostenibile – ha tutte le carte per diventare protagonista. A condizione, però, che venga comunicato nel modo giusto: come parte di uno stile di vita, non solo come referenza da scaffale.

Un’opportunità per chi guarda oltre il prodotto

L’analisi dei nuovi consumi ci consegna un messaggio chiaro: per restare rilevanti, serve più che mai integrare prodotto, racconto e servizio. I consumatori evolvono, e con loro cambiano le aspettative, i criteri di scelta, le piattaforme di acquisto.

Per il comparto ittico, è il momento di superare le logiche difensive e abbracciare una visione più ampia, che parta dal prodotto ma guardi alle persone.

Non si tratta solo di vendere pesce, ma di entrare nelle scelte di vita quotidiana dei consumatori.

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Verso il 2038 con acque condivise: stabilità e strategia nella pesca UE-Regno Unito

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A distanza di anni dalla Brexit, l’Europa e il Regno Unito trovano un punto fermo sul fronte più delicato e identitario: la pesca. Il Comitato congiunto specializzato ha formalizzato un accordo che garantirà il pieno accesso reciproco alle acque fino al 30 giugno 2038. Una prospettiva temporale ampia, quasi insolitamente lunga per i tempi della diplomazia internazionale, che segna una svolta nella gestione congiunta delle risorse marine e nella stabilità per le flotte.

L’accordo pesca UE Regno Unito, raggiunto in vista del recente vertice bilaterale del 19 maggio a Londra, rappresenta un traguardo strutturale. A beneficiare di questa intesa non sono soltanto le autorità centrali, ma tutta la filiera ittica: armatori, cooperative di pesca, operatori della trasformazione, logistica e distribuzione. La certezza normativa e l’accesso garantito alle Zone Economiche Esclusive (ZEE) su entrambe le sponde della Manica permettono ora di pianificare con maggiore sicurezza investimenti e strategie di lungo termine.

Secondo quanto dichiarato dal Commissario europeo per la pesca, Costas Kadis, si tratta di un accordo che va “oltre il semplice passo avanti”: consolida le relazioni e dimostra cosa sia possibile ottenere in un contesto di collaborazione strutturata. Ma c’è di più: il valore strategico di questa decisione sta anche nell’effetto domino che può innescare. Il modello cooperativo rafforzato potrebbe diventare un riferimento per altre relazioni bilaterali su scala europea e globale, in un contesto di risorse sempre più contese.

Dal punto di vista operativo, l’intesa copre sia gli stock soggetti a quote che quelli non regolamentati da contingenti. Si garantisce così continuità alle attività di pesca che rappresentano un pilastro economico e sociale per molte comunità marittime, dall’Atlantico alla Manica. Per chi opera nella trasformazione e distribuzione, la stabilità delle forniture ittiche rappresenta un elemento essenziale: consente programmazione, contrattualistica e gestione dei volumi con meno volatilità.

Sul piano geopolitico, il rafforzamento del partenariato UE-Regno Unito in materia di pesca arriva dopo anni di tensioni e ridefinizioni, molte delle quali legate proprio all’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea. Oggi, la creazione di una cornice duratura ribadisce che la cooperazione può prevalere sugli antagonismi, quando il focus è rivolto alla sostenibilità, alla sicurezza alimentare e all’equilibrio delle risorse marine condivise.

Il messaggio, silenzioso ma chiaro, per gli operatori della filiera è uno solo: la stabilità normativa non è più un miraggio. Pianificare, diversificare, investire, anche nell’ambito dell’export o della lavorazione di specie provenienti dalle acque britanniche, torna a essere una possibilità concreta e legittimata dal quadro normativo.

L’accordo tra UE e Regno Unito sulla pesca non è soltanto un atto diplomatico, ma una nuova base di gioco per tutta la filiera ittica europea. Dalla programmazione industriale alla gestione delle risorse, si apre una finestra di opportunità che premia chi saprà guardare oltre la contingenza.

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Fiscalità value-based per la Blue Economy: verso una roadmap possibile

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Quali leve fiscali per rendere sostenibile e competitiva la filiera ostricola italiana? Quali modelli di riferimento sul piano europeo? Quale ruolo può svolgere una fiscalità orientata al valore nella transizione ecologica delle attività legate alla Blue Economy?

Sono queste le domande al centro del convegno online “Fiscalità value-based per la Blue Economy: una roadmap possibile”, promosso dall’Osservatorio Agrifood Tech & Innovation, diretto dal Prof. Pasquale Sasso, e ospitato dal Dipartimento di Management ed Economia dell’Università Pegaso, guidato dal Prof. Manlio Del Giudice.

Appuntamento: giovedì 26 giugno 2025, ore 10:00 – 12:00, su piattaforma digitale.

Il convegno si aprirà con i saluti istituzionali del Rettore Pierpaolo Limone e dei docenti delegati alla Terza Missione, con l’obiettivo di valorizzare il dialogo tra ricerca accademica, istituzioni e imprese del settore agroalimentare e marino.
Tre i momenti chiave dell’incontro:
• un’introduzione sulle leve fiscali per filiere rigenerative a cura del Prof. Pasquale Sasso.
• Un panel tecnico, moderato da Mariella Ballatore (direttore di Pesceinrete.it), con operatori e stakeholder della filiera ostricola: Federico Menetto (Blu Farmers), AIOS – Associazione Italiana Ostricari, Les Huîtres Cadoret, OP Mytilus Campania, I Wai Food, Giorgio Calabrese
• Un focus comparato con uno sguardo ai modelli fiscali in Francia e nei Paesi emergenti, affidato a Benedetta Coluccia, ricercatrice in Politica Economica

A chiudere i lavori, un dialogo istituzionale tra il Prof. Pasquale Sasso e l’On. Marco Cerreto (Commissione Agricoltura, Camera dei Deputati), con l’obiettivo di tracciare una proposta di roadmap per la fiscalità value-based applicata alla Blue Economy.

“Il caso dell’ostricoltura italiana ci mostra quanto sia urgente passare da una fiscalità generalista a una fiscalità che riconosca il valore ambientale, sociale e culturale delle filiere produttive sostenibili. Con questo convegno – afferma il Prof. Pasquale Sasso – vogliamo offrire un primo spazio di confronto operativo tra accademia, imprese e decisori pubblici, per avviare un percorso concreto e condiviso di innovazione fiscale.”

Per partecipare gratuitamente all’evento: meet.google.com/fzx-vqii-vbt
Il convegno è realizzato in collaborazione con Blu Farmers, Pesceinrete e AIOS – Associazione Italiana Ostricari.

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