Confeuro: “Inversione di rotta per tutela oceani, contraddizione Italia”

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“Confeuro ha seguito con grande attenzione la recente Conferenza Onu sugli Oceani, tenutasi a Nizza, dove sono stati assunti nuovi impegni per riportare il mare al centro delle priorità globali. Un passo importante e necessario, in un momento storico in cui la salvaguardia degli ecosistemi marini rappresenta una sfida non più rimandabile. Due i punti che riteniamo particolarmente rilevanti e che meritano una riflessione critica”, dichiara Andrea Tiso, presidente nazionale di Confeuro.

“In primo luogo, appare contraddittorio che l’Italia aderisca alla alleanza nucleare Ue, ma non abbia ancora ratificato il Trattato sull’Alto Mare, strumento essenziale per la protezione delle acque internazionali e della biodiversità oceanica. Sollecitiamo, in tal senso, il governo italiano a colmare al più presto questa grave lacuna. In secondo luogo, esprimiamo forte preoccupazione – condivisa da molte delegazioni presenti a Nizza – per la crescente spinta verso l’estrazione mineraria nei fondali oceanici. Una pratica rischiosa e inaccettabile: i fondali marini non sono in vendita. Condividiamo pienamente le parole del Segretario Generale delle Nazioni Unite Guterres, secondo cui il nemico più grande degli oceani sarebbe l’avidità. Avidità che troppo spesso offusca la mente umana e acceca gli occhi degli uomini”, continua Tiso.

“Come Confeuro – conclude il presidente nazionale di Confeuro – siamo convinti che la tutela del pianeta, della terra e dell’ambiente debba diventare una priorità concreta, sia a livello nazionale che globale. Serve un cambio di passo, guidato dalla consapevolezza che in gioco non c’è solo l’equilibrio naturale, ma il futuro stesso delle prossime generazioni”.

 

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Connected TV e advertising programmatico: un’opportunità strategica per la filiera ittica

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C’è una trasformazione in corso nel mondo della comunicazione che chi opera nel settore ittico non può permettersi di ignorare. Il mercato pubblicitario italiano ha superato gli 11 miliardi di euro nel 2024 e si prepara a toccare i 11,7 miliardi nel 2025, trainato dalla crescita impetuosa dei canali digitali. Una crescita che non riguarda più solo il tech o il largo consumo, ma apre spazi concreti anche per comparti produttivi come quello ittico. L’advertising programmatico nel settore ittico, se ben compreso e applicato, rappresenta un’opportunità strategica per raggiungere con precisione buyer, GDO, trasformatori e consumatori.

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Il video è oggi il formato dominante, con una quota prevista del 57% sul totale del digital advertising entro il 2025. Ma il dato davvero rilevante per la filiera è l’espansione del cosiddetto ecosistema CTV – Connected TV – dove i contenuti professionali veicolati via televisori smart si integrano perfettamente con le logiche del programmatic: misurabilità, personalizzazione, efficienza. In questo contesto, la promozione dei prodotti ittici non è più legata soltanto a brochure, fiere o social organici, ma può inserirsi in flussi pubblicitari targettizzati, contestuali, omnicanale.

Secondo l’Osservatorio Internet Media del Politecnico di Milano, il valore del programmatic in Italia ha superato i 980 milioni di euro, raddoppiando rispetto al 2018. È finita l’era sperimentale: oggi si parla di un’infrastruttura consolidata, che include anche out-of-home digitali, piattaforme retail media e addressable TV. E il settore ittico, con la sua crescente esigenza di raccontare la qualità, l’origine, la sostenibilità dei prodotti, può inserirsi in questo linguaggio visivo con una forza narrativa inedita.

Un esempio pratico? La possibilità per un brand di conserve ittiche premium o di prodotti ready-to-eat surgelati di raggiungere famiglie italiane durante la visione di contenuti in streaming, su dispositivi collegati alla TV, con spot brevi, non invasivi, ma personalizzati per fascia geografica o interesse alimentare. I dati indicano che una strategia omnicanale ben costruita riduce il costo per acquisizione del 14% e quello per nucleo familiare del 21%. Numeri che, in un contesto di concorrenza serrata sugli scaffali, possono fare la differenza.

Ma il vero salto di qualità avviene quando le aziende ittiche smettono di considerarsi semplici “fornitori di prodotto” e iniziano a porsi come “editori del proprio valore”. Investire in video advertising professionale, costruire una narrazione coerente tra CTV, social, portali tematici e retail media, significa strutturare una presenza che non solo aumenta le vendite, ma rafforza la reputazione, crea fiducia, costruisce differenziazione.

L’Italia è già un terreno fertile: l’88% degli utenti utilizza regolarmente piattaforme video gratuite con pubblicità, mentre il 71% del tempo online avviene al di fuori dei grandi ecosistemi chiusi come Facebook o YouTube, aprendo la strada a soluzioni più agili, mirate, tracciabili.

In un contesto in cui l’informazione visiva e digitale diventa il cuore della comunicazione, la filiera ittica ha l’opportunità concreta di uscire dalla logica della commodity e investire in strategie di comunicazione data-driven. L’advertising programmatico, integrato con contenuti professionali in ambienti come la connected TV, può diventare un asset competitivo, capace di valorizzare il prodotto e l’identità delle aziende.

Ripensare oggi le strategie di comunicazione significa guadagnare terreno domani. Chi saprà cogliere questa evoluzione potrà costruire un vantaggio duraturo nel panorama della filiera ittica.

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Obbligo di sbarco: una riforma incompiuta che interroga il futuro della filiera ittica

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Quando nel 2013 la riforma della Politica Comune della Pesca introdusse l’obbligo di sbarco, sembrò l’alba di una nuova era: quella della pesca selettiva, responsabile, capace di internalizzare lo spreco e stimolare innovazione lungo tutta la filiera. A distanza di cinque anni dalla piena attuazione, il bilancio è amaro: la misura non ha prodotto il cambio di paradigma atteso, pur generando costi operativi, pressioni normative e implicazioni gestionali che la filiera ancora oggi fatica a metabolizzare.

Secondo il report finale pubblicato dalla Commissione Europea, l’obbligo di sbarco non ha eliminato i rigetti né stimolato su larga scala comportamenti più sostenibili. I tassi medi di scarto sono diminuiti di meno del 2%, mentre l’adozione di attrezzi più selettivi procede a rilento, ostacolata da barriere economiche, culturali e normative.

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Una norma che ha legalizzato lo scarto, ma senza una filiera pronta ad accoglierlo

Una delle maggiori criticità emerse è strutturale: le catture indesiderate sbarcate non trovano canali commerciali efficaci. Il regolamento europeo vieta l’uso per il consumo umano del pesce sotto taglia o fuori quota, ma non ha accompagnato questa limitazione con investimenti sufficienti in infrastrutture di trasformazione, logistica del freddo, ricerca di nuovi impieghi o sviluppo di mercati paralleli. In molte aree, come Spagna e Portogallo, parte di questo pescato finisce in discarica.

Per la filiera, questo significa un’occasione mancata. La valorizzazione del pesce “di scarto” (in realtà legale, tracciato e disponibile) richiede trasformatori in grado di trattare volumi non standard, una logistica flessibile e investimenti in linee produttive alternative. A oggi, mancano sia una domanda strutturata sia incentivi coordinati, lasciando a terra il potenziale di un comparto che potrebbe rafforzare l’indipendenza proteica dell’UE.

Le deroghe che disinnescano la riforma

Lo studio evidenzia con forza come il massiccio ricorso a deroghe abbia di fatto compromesso l’efficacia dell’obbligo: tra esenzioni per alta sopravvivenza, deroghe “de minimis” e specie non soggette a obbligo, la norma risulta più flessibile che vincolante. Nel solo 2023, lo STECF ha valutato 103 richieste di esenzione, di cui 81 per “de minimis”. Il paradosso? Più deroghe sono concesse, più il meccanismo si svuota di forza trasformativa.

Questa situazione, però, apre una riflessione strategica per le imprese: come costruire scenari produttivi più resilienti e adattabili, capaci di integrarsi con normative complesse e in evoluzione? Investire in tracciabilità, diversificazione e selettività può trasformare un vincolo normativo in un vantaggio competitivo.

Selectività e quota swaps: due leve ancora sottoutilizzate

Alcuni segnali positivi arrivano dalla sperimentazione su attrezzi selettivi, soprattutto nel Nord Europa: reti a maglia quadrata, dispositivi roofless, FAD biodegradabili hanno mostrato efficacia nel ridurre i rigetti di giovanili e specie non target. Ma l’adozione diffusa richiede formazione, sostegno tecnico e compatibilità con i margini aziendali, specie per le piccole flotte mediterranee, dove i costi superano spesso i benefici percepiti.

Un altro elemento sottolineato dallo studio è il ricorso crescente ai quota swaps: tra 2014 e 2023, gli scambi tra Stati Membri sono aumentati del 200%, permettendo di gestire più dinamicamente i cosiddetti “choke species”. Una flessibilità che, se ben gestita, può diventare uno strumento strategico per ottimizzare la redditività delle flotte e l’efficienza del sistema.

Per la filiera: riconoscere il rischio, cogliere la leva

Il dato forse più importante non riguarda le regole, ma i comportamenti. Dove vi è stata formazione, accompagnamento tecnico, dialogo continuo tra autorità, produttori e trasformatori, si sono visti progressi. Dove invece è mancato il coordinamento, la norma è stata percepita solo come un peso. E qui si apre una possibilità per chi opera lungo la filiera: mettersi al centro del processo di adattamento, diventando parte attiva del cambiamento.

Per esempio, alcuni trasformatori già operano con referenze derivate da specie sottoutilizzate o fuori standard commerciale. La GDO, in un contesto di crescente attenzione alla sostenibilità, può trovare nel prodotto “zero scarto” un elemento distintivo. E per la logistica? Costruire soluzioni modulari per il trasporto del “sottotaglia” potrebbe aprire nuovi flussi, oggi inesplorati.

L’obbligo di sbarco non ha (ancora) prodotto il cambio sistemico auspicato. Ma proprio le sue criticità possono ispirare una nuova stagione di innovazione. La sfida oggi è trasformare lo scarto in valore, superare le rigidità normative con flessibilità operativa e portare a maturazione il potenziale ancora latente di una misura che, ben attuata, può fare la differenza.

La filiera ittica ha oggi l’occasione di riscrivere il futuro dell’obbligo di sbarco: non subendolo, ma integrandolo come leva per efficienza, tracciabilità e innovazione. Il momento di agire è adesso.
La Commissione europea (8 luglio dalle 14:00 alle 16:30), organizza un evento online per presentare lo studio e raccogliere feedback dalle parti interessate.
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Emilia-Romagna. Pesca, oltre 2 milioni alle imprese colpite dalla guerra

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Una corsa contro il tempo per non perdere risorse fondamentali: la Regione Emilia-Romagna ha liquidato oltre 2 milioni di euro, provenienti dal programma europeo Feamp, il Fondo europeo per gli affari marittimi e la pesca 2014-2020, alle imprese di pesca e acquacultura colpite dalle conseguenze economiche del conflitto russo-ucraino, riuscendo a concludere i pagamenti a poche settimane dalla chiusura ufficiale del programma, prevista per il 27 giugno, dopo la comunicazione delle risorse residue da parte del Ministero avvenuta lo scorso 11 marzo.

Le risorse sono state erogate nell’ambito del ‘Bando Ucraina’, pubblicato dalla Regione nel 2023 per offrire un sostegno economico agli operatori dell’acquacoltura.

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L’intervento, in particolare, prevedeva contributi destinati a compensare i mancati guadagni e le spese aggiuntive affrontate dalle imprese, in particolare per energia, carburanti e materie prime. Tuttavia, l’elevata adesione e la gravità dell’impatto economico sulle attività acquicole hanno reso insufficiente la dotazione finanziaria inizialmente disponibile.

Per garantire pertanto il pieno pagamento delle somme spettanti ai beneficiari, è stato necessario rivedere la distribuzione delle risorse residue del programma Feamp, attraverso un nuovo Accordo Multiregionale approvato con Decreto ministeriale n. 111588 dell’11 marzo 2025 che ha permesso di sbloccare i fondi necessari e completare la procedura di liquidazione entro i termini previsti dalla chiusura ufficiale del programma europeo.

“Si tratta di un risultato importante, frutto di un lavoro tecnico e istituzionale portato avanti con grande determinazione – afferma l’assessore regionale all’Agricoltura e pesca, Alessio Mammi. In un momento di forte incertezza economica, segnato da dinamiche globali che stanno mettendo a dura prova i settori della pesca e dell’acquacoltura, siamo riusciti a garantire un ristoro concreto agli operatori, rispettando tempi strettissimi e vincoli molto rigidi. È il segnale di un’attenzione costante che vogliamo mantenere alta affinché la cosiddetta economia blu possa continuare a rappresentare un presidio produttivo e ambientale per i nostri territori. Siamo sempre dalla parte dei nostri pescatori e acquacoltori, per garantire loro sostegno e attenzione”.

“Ora- prosegue Mammi- il Governo e l’Unione europea devono mettere a disposizione strumenti più stabili ed efficaci per sostenere le imprese in tempi di crisi e valorizzare un settore strategico come la pesca e l’acquacoltura per la sicurezza alimentare, l’occupazione e l’attenzione e tutela dell’ambiente”.

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Imballaggi, il regolamento europeo accelera: la filiera ittica chiamata alla transizione

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Il nuovo regolamento europeo sugli imballaggi, in vigore dal 2026, avrà un impatto profondo anche sulla filiera ittica. Dalla trasformazione alla distribuzione, passando per logistica e packaging, l’intero comparto è chiamato a una revisione strategica dei materiali e dei processi.

La stima della società PwC Strategy& è chiara: entro il 2040 i volumi di imballaggi immessi sul mercato italiano potrebbero ridursi fino al 20%, con una parallela contrazione del 10-15% dei volumi riciclati rispetto al 2022. Una prospettiva che riflette l’impatto del Packaging and Packaging Waste Regulation (Ppwr), tassello chiave del Green Deal europeo e del Circular Economy Action Plan.

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Il principio guida è semplice solo in apparenza: prevenire il rifiuto, ridurre l’eccesso di packaging, semplificare la filiera. Ma le conseguenze sono complesse. L’UE chiede di progettare imballaggi riciclabili per almeno il 70%, di garantire la divisibilità dei materiali e di introdurre un’etichetta ambientale digitale che tracci ogni fase della vita del packaging. Obiettivi ambiziosi che mettono in crisi soprattutto chi lavora con prodotti ad alta deperibilità, come il pesce.

L’industria ittica, già alle prese con sfide complesse legate alla catena del freddo e alla shelf life, dovrà trovare soluzioni che combinino protezione, sostenibilità e leggibilità normativa. È qui che si gioca una partita cruciale. La carta e il cartone, materiali favoriti dal nuovo impianto normativo, non sempre sono adatti per conservare e trasportare in sicurezza prodotti ittici freschi o surgelati. Le bioplastiche, pur essendo un’area di eccellenza italiana, presentano ancora margini di incertezza regolatoria. E l’uso del rPET, la plastica riciclata da bottiglie, richiede investimenti importanti e filiere certificate.

Il tema centrale resta la logistica. Il nuovo regolamento impone una riduzione degli imballaggi e limita l’overpacking: massimo 50% di spazio vuoto. Per molte aziende della trasformazione ittica questo significa rivedere formati, volumi e perfino le dinamiche di carico e scarico. Senza adeguamenti, si rischia una crescita dei costi, rallentamenti operativi e una perdita di competitività.

Serve quindi un approccio anticipatorio, non solo reattivo. Le imprese più strutturate stanno già lavorando su nuovi materiali, collaborazioni con startup tecnologiche e test su imballaggi compostabili o ibridi. Tuttavia, il vero nodo è strategico: riconfigurare la filiera per renderla resiliente, circolare e pronta a una domanda di sostenibilità sempre più esplicita da parte della GDO e del consumatore finale.

In questo scenario, il sistema consortile italiano coordinato da CONAI, insieme ai consorzi di filiera e agli impianti di compostaggio, può offrire un supporto determinante. Ma è altrettanto evidente che alcuni attori avranno bisogno di supporti mirati, anche finanziari, per affrontare il salto tecnologico. Fondi pubblici e strumenti di finanza sostenibile potranno rappresentare leve importanti per evitare che l’urto regolatorio si trasformi in un colpo mortale per le realtà più fragili.

Il regolamento europeo sugli imballaggi non è un semplice aggiornamento normativo, ma una vera rivoluzione. Per il settore ittico, che lavora con prodotti complessi e reti logistiche articolate, si tratta di un’occasione per ripensare il packaging non solo in chiave ambientale, ma come elemento strategico di valore e innovazione. Prepararsi oggi vuol dire evitare rincorse domani.

Chi opera nella filiera ittica ha l’opportunità di giocare d’anticipo. Monitorare i cambiamenti, investire in ricerca e costruire alleanze è il primo passo per affrontare il nuovo scenario con consapevolezza e visione.

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