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Obbligo di sbarco: una riforma incompiuta che interroga il futuro della filiera ittica

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Quando nel 2013 la riforma della Politica Comune della Pesca introdusse l’obbligo di sbarco, sembrò l’alba di una nuova era: quella della pesca selettiva, responsabile, capace di internalizzare lo spreco e stimolare innovazione lungo tutta la filiera. A distanza di cinque anni dalla piena attuazione, il bilancio è amaro: la misura non ha prodotto il cambio di paradigma atteso, pur generando costi operativi, pressioni normative e implicazioni gestionali che la filiera ancora oggi fatica a metabolizzare.

Secondo il report finale pubblicato dalla Commissione Europea, l’obbligo di sbarco non ha eliminato i rigetti né stimolato su larga scala comportamenti più sostenibili. I tassi medi di scarto sono diminuiti di meno del 2%, mentre l’adozione di attrezzi più selettivi procede a rilento, ostacolata da barriere economiche, culturali e normative.

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Una norma che ha legalizzato lo scarto, ma senza una filiera pronta ad accoglierlo

Una delle maggiori criticità emerse è strutturale: le catture indesiderate sbarcate non trovano canali commerciali efficaci. Il regolamento europeo vieta l’uso per il consumo umano del pesce sotto taglia o fuori quota, ma non ha accompagnato questa limitazione con investimenti sufficienti in infrastrutture di trasformazione, logistica del freddo, ricerca di nuovi impieghi o sviluppo di mercati paralleli. In molte aree, come Spagna e Portogallo, parte di questo pescato finisce in discarica.

Per la filiera, questo significa un’occasione mancata. La valorizzazione del pesce “di scarto” (in realtà legale, tracciato e disponibile) richiede trasformatori in grado di trattare volumi non standard, una logistica flessibile e investimenti in linee produttive alternative. A oggi, mancano sia una domanda strutturata sia incentivi coordinati, lasciando a terra il potenziale di un comparto che potrebbe rafforzare l’indipendenza proteica dell’UE.

Le deroghe che disinnescano la riforma

Lo studio evidenzia con forza come il massiccio ricorso a deroghe abbia di fatto compromesso l’efficacia dell’obbligo: tra esenzioni per alta sopravvivenza, deroghe “de minimis” e specie non soggette a obbligo, la norma risulta più flessibile che vincolante. Nel solo 2023, lo STECF ha valutato 103 richieste di esenzione, di cui 81 per “de minimis”. Il paradosso? Più deroghe sono concesse, più il meccanismo si svuota di forza trasformativa.

Questa situazione, però, apre una riflessione strategica per le imprese: come costruire scenari produttivi più resilienti e adattabili, capaci di integrarsi con normative complesse e in evoluzione? Investire in tracciabilità, diversificazione e selettività può trasformare un vincolo normativo in un vantaggio competitivo.

Selectività e quota swaps: due leve ancora sottoutilizzate

Alcuni segnali positivi arrivano dalla sperimentazione su attrezzi selettivi, soprattutto nel Nord Europa: reti a maglia quadrata, dispositivi roofless, FAD biodegradabili hanno mostrato efficacia nel ridurre i rigetti di giovanili e specie non target. Ma l’adozione diffusa richiede formazione, sostegno tecnico e compatibilità con i margini aziendali, specie per le piccole flotte mediterranee, dove i costi superano spesso i benefici percepiti.

Un altro elemento sottolineato dallo studio è il ricorso crescente ai quota swaps: tra 2014 e 2023, gli scambi tra Stati Membri sono aumentati del 200%, permettendo di gestire più dinamicamente i cosiddetti “choke species”. Una flessibilità che, se ben gestita, può diventare uno strumento strategico per ottimizzare la redditività delle flotte e l’efficienza del sistema.

Per la filiera: riconoscere il rischio, cogliere la leva

Il dato forse più importante non riguarda le regole, ma i comportamenti. Dove vi è stata formazione, accompagnamento tecnico, dialogo continuo tra autorità, produttori e trasformatori, si sono visti progressi. Dove invece è mancato il coordinamento, la norma è stata percepita solo come un peso. E qui si apre una possibilità per chi opera lungo la filiera: mettersi al centro del processo di adattamento, diventando parte attiva del cambiamento.

Per esempio, alcuni trasformatori già operano con referenze derivate da specie sottoutilizzate o fuori standard commerciale. La GDO, in un contesto di crescente attenzione alla sostenibilità, può trovare nel prodotto “zero scarto” un elemento distintivo. E per la logistica? Costruire soluzioni modulari per il trasporto del “sottotaglia” potrebbe aprire nuovi flussi, oggi inesplorati.

L’obbligo di sbarco non ha (ancora) prodotto il cambio sistemico auspicato. Ma proprio le sue criticità possono ispirare una nuova stagione di innovazione. La sfida oggi è trasformare lo scarto in valore, superare le rigidità normative con flessibilità operativa e portare a maturazione il potenziale ancora latente di una misura che, ben attuata, può fare la differenza.

La filiera ittica ha oggi l’occasione di riscrivere il futuro dell’obbligo di sbarco: non subendolo, ma integrandolo come leva per efficienza, tracciabilità e innovazione. Il momento di agire è adesso.
La Commissione europea (8 luglio dalle 14:00 alle 16:30), organizza un evento online per presentare lo studio e raccogliere feedback dalle parti interessate.
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Imballaggi, il regolamento europeo accelera: la filiera ittica chiamata alla transizione

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Il nuovo regolamento europeo sugli imballaggi, in vigore dal 2026, avrà un impatto profondo anche sulla filiera ittica. Dalla trasformazione alla distribuzione, passando per logistica e packaging, l’intero comparto è chiamato a una revisione strategica dei materiali e dei processi.

La stima della società PwC Strategy& è chiara: entro il 2040 i volumi di imballaggi immessi sul mercato italiano potrebbero ridursi fino al 20%, con una parallela contrazione del 10-15% dei volumi riciclati rispetto al 2022. Una prospettiva che riflette l’impatto del Packaging and Packaging Waste Regulation (Ppwr), tassello chiave del Green Deal europeo e del Circular Economy Action Plan.

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Il principio guida è semplice solo in apparenza: prevenire il rifiuto, ridurre l’eccesso di packaging, semplificare la filiera. Ma le conseguenze sono complesse. L’UE chiede di progettare imballaggi riciclabili per almeno il 70%, di garantire la divisibilità dei materiali e di introdurre un’etichetta ambientale digitale che tracci ogni fase della vita del packaging. Obiettivi ambiziosi che mettono in crisi soprattutto chi lavora con prodotti ad alta deperibilità, come il pesce.

L’industria ittica, già alle prese con sfide complesse legate alla catena del freddo e alla shelf life, dovrà trovare soluzioni che combinino protezione, sostenibilità e leggibilità normativa. È qui che si gioca una partita cruciale. La carta e il cartone, materiali favoriti dal nuovo impianto normativo, non sempre sono adatti per conservare e trasportare in sicurezza prodotti ittici freschi o surgelati. Le bioplastiche, pur essendo un’area di eccellenza italiana, presentano ancora margini di incertezza regolatoria. E l’uso del rPET, la plastica riciclata da bottiglie, richiede investimenti importanti e filiere certificate.

Il tema centrale resta la logistica. Il nuovo regolamento impone una riduzione degli imballaggi e limita l’overpacking: massimo 50% di spazio vuoto. Per molte aziende della trasformazione ittica questo significa rivedere formati, volumi e perfino le dinamiche di carico e scarico. Senza adeguamenti, si rischia una crescita dei costi, rallentamenti operativi e una perdita di competitività.

Serve quindi un approccio anticipatorio, non solo reattivo. Le imprese più strutturate stanno già lavorando su nuovi materiali, collaborazioni con startup tecnologiche e test su imballaggi compostabili o ibridi. Tuttavia, il vero nodo è strategico: riconfigurare la filiera per renderla resiliente, circolare e pronta a una domanda di sostenibilità sempre più esplicita da parte della GDO e del consumatore finale.

In questo scenario, il sistema consortile italiano coordinato da CONAI, insieme ai consorzi di filiera e agli impianti di compostaggio, può offrire un supporto determinante. Ma è altrettanto evidente che alcuni attori avranno bisogno di supporti mirati, anche finanziari, per affrontare il salto tecnologico. Fondi pubblici e strumenti di finanza sostenibile potranno rappresentare leve importanti per evitare che l’urto regolatorio si trasformi in un colpo mortale per le realtà più fragili.

Il regolamento europeo sugli imballaggi non è un semplice aggiornamento normativo, ma una vera rivoluzione. Per il settore ittico, che lavora con prodotti complessi e reti logistiche articolate, si tratta di un’occasione per ripensare il packaging non solo in chiave ambientale, ma come elemento strategico di valore e innovazione. Prepararsi oggi vuol dire evitare rincorse domani.

Chi opera nella filiera ittica ha l’opportunità di giocare d’anticipo. Monitorare i cambiamenti, investire in ricerca e costruire alleanze è il primo passo per affrontare il nuovo scenario con consapevolezza e visione.

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Emilia-Romagna. Pesca, oltre 2 milioni alle imprese colpite dalla guerra

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Una corsa contro il tempo per non perdere risorse fondamentali: la Regione Emilia-Romagna ha liquidato oltre 2 milioni di euro, provenienti dal programma europeo Feamp, il Fondo europeo per gli affari marittimi e la pesca 2014-2020, alle imprese di pesca e acquacultura colpite dalle conseguenze economiche del conflitto russo-ucraino, riuscendo a concludere i pagamenti a poche settimane dalla chiusura ufficiale del programma, prevista per il 27 giugno, dopo la comunicazione delle risorse residue da parte del Ministero avvenuta lo scorso 11 marzo.

Le risorse sono state erogate nell’ambito del ‘Bando Ucraina’, pubblicato dalla Regione nel 2023 per offrire un sostegno economico agli operatori dell’acquacoltura.

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L’intervento, in particolare, prevedeva contributi destinati a compensare i mancati guadagni e le spese aggiuntive affrontate dalle imprese, in particolare per energia, carburanti e materie prime. Tuttavia, l’elevata adesione e la gravità dell’impatto economico sulle attività acquicole hanno reso insufficiente la dotazione finanziaria inizialmente disponibile.

Per garantire pertanto il pieno pagamento delle somme spettanti ai beneficiari, è stato necessario rivedere la distribuzione delle risorse residue del programma Feamp, attraverso un nuovo Accordo Multiregionale approvato con Decreto ministeriale n. 111588 dell’11 marzo 2025 che ha permesso di sbloccare i fondi necessari e completare la procedura di liquidazione entro i termini previsti dalla chiusura ufficiale del programma europeo.

“Si tratta di un risultato importante, frutto di un lavoro tecnico e istituzionale portato avanti con grande determinazione – afferma l’assessore regionale all’Agricoltura e pesca, Alessio Mammi. In un momento di forte incertezza economica, segnato da dinamiche globali che stanno mettendo a dura prova i settori della pesca e dell’acquacoltura, siamo riusciti a garantire un ristoro concreto agli operatori, rispettando tempi strettissimi e vincoli molto rigidi. È il segnale di un’attenzione costante che vogliamo mantenere alta affinché la cosiddetta economia blu possa continuare a rappresentare un presidio produttivo e ambientale per i nostri territori. Siamo sempre dalla parte dei nostri pescatori e acquacoltori, per garantire loro sostegno e attenzione”.

“Ora- prosegue Mammi- il Governo e l’Unione europea devono mettere a disposizione strumenti più stabili ed efficaci per sostenere le imprese in tempi di crisi e valorizzare un settore strategico come la pesca e l’acquacoltura per la sicurezza alimentare, l’occupazione e l’attenzione e tutela dell’ambiente”.

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Un patto per il futuro blu: l’Europa ridisegna la governance oceanica

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È fissata per domani, martedì 17 giugno, la discussione in Parlamento europeo del nuovo Patto europeo per gli oceani, la strategia che la Commissione ha lanciato lo scorso 5 giugno e presentato ufficialmente alla Conferenza ONU sugli oceani di Nizza. L’iniziativa si propone di riorientare in modo integrato le politiche europee verso una maggiore tutela degli ecosistemi marini e una più solida competitività dell’economia blu, con attenzione esplicita a pesca, acquacoltura e trasformazione.

Il documento, che ha già raccolto reazioni diversificate tra gli eurodeputati, rappresenta un’evoluzione rispetto ai precedenti strumenti normativi: introduce sei priorità d’azione e prefigura due strumenti chiave — una Visione per la pesca e l’acquacoltura 2040 e una futura Legge sugli oceani. Per un settore che da anni chiede stabilità regolatoria e visione a lungo termine, la proposta può aprire un nuovo ciclo.

Tra i punti più rilevanti per gli operatori della filiera c’è il riconoscimento della centralità della produzione alimentare acquatica per la sovranità alimentare europea. Attualmente, infatti, oltre il 70% degli alimenti di origine acquatica consumati nell’UE proviene da importazioni. Per questo, il Patto individua come priorità l’innalzamento della competitività e della resilienza dei settori della pesca, dell’acquacoltura e della trasformazione, integrando questi obiettivi con quelli ambientali.

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Particolare attenzione sarà data all’acquacoltura: la Commissione annuncia una nuova iniziativa europea sull’acquacoltura sostenibile, che coinvolgerà istituzioni, imprese, centri di ricerca, acceleratori e investitori. L’obiettivo è favorire l’innovazione, migliorare la gestione dello spazio marittimo — anche attraverso progetti multiuso — e affrontare criticità come l’impatto delle specie invasive e la gestione dei predatori.

Per la prima volta in un documento di questa portata, viene anche sottolineata l’urgenza di una valutazione completa della Politica Comune della Pesca (PCP), compresa l’Organizzazione Comune di Mercato (OCM), come passo necessario per adeguare il quadro normativo alle sfide attuali. L’eventuale revisione è vista come “una pietra miliare significativa” nel percorso verso una filiera più solida, autonoma e competitiva.

Se da un lato il Patto rilancia con convinzione i principi della sostenibilità ambientale, dall’altro tenta di offrire una narrazione più concreta e attenta alle esigenze economiche e sociali delle comunità costiere e insulari. La dimensione sociale del lavoro nei settori blu è riconosciuta come elemento da rafforzare, con misure dedicate che tengano conto della realtà quotidiana di operatori e lavoratori del comparto.

In attesa del dibattito parlamentare di domani, resta da vedere quanto ampio sarà il consenso politico sulle misure previste e quali azioni legislative effettive verranno messe in campo. La credibilità del Patto, infatti, si misurerà nella sua capacità di passare da visione a implementazione.

In questo contesto, le imprese del settore ittico possono iniziare da subito a interrogarsi su come allineare i propri modelli produttivi, logistici e commerciali alle nuove priorità europee. Investire in tracciabilità, sostenibilità certificata, tecnologie green e partenariati internazionali potrebbe diventare non solo un requisito di conformità, ma anche un vantaggio competitivo concreto nei prossimi anni.

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Salmone coltivato in laboratorio: l’approvazione USA che cambia la partita

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Il mondo della produzione ittica entra in una nuova era con l’approvazione ufficiale, da parte della Food and Drug Administration statunitense, del salmone coltivato in laboratorio sviluppato dalla startup californiana Wildtype. Un traguardo atteso da anni che non solo legittima la tecnologia della coltura cellulare, ma la posiziona finalmente tra le soluzioni praticabili per la ristorazione di qualità.

Il salmone Wildtype, ottenuto a partire da cellule del salmone coho del Pacifico, è già presente nel menu del ristorante Kann di Portland, Oregon, celebre per la sua cucina haitiana a fuoco vivo e guidato dallo chef Gregory Gourdet, vincitore del James Beard Award. Si tratta di una svolta concreta, non di una semplice sperimentazione: il prodotto è servito ogni giovedì per tutto giugno, e tutti i giorni a partire da luglio.

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La startup, supportata da figure come Leonardo DiCaprio, Jeff Bezos e Robert Downey Jr., ha dichiarato l’intenzione di espandere la propria presenza in altri quattro ristoranti entro i prossimi mesi, prima di avviare la distribuzione nel retail. La scelta di partire dalla ristorazione d’eccellenza non è casuale: rappresenta un banco di prova sia per la qualità del prodotto sia per la sua accettazione da parte dei consumatori più esigenti.

Il processo produttivo, trasparente e minuzioso, avviene in bioreattori simili a quelli utilizzati per la birra o il kombucha. Le cellule vengono coltivate in un ambiente controllato, nutrite con una miscela bilanciata di proteine, zuccheri, minerali e grassi. Il prodotto finale, arricchito con ingredienti vegetali, replica fedelmente struttura e sapore del salmone tradizionale, risultando idoneo alla preparazione di piatti crudi come sashimi e maki.

Nel 2021, Wildtype ha avviato un impianto pilota a San Francisco con una capacità iniziale di 22.000 kg annui, espandibile fino a 90.000 kg. La scalabilità è già insita nel modello, ma il vero salto è politico e culturale. La decisione della FDA arriva in un momento critico: mentre diversi Stati americani (e Paesi europei come l’Italia) hanno optato per il divieto delle carni coltivate, l’agenzia federale ha scelto un approccio scientifico e basato sull’evidenza, dichiarando che il prodotto Wildtype è “sicuro quanto alimenti comparabili prodotti con altri metodi”.

Il segnale per la filiera ittica tradizionale è chiaro. Se il segmento delle proteine coltivate può entrare nei ristoranti di fascia alta, nulla vieta che possa gradualmente penetrare anche nella distribuzione organizzata, trasformando i paradigmi di approvvigionamento, logistica e comunicazione del valore.

L’esempio di Wildtype impone alle imprese del settore ittico – dalla produzione primaria alla trasformazione e alla GDO – una riflessione concreta: come valorizzare il proprio vantaggio competitivo legato alla tracciabilità, alla pesca responsabile e alla qualità organolettica, in un contesto in cui si affacciano prodotti alternativi, sostenibili e sempre più convincenti anche dal punto di vista sensoriale?

L’approvazione del salmone coltivato in laboratorio da parte della FDA (Food and Drug Administration), non è solo una pietra miliare per la tecnologia alimentare, ma un invito a tutta la filiera ittica a rinnovarsi e anticipare il cambiamento. I modelli ibridi, che integrano innovazione e identità territoriale, potrebbero rappresentare la vera risposta competitiva.

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