Dal contenimento alla valorizzazione: il granchio blu come leva per una nuova economia marina

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L’emergenza generata dalla proliferazione del granchio blu (Callinectes sapidus) ha prodotto effetti devastanti sulle attività della molluschicoltura e della piccola pesca costiera, generando una risposta istituzionale incentrata sul ristoro dei danni e sull’abbattimento selettivo. Tuttavia, secondo Pasquale Sasso, docente di economia dell’innovazione e direttore dell’Osservatorio Agrifood Tech & Innovation dell’Università Pegaso, l’adozione di un approccio esclusivamente reattivo rischia di produrre un impatto limitato e temporaneo. Serve invece una strategia multilivello, capace di trasformare l’evento critico in una leva progettuale all’interno dell’economia blu.

“L’emergenza granchio blu va affrontata come un caso paradigmatico di pressione ecologica che interseca vulnerabilità produttive e carenze strutturali nella governance ambientale. Le risposte devono andare oltre la compensazione economica, includendo strumenti di valorizzazione della biomassa e di integrazione sistemica nella filiera”, afferma Sasso.

Oltre il contenimento: il potenziale industriale e nutrizionale

In numerosi contesti internazionali, specie aliene invasive sono state reindirizzate verso circuiti economici legittimi, generando nuove filiere di trasformazione, integrazione nella ristorazione e utilizzi alternativi (es. farine proteiche, pet food, bioplastica). Il granchio blu presenta caratteristiche organolettiche, nutritive e adattive tali da giustificare l’esplorazione di percorsi di valorizzazione industriale, a patto che vengano attivati strumenti adeguati di analisi tecnica, standardizzazione, tracciabilità e sviluppo di mercato.
“Il sistema Paese dispone di eccellenze nella trasformazione alimentare e nella ricerca biotecnologica. È doveroso attivare progettualità che consentano di testare, validare e scalare soluzioni innovative, anche in ottica di export controllato,” osserva Sasso.

Dalla blue economy alla blue resilience

L’approccio suggerito dal docente si inserisce in una visione più ampia di economia marina circolare e resiliente, in cui le specie invasive non vengono solo mitigate, ma riassorbite nel sistema economico attraverso processi di rigenerazione, riuso e conversione produttiva.
“L’integrazione di parametri ESG nel settore ittico non può più essere rimandata. I criteri di valutazione devono evolvere, includendo indicatori come la riduzione della pressione sugli stock, l’apporto al fabbisogno proteico locale, la capacità di contribuire a servizi ecosistemici, e persino la generazione di crediti di carbonio,” sottolinea Sasso.
Questa logica presuppone l’introduzione di metriche nuove nella misurazione del valore economico delle risorse marine, che non si limitino a prezzo e volume, ma tengano conto di esternalità ambientali e benefici sistemici.

Governance, investimenti e ruolo della ricerca

La transizione verso una gestione evoluta del granchio blu richiede politiche di lungo termine, piani di finanziamento strutturati e un forte coordinamento tra livelli istituzionali, dalle autorità regionali agli enti nazionali di ricerca. Il ruolo della R&S è centrale: solo una conoscenza dettagliata della biologia, dell’ecologia e della composizione chimico-nutrizionale della specie può consentire di progettare un utilizzo controllato e sicuro del granchio blu, minimizzando i rischi di nuove propagazioni o squilibri a valle.
“Siamo in presenza di un caso classico in cui la co-progettazione tra pubblico, accademia e impresa può generare un modello replicabile. Non intervenire in tal senso significa perdere un’occasione strategica per consolidare una blue economy europea basata sulla gestione adattiva delle risorse,” aggiunge Sasso.

Il granchio blu rappresenta oggi un banco di prova per l’intero sistema di governance delle risorse ittiche italiane. La sfida non è soltanto contenere i danni o sostenere economicamente i comparti colpiti, ma ripensare il modo in cui l’Italia affronta le pressioni ambientali sul comparto marino.
La valorizzazione controllata e sostenibile delle biomasse invasive, l’integrazione di approcci ecosistemici nella gestione delle filiere, e l’investimento in innovazione e trasformazione devono diventare assi portanti della pianificazione settoriale. Come ricorda Sasso, “non possiamo permetterci di trasformare il ristoro in sussidio permanente: serve un’economia del mare capace di generare rigenerazione, non dipendenza.”

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Specie in fuga e nuovi attori: la pesca italiana sotto pressione

Specie in fuga e nuovi attori: la pesca italiana sotto pressione

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L’impatto del cambiamento climatico sulla pesca nel Mediterraneo è ormai un dato di fatto e non più una previsione. A sottolinearlo con rigore scientifico e chiarezza è stato Fabio Fiorentino, ricercatore del CNR – IRBIM, intervenuto a Mazara del Vallo durante l’incontro con le marinerie siciliane, nell’ambito della rassegna ministeriale Tesori dal Blu, alla presenza del Sottosegretario Patrizio La Pietra e del Direttore Generale Francesco Saverio Abate.

Nel suo intervento, Fiorentino ha tracciato un quadro dettagliato delle trasformazioni che stanno investendo il sistema marino mediterraneo e, con esso, l’intera filiera della pesca, sia d’altura sia artigianale. Il primo elemento critico è la mutazione della composizione delle popolazioni ittiche: specie tradizionali stanno diminuendo o spostandosi verso altre aree, mentre specie termofile si stanno insediando stabilmente.

“Il cambiamento climatico – ha spiegato – sta ridisegnando la struttura delle popolazioni ittiche nel Canale di Sicilia e nel Mediterraneo centrale. Alcune specie modificano il proprio areale di distribuzione o si riducono, altre si affermano. Questo ha conseguenze dirette sulla produttività complessiva del sistema marino.”

Secondo il ricercatore, la produttività del mare è in calo, e non solo per effetto della pressione di pesca.
“Il vero nodo è che l’ecosistema è cambiato. Le temperature più elevate e i nuovi assetti ecologici non supportano più i cicli riproduttivi delle specie tradizionali. In questo contesto, continuare ad applicare schemi gestionali pensati per un altro Mediterraneo significa rischiare l’inefficacia. È indispensabile aggiornare le politiche, a partire da una revisione delle quote pesca, per renderle coerenti con le attuali condizioni ambientali.”

A conferma della trasformazione già in atto, Fiorentino ha citato il caso dei mercati palermitani: “Il 95% del pesce venduto come sardina è in realtà alaccia, una specie termofila che si adatta meglio alle acque più calde. La sardina vera, che predilige acque fredde, è quasi scomparsa.”
Un ulteriore elemento di riflessione è rappresentato dal fermo biologico, che secondo Fiorentino va ripensato: “Non si tratta di metterne in discussione l’utilità, ma di adattarlo. Vanno rivalutati tempi, modalità e obiettivi, perché il mare non è più quello di vent’anni fa. Non possiamo pensare a finestre fisse e generalizzate: serve una gestione adattiva, che tenga conto delle reali dinamiche biologiche in corso.”

A questi cambiamenti ecologici si aggiunge una trasformazione geopolitica. Fiorentino ha richiamato l’attenzione sulla crescente presenza dei Paesi del Nord Africa nella pesca d’altura, che non può più essere considerata marginale: “Per decenni l’Italia ha avuto un ruolo dominante nella pesca alturiera mediterranea. Oggi questo ruolo è in discussione. Ci troviamo di fronte a un nuovo assetto geopolitico.”
Questa espansione, favorita anche da accordi internazionali e investimenti, sta ridefinendo gli equilibri nel Mediterraneo, e l’Italia deve agire: “Non si tratta solo di pescare meno – ha sottolineato Fiorentino – ma di valorizzare di più ciò che si pesca, perché dobbiamo prepararci a una fase in cui il mare offrirà meno, e in forme diverse da quelle a cui eravamo abituati.”
Una riflessione che si inserisce in piena sintonia con quanto affermato nel corso dell’incontro dal Direttore Generale Francesco Saverio Abate, che ha più volte sottolineato l’urgenza di una pesca meno quantitativa e più orientata alla qualità e alla valorizzazione del prodotto ittico.

L’intervento di Fiorentino ha lanciato un messaggio chiaro: la pesca italiana è sotto pressione – ambientale, biologica, geopolitica. Per affrontare il cambiamento servono nuovi strumenti: gestione adattiva delle risorse, revisione del fermo biologico, flessibilità nelle quote e valorizzazione del pescato locale. Il Mediterraneo è già cambiato: comprenderlo è il primo passo per affrontarne il futuro.

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Musumeci: basta conflitti in mare, il Mediterraneo ha bisogno di intese

Musumeci: basta conflitti in mare, il Mediterraneo ha bisogno di intese

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Serve “uno spirito di cooperazione, non di conflitto”, ha detto il Ministro per la Protezione civile e le Politiche del Mare Nello Musumeci, intervenendo a Mazara del Vallo in occasione dell’evento ministeriale Tesori dal BluRafforzare l’approvvigionamento ittico nel Mediterraneo. Stop alla guerra del pesce: un monito forte, rivolto alle marinerie di tutta l’area e ai governi dei Paesi che si affacciano sul Mare Nostrum.

Basta conflitti tra pescatori, il futuro è condiviso

“La guerra del pesce deve finire”, ha affermato Musumeci, facendo riferimento ai numerosi sequestri di pescherecci italiani da parte di milizie libiche. “Basta conflitti fra i Paesi che condividono il Mediterraneo: il destino è comune e non ci possono essere né vinti né vincitori. Dobbiamo lavorare tutti perché la pesca sostenibile trovi un punto d’incontro tra le legittime esigenze dei pescatori e quelle dell’ambiente.”

Un equilibrio difficile, ammette il ministro, ma necessario. E la politica, ha ribadito, “ha il dovere di provarci”.

ZEE: il coraggio di affrontare il nodo irrisolto

Il nodo delle Zone Economiche Esclusive (ZEE) resta uno dei temi più delicati. “In Italia sono sempre state un argomento tabù”, ha dichiarato Musumeci, criticando i governi precedenti per aver preferito “mettere la polvere sotto il tappeto” anziché affrontare apertamente le controversie, attraverso il dialogo tra Stati.

“Le ZEE consentono lo sfruttamento razionale delle risorse marine, ma richiedono grandi responsabilità gestionali fino a 200 miglia dalla costa. Ci abbiamo provato già nel 2015. Eppure, nonostante la legge n.14 del 2021 abbia istituito formalmente la ZEE italiana, di fatto non è mai stata proclamata.”

Solo Grecia e Croazia all’attivo, ora la svolta

Finora l’Italia ha concluso accordi solo con Grecia e Croazia. Ma ora, grazie al Ministero per le Politiche del Mare – istituito per la prima volta dal governo Meloni – è stata avviata una nuova fase negoziale. “Con i colleghi Lollobrigida, Pichetto e altri ministri competenti, stiamo cercando un’interlocuzione costruttiva con gli Stati frontisti. È un passo necessario se vogliamo garantire sicurezza alle nostre marinerie e sostenibilità alle risorse ittiche.”

Un’occasione di svolta per la diplomazia del mare

Mazara del Vallo, crocevia simbolico della pesca italiana nel Mediterraneo, ha così ospitato un momento di forte valenza politica e diplomatica. Il messaggio è chiaro: basta guerre silenziose tra pescatori, via al dialogo tra nazioni. La strada è ancora lunga, ma la direzione tracciata appare quella giusta.

Con l’intervento del Ministro Musumeci a Mazara, il governo ha ribadito l’impegno a porre fine alla cosiddetta “guerra del pesce” attraverso il dialogo internazionale e la piena attuazione della ZEE italiana. Una visione che punta a conciliare gli interessi della pesca con quelli dell’ambiente, nella convinzione che la cooperazione tra Stati mediterranei sia l’unica via per garantire un futuro sostenibile al settore.

Segui su Pesceinrete tutti gli sviluppi sulla cooperazione tra Stati mediterranei in materia di pesca e ZEE.

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Pesca sostenibile: collaborazione e innovazione per rilanciare il Mediterraneo

Pesca sostenibile: collaborazione e innovazione per rilanciare il Mediterraneo

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Pesca sostenibile

Sviluppare una maggiore collaborazione e prospettive condivise di crescita per dare una nuova centralità alla pesca nell’area del Mediterraneo, investire su qualità, su controllo e tracciabilità per valorizzare la risorsa ittica. Sono gli aspetti emersi in occasione della riunione ministeriale dal titolo “Rafforzare l’approvvigionamento ittico nel Mediterraneo” che ha visto la presenza dell’Italia con il ministro Francesco Lollobrigida, intervenuto in videoconferenza, il ministro per le Politiche del Mare, Nello Musumeci, e il sottosegretario Patrizio La Pietra, e dei ministri di Libia, Malta e Tunisia.

«Il Mediterraneo è stato al centro dell’attenzione per collaborare e crescere insieme», sottolinea Elena Ghezzi responsabile Pesca e Acquacultura di Legacoop Agroalimentare presente all’iniziativa che si è tenuta in occasione del festival Tesori dal Blu di Mazara del Vallo (Tp) che termina domani (31 maggio).

«Abbiamo apprezzato l’iniziativa perché è stata anche l’occasione, nella sezione tecnica, per approfondire alcuni aspetti importanti per la produzione ittica nazionale come la qualità e la tracciabilità volte ad una maggiore valorizzazione della filiera. Certamente il controllo è un aspetto fondamentale sia sulla produzione nazionale ma anche sulle importazioni». Come ricorda Ghezzi, infatti, «il rapporto 2025 sulla Blue Economy ci dice che per un consumatore europeo ogni 10 chili di pesce mangiati, più di 6 arrivano da Paesi extra-Ue».

Come evidenzia Domenico Pistone di Legacoop Sicilia, «cooperazione e fare insieme sono due aspetti chiave. I pescatori sono i custodi del mare, praticano un’arte antica e importante per l’economia e per questo siamo fortemente convinti che la pesca rappresenti un settore da incentivare, proteggere e garantire».

Dal canto suo Cristian Maretti, presidente di Legacoop Agroalimentare, ricorda che «come Legacoop Agroalimentare abbiamo investito tante energie e risorse in progettualità che guardano al dialogo tra le due sponde del Mediterraneo con i suoi 22 Paesi e tre Continenti. Diventa quindi determinante la collaborazione tra le due sponde del mare, importante soprattutto per il settore marittimo che è un investimento per il nostro futuro e dei nostri figli».

Ecco che, continua Maretti, «le sfide per il settore della pesca nel Mediterraneo impongono ai Paesi rivieraschi l’introduzione di nuovi elementi di valutazione fino a qualche anno fa non prioritari come il cambiamento climatico, la produzione di energia da rinnovabili in particolare eolico offshore, l’innovazione di prodotto e processo. Occorre cioè una visione del settore che guardi anche alla diversificazione delle produzioni settoriali che ci chiamerà ad un maggiore investimento in formazione e ricerca. Solo così riusciremo a dare un valore al lavoro delle nostre imprese».

Ecco che, conclude Maretti, «siamo fortemente convinti che la cooperazione nel Mediterraneo passi anche dal dialogo tra tutti gli Stati membri dell’Unione europea. Il Patto europeo per gli Oceani che la commissione europea di sta apprestando a varare non potrà prescindere da una visione che dia nuova centralità al Mediterraneo».

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Il Mar Nero al centro della nuova strategia UE per pesca e sviluppo

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La nuova strategia UE per il Mar Nero pone la pesca sostenibile e lo sviluppo della Blue Economy tra i pilastri della cooperazione regionale, aprendo nuove opportunità di interscambio anche con l’area mediterranea.

Con l’obiettivo di rafforzare la propria presenza geopolitica, l’Unione Europea ha presentato un articolato piano strategico per il Mar Nero. Si tratta di una visione integrata fondata su tre pilastri: sicurezza marittima, crescita economica sostenibile e resilienza ambientale. All’interno di questo quadro, la pesca e le filiere alimentari connesse assumono un ruolo chiave, non solo per la sicurezza alimentare della regione, ma anche come leve di stabilizzazione, innovazione e collaborazione internazionale.

Il Mar Nero viene così riconosciuto come crocevia tra Europa, Caucaso meridionale, Asia centrale e Mediterraneo orientale. La sua funzione di corridoio commerciale, energetico e alimentare è oggi più strategica che mai, soprattutto alla luce delle tensioni belliche e dell’instabilità geopolitica causata dalla guerra in Ucraina.

Filiera ittica e infrastrutture: priorità comuni

La strategia prevede una serie di iniziative operative, tra cui la creazione di un hub per la sicurezza marittima, il potenziamento della connettività tra porti e mercati e lo sviluppo di un agenda condivisa per la pesca e l’acquacoltura sostenibili. Particolare attenzione è riservata alla protezione delle infrastrutture critiche, alla lotta contro la pesca illegale e al rafforzamento dei meccanismi di tracciabilità e controllo lungo la filiera.

Per i Paesi partner – come Ucraina, Moldova, Georgia, Armenia, Azerbaigian e Turchia – la pesca rappresenta un asset produttivo fondamentale. L’approccio UE punta ad accelerare i processi di allineamento normativo e tecnico con il sistema europeo, facilitando l’accesso al mercato unico per prodotti ittici trasformati e grezzi, ma anche promuovendo investimenti infrastrutturali lungo le coste.

Rischi ambientali e adattamento climatico

Uno degli aspetti più rilevanti della nuova strategia UE per il Mar Nero riguarda il rafforzamento della resilienza ambientale. La regione è particolarmente vulnerabile agli impatti del cambiamento climatico, all’inquinamento e ai conflitti armati. Il documento propone azioni per migliorare la preparazione delle comunità costiere e dei settori legati alla Blue Economy, con misure dedicate alla protezione degli habitat marini, al ripristino degli stock ittici e alla gestione integrata delle zone costiere.

La cooperazione con le istituzioni scientifiche locali sarà potenziata attraverso la Common Maritime Agenda e la Strategic Research and Innovation Agenda, già attive dal 2007 nell’ambito della Black Sea Synergy. L’obiettivo è attivare sinergie efficaci tra ricerca, governance e industria, sulla scia del modello europeo della pesca responsabile.

Connessioni con il Mediterraneo e ruolo dell’Italia

Sebbene focalizzata sul Mar Nero, la strategia UE ha implicazioni dirette anche per il Mediterraneo e per l’Italia. Il rafforzamento dei corridoi logistici ed energetici tra Mar Nero, Mar Adriatico e Mar Tirreno rappresenta una leva concreta per facilitare gli scambi commerciali, inclusi quelli legati alla filiera ittica. L’Italia, per vocazione geografica e capacità industriale, può assumere un ruolo centrale in questa nuova rete interregionale, soprattutto nella trasformazione del pescato, nella tecnologia per l’acquacoltura e nel packaging sostenibile.

L’approccio Team Europe, che unisce istituzioni UE, Stati membri e partner finanziari, si propone di catalizzare investimenti coerenti con la strategia Global Gateway, il piano dell’UE per connettere in modo smart, green e sicuro le economie globali. In questo contesto, le imprese italiane della Blue Economy sono chiamate a esplorare opportunità concrete di collaborazione e crescita.

La nuova strategia UE per il Mar Nero segna un passaggio cruciale nella ridefinizione della cooperazione marittima in chiave sostenibile. La pesca, da sempre termometro della salute geopolitica e ambientale di una regione, torna al centro delle politiche europee come motore di sviluppo, stabilità e integrazione. Un’occasione da cogliere anche per il sistema ittico italiano.

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